DI FAYE, Giovanni Antonio
Nacque il 1° genn. 1409 nel borgo di Malgrate (od. frazione di Villafranca in Lunigiana, prov. di Massa Carrara) da Francesco e da Guglielmina, figlia di Nicolò Parmanente da Filetto; la famiglia era originaria della località di Faile, fondo dell'Appennino parmense, appartenente al Comune di Berceto.
Come il D. narra nell'autobiografia (pubblicata nel 1904 da Giovanni Sforza sull'Archivio storico per le provincie parmensi), il nonno Lorenzo lasciò il paese d'origine a sedici anni. per scampare ad un contagio che aveva sterminato quasi tutta la sua famiglia e si stabilì a Conipione; qui si sposò ed ebbe due figli, Leonardo e Francesco. Quest'ultimo si trasferì nel borgo di Filetto, dove esercitò l'usura, unendosi con l'unica figlia di un ricco proprietario terriero, che lo lasciò erede dei suoi beni. Nel 1399 il paese fu messo a sacco dall'esercito del duca di Milano; il capitano di ventura Ottone Terzo catturò Francesco e chiese alla famiglia un forte riscatto, che, però, non venne pagato, perché Francesco riuscì a fuggire dal campo. L'anno seguente, la peste che colpì la zona fece strage tra tutti i figli di Francesco, spingendolo per la disperazione a scialacquare i suoi beni. Egli morì nel luglio 1408 per una ferita ricevuta in un occhio, lasciando la moglie incinta; ella diede alla luce il D. nell'unica casa rimasta alla famiglia dal patrimonio originario. Guglielmina. morì nell'ottobre 1419.
Il D. venne dapprima collocato presso un guardiano di buoi; dopo pochi giorni, presso un calzolaio, per apprenderne il mestiere e, infine, presso il sarto Pietro da Cogorno, con cui lavorò due anni. Passò poi a Bagnone, dove fu collocato presso un altro sarto, per poi ritornare dal Cogorno, quando si trovò abbandonato dal suo datore di lavoro, fuggito dal paese. Il Cogorno lo inviò a Pontremoli dal maestro Nicolò di Sacramoro per imparare l'arte dello speziale. Il periodo trascorso accanto a costui fu assai utile al D. che, pur non potendo frequentare regolarmente una scuola, riuscì ad imparare l'alfabeto, grazie all'aiuto fornitogli dai suoi clienti. Quattro anni dopo partì per Siena, spinto dal desiderio di migliorare la sua istruzione, ma fu costretto a fermarsi a Lucca. Nel 1428 si trasferì a Pisa, dove si mise al servizio, come famiglio, di certo lacopo Calandrini, che si impegnò ad istruirlo nel leggere e nello scrivere. Tuttavia, il soggiorno presso costui (che viveva "alla zenovese e pezo", secondo una colorita espressione del D.) lo lasciò insoddisfatto al punto da spingerlo ad abbandonare il padrone. Dopo varie peripezie, ritornò a Pisa, dove conobbe un conterraneo, Giovanni Berretta da Traschietto, che accettò di creare una società col D. per aprire una bottega di spezieria a Bagnone.
Nel luglio 1428 il progetto venne attuato, grazie ai capitali forniti dal Berretta, mentre il D. vi portò il suo lavoro. Per un anno gli affari furono talmente magri da ridurre alla fame il D., impossibilitato a comprarsi persino un vestito nuovo. La concorrenza degli altri speziali attivi nel borgo, inoltre, fu a tal punto accanita da fargli correre il rischio di essere assassinato. Messosi in lite con un famiglio del marchese Giorgio Malaspina, signore del paese, fu costretto a fuggire in una località vicina, Villafranca, in mano alla famiglia genovese dei Fregoso. Dopo che il suo socio morì, egli poté riscattare le sue ragioni nella società, diventando unico proprietario della spezieria. Venuta poi meno l'ostilità del Malaspina, nel 1433 egli fece ritorno a Bagnone e sposò Franceschina, figlia di Rolando dei Manzo da Orturano, imparentata con un amico del marchese, che proprio per questo aveva perdonato il Di Faye. In seguito, nonostante i buoni affari della bottega, le sue condizioni economiche rimasero difficili e vennero aggravate dall'arresto, voluto ancora dal Malaspina, con l'accusa di segrete intese con l'autore di un assassinio. Il D. fu, pertanto, rinchiuso in una torre e liberato solo dopo il pagamento di un riscatto. Nel 1437 gli nacque una figlia, Guglielmina, che morì dopo alcuni mesi; sempre in quest'anno, superò una grave malattia, dovuta ad una infezione nel piede sinistro; nel 1438 gli nacque un'altra figlia, Diana. In seguito gli affari incominciarono a prosperare, tanto che il D. diventò un agiato possidente.
In questi anni egli maturò il progetto di scrivere la sua biografia, comprendendovi anche la storia della sua famiglia. Egli vuole "far ricordo de li mey procesori per amaestramento di queli che ano a venire", proponendosi come modello di uomo che da umili origini e da illetterato, lottando contro le avversità, diventa persona ricca e colta, grazie alla propria intraprendenza e all'aiuto divino (che di denari "ne dà a chi li vole e a chi li merita"). Fino al 1448 il racconto è minuzioso, mentre per gli anni successivi egli aggiunge notizie in modo irregolare ed in stile diverso. L'operetta è briosa e piena di saggezza popolare (particolarmente divertenti sono le pagine in cui il D. descrive le sue traversie causate dall'infezione al piede, quando fu costretto ad affidarsi a medici avidi ed incapaci, pronti a suggerire le cure più dolorose e più costose, ma senza alcuno effetto). Essa rivela nell'autore quelle doti di coraggio, curiosità intellettuale e buon senso, che gli permisero di far fortuna nella vita. L'operetta si interrompe al 1468. Fu pubblicata da G. Sforza, nell'Archivio storico per le provincie parmensi nel 1904.
Nel 1450 il D. si recò in pellegrinaggio a Roma e fu ospite di Iacopo da Noceto, castellano di Castel Sant'Angelo; l'anno seguente, spinto dalla curiosità, visitò Venezia; nel frattempo gli nacque un figlio, Faye, che morì l'anno dopo. Nel 1453, per motivi di invidia non meglio chiariti dal D., fu costretto a lasciare il paese e a rifugiarsi a Pontremoli; tuttavia, superate le difficoltà, nel 1456 poté tornare a Bagnone, venendo anche nominato massaro della chiesa di S. Maria, oltreché consigliere ed estimatore della sua Comunità. L'anno seguente cadde ammalato di febbre quotidiana; nel 1460 fu colpito da una grave malattia, che lo ridusse in pericolo di morte e lo obbligò a cambiare clima, trasferendosi con la famiglia a La Spezia. Qui venne amorevolmente assistito da una altra figlia, Guglielmina, che allora aveva undici anni. Aperta bottega con la collaborazione del figlio Raffaello (nato nel 1434), egli riuscì ben presto a risollevarsi economicamente.
Ritornò poi a Bagnone, dove riprese la sua attività ed ebbe la soddisfazione di venire investito notaio dal conte vescovo di Brugnato. Tra il 1469 e l'inizio del 1470, per motivi che il D. non chiarisce, fu costretto a lasciare il paese per trasferirsi a Sarzana; ritornato ancora una volta a Bagnone, vi morì il 6 sett. 1470 (come annotò il figlio sull'ultima pagina della Cronaca) e fu sepolto nella chiesa parrocchiale del suo paese.
Ebbe due figlie, Diana e Guglielmina, entrambe sposate, ed un unico figlio maschio, Raffaello, diventato notaio. Secondo il Bicchierai, i suoi discendenti lasciarono il cognome Di Faye e presero quello di Raffaelli.
Oltre che dell'autobiografia, il D. è anche autore di una cronaca, che fu pubblicata nel 1874 sugli Atti della Società ligure di storia patria dal possessore di una copia manoscritta, l'avvocato Iacopo Bicchierai; l'opera è intitolata Libro de cronache e memorie e amaystramento per l'avenire. Varie copie di essa dovettero circolare in Lunigiana, pemhé il Branchi, nella sua Storia, ne utilizzò un esemplare depositato presso un'altra famiglia.
Con ogni probabilità, l'idea venne al D. nel 1448, quando egli gradatamente abbandonò la stesura della sua biografia; tuttavia, egli intese narrare anche gli avvenimenti precedenti, a partire dall'anno della sua nascita, fornendo notizie sulla sua famiglia e su varie vicende personali posteriori al 1448. La stesura fu portata avanti ogni anno, tranne una interruzione dall'agosto 1457 al gennaio 1462, dovuta alle gravi malattie che colpirono il Di Faye. L'operetta non presenta particolare interesse storico se non per alcune notizie relative alle complesse vicende che tormentarono la Lunigiana, contesa tra i Malaspina e la famiglia genovese dei Fregoso (il D. ricorda l'uccisione dei marchesi di Fivizzano nel 1414; la conquista di Pontremoli da parte del Piccinino nel 1437; la cessione che il marchese Azzo Malaspina fece dei suoi beni a favore del fratello Bartolomeo nel 1446; la lotta tra Galeotto Fregoso, impadronitosi di alcuni castelli, e Fieramonte Malaspina).
Il D. è anche attento all'eco che nel microcosmo rappresentato dal paese di Bagnone provocano i grandi avvenimenti vissuti dalle potenze confinanti con la Lunigiana (Genova, Milano, Firenze). Il piccolo borgo è scosso dal passaggio di eserciti (come quello imperiale che accompagnò Sigismondo di Lussemburgo in Italia nel 1432), da cortei (il D. ricorda quello al seguito di Alfonso d'Aragona che, liberato dal duca di Milano dopo la sua cattura da parte della flotta genovese, passò per Pontremoli, diretto a Portovenere, onde imbarcarsi alla volta di Napoli nel 1435; il corteo nuziale che nel 1466 scortò a Milano Ippolita, figlia di Francesco Sforza, dopo il suo matrimonio con Alfonso, duca di Calabria e principe di Taranto) o da carovane funebri (come quella che accompagnò verso Firenze il feretro di Nicolò da Tolentino, fatto prigioniero dal Piccinino e morto a Borgo Val di Taro nel 1435). Particolare attenzione dimostra poi il D. per i fatti di cronaca capitati nel paese, con interesse per gli avvenimenti atmosferici inconsueti e per la composizione sociale della popolazione, di cui fornisce una analisi dettagliata con l'origine di ogni famiglia residente nel borgo.
Fonti e Bibl.: Autobiografia inedita di Giovanni Antonio Faye, speziale lunigianese del sec. XV, a cura di G. Sforza, in Arch. stor. per le provincieparmensi, n. s., IV (1904), pp. 129-183 (cfr. recensione, in Giornale storico-letterario della Liguria, VIII [1907], pp. 219 s.); Cronaca di Giovanni Antonio Di Faye, a cura di I. Bicchierai, in Atti della Soc. ligure di storia patria, X (1874), pp. 515-618; E. Gerini, Mem. stor. di illustri scrittori ed uomini insigni della Lunigiana, II, Massa 1829, p. 215; G. Sforza, Saggio di una bibliografia storica della Lunigiana, I, Modena 1874, p. 80; E. Branchi, Storia della Lumgiana feudale, Pistoia 1897-98, I, p. 534; II, pp. 65-69, 71, 73, 227 s., 230 s., 567, 569; III, pp. 33, 44, 46, 51 s., 54, III, 127, 135, 146-151, 154, 181, 185, 294, 296, 501; F. Bonatti, La Lunigiana nel sec. XV attraverso i protocolli del notaio Baldassare Nobili, Pisa 1977, p. 61.