DI BLASI, Giovanni Evangelista
Nacque a Palermo il 25 luglio 1720 da Scipione e Caterina Gambacorta e Ciambri. Cadetto di famiglia gentilizia e di tradizioni colte, fu destinato al pari dei fratelli Salvatore Maria e Gabriele, alla vita monastica, mentre il solo primogenito Vincenzo si riservava per la carriera civile. Sedicenne, entrò nel monastero benedettino cassinese di S. Martino alle Scale in Palermo, in un ambiente che accusava i primi segnali di quel processo di rinnovamento degli studi ecclesiastici fondato sul rifiuto della scolastica e sui principi muratoriani di riforma ecclesiastica e morale che ebbe nel canonico palermitano G. Di Giovanni e in F. Testa due tra i principali sostenitori.
Proseguì il corso dei suoi studi fuori di Sicilia, nel 1741 a Roma nel collegio di S. Callisto e quindi a Firenze presso la badia. Presi gli ordini, fu destinato a Napoli come lettore di filosofia nel monastero di S. Severino, ove rimase tre anni durante i quali si procurò, per le sue lezioni, una buona fama e strinse rapporti di amicizia con A. Genovesi, I. Sanchez e S. Filangieri. Passò quindi a Perugia presso il monastero di S. Pietro dove approfondì le teorie della scuola agostiniana e, nel 1752, recitò il Discorso intorno alla necessità di formare una storia ecclesiasticaperugina, pubblicato poi in Palermo nel 1759 (in Opuscoli di autori siciliani, II, pp. 155-184).
Rientrato nell'isola al seguito del benedettino Giuseppe Antonio Requesens abate di S. Martino e futuro vescovo di Siracusa, da questo venne nominato lettore di teologia in S. Martino. A Palermo il D. si inserì naturalmente in quel circolo di persone di lettere, massimamente ecclesiastici, che in quegli anni, profondamente influenzati dalle idee regalistiche e riformatrici, operavano per il rinnovamento della cultura siciliana. Fu la polemica verso i gesuiti, pertinace ancora negli anni Cinquanta del secolo, il punto centrale di tale rinnovamento nei due campi della rivalità nella direzione della politica ecclesiastica, in particolare nella riforma dei seminari e nell'insegnamento, e in quello più generale della politica culturale dell'isola. Il D. ebbe parte in entrambi e assolse un ruolo preminente di organizzatore di iniziative culturali.
Nel 1756, insieme con D. Schiavo, era editore delle Memorie perservire alla storia letterariadi Sicilia che, nato come giornale che doveva dar conto delle novità letterarie, fu poi trasformato in foglio settimanale dove si dava notizia di studi di storia antica e di antiquaria. Al periodico, che ebbe vita assai breve, collaborarono il fratello Salvatore Maria, Vito M. Amico, I. Paternò principe di Biscari e C. Caetani conte della Torre. Nel 1758, sempre con il fratello Salvatore Maria, avviò la raccolta degli Opuscolidi autori siciliani dei quali fu edita una prima serie di venti volumi fino al 1778, per riprendere dal 1788 al 1797 con il titolo di Nuova Raccoltadi opuscoli... e che, soprattutto con i volumi della prima serie, può essere considerata un repertorio della cultura riformistica siciliana precedente l'esperienza di D. Caracciolo. Nel 1759 venne chiamato da S. Filangieri, arcivescovo di Palermo, ad insegnare storia ecclesiastica e dommatica teologica nel seminario da lui riordinato.
Tra i due cassinesi esisteva, dal tempo del soggiorno napoletano del D., una antica dimestichezza, resa più profonda, sul piano spirituale, dalle comuni tendenze giansenistiche; nel seminario di Palermo, il D. combatteva "liberamente il molinismo e spiegava le teorie della scuola agostiniana" (G. Cigno, p. 331). La cura con cui il clero antigesuita seguiva il tema dell'istruzione e di una riforma pedagogica che fosse il grande strumento di quella morale emergeva chiaramente dal dibattito che a Palermo accompagnò, in quegli anni, l'istituzione di "pubbliche librerie", così che quando nel 1768, in occasione dell'apertura della nuova biblioteca del monastero di S. Martino, il D. fu chiamato a pronunciarsi sul tema rousseauiano dell'utilità delle scienze e delle arti, rivendicò in un Discorso che sarà poi pubblicato nella raccolta degli Opuscoli (Discorso per l'apertura della nuova libreria del monastero di S. Martino de'pp. benedettini Cassinesi, in Opuscoli, XI [1770], pp. 87-104) il compito illuministico di una cultura che fosse "filosofica, ma non scolastica, critica e non angustamente antiquaria... religiosa senza superstizione, con moderazione moderna" (G. Giarrizzo, p. 610).
Nel 1767 l'espulsione dei gesuiti dal Regno segnò il momento più alto di questo ideale di riforma. Di essa l'interprete più compiuto fu il benedettino cremonese Isidoro Bianchi, giunto in Sicilia nel 1770 per interessamento del D. e chiamato dall'arcivescovo di Monreale F. Testa ad insegnare logica e metafisica nel seminario locale. Ed insieme con il Bianchi il D. nel 1772 promosse la pubblicazione di due periodici, il Giornale ecclesiastico ossia Scelta di vari opuscoli appartenenti agli studi ecclesiasticiestrattidal Giornale ecclesiastico del sig. abate Dinovart e cavato da altre raccolte e composti da vari letterati (Palermo 1772), che riproponeva i temi giansenistici del Journal ecclésiastique dell'abate J.-A. Dinouart, e le Notizie dei letterati ispirate alle fiorentine Novelle letterarie, dove, come sulle pagine degli Opuscoli, comparvero gran parte degli scritti che suscitarono vive polemiche nella Palermo intellettuale dell'epoca.
All'indomani della rivolta di Palermo del settembre 1773 e fino all'ottobre del 1775 Serafino Filangieri veniva chiamato al governo della Sicilia. Nei due anni del suo viceregno il ruolo del D. andò oltre gli stretti limiti letterari; l'arcivescovo gli affidò, infatti, la redazione degli editti e delle istruzioni pastorali e lo nominò revisore delle pubblicazioni di carattere politico e morale. In quegli stessi anni egli pubblicò i quattro volumi delle Institutiones theologiae in usum clericorum Panormitanae dioeceseos adornatae instante canonico D. Antonio Calvo (Panormi 1774-1777).
L'opera dedicata al Filangieri, nonostante la protezione di lui, fu condannata dalla congregazione dell'Indice. Tale sentenza, probabilmente, più che di censura all'esposizione delle dottrine giansenistiche che nell'opera si faceva - il D. prendeva in esame le teorie del Serry, del Berti, di N. Alexandre, del Tillemont, dell'Arnauld ma concordando con essi solo in pochi punti e per lo più restando nei limiti dell'ortodossia - andava piuttosto considerata come un episodio del ricorrente conflitto che opponeva la Curia al clero di Sicilia: l'affermazione dell'autonomia e dell'autodisciplina godute dal clero siciliano e, al di là, delle prerogative in campo ecclesiastico rivendicate dalla monarchia sicula.
L'interessamento del Filangieri non valse a revocare la messa all'Indice delle Institutiones ma, nel 1777, in coincidenza di un soggiorno del D. a Napoli, l'arcivescovo si adoperò affinché fosse nominato dal re Ferdinando IV regio storiografo. Il conferimento della prestigiosa carica segnò un punto di svolta nell'attività intellettuale del Di Blasi. Aveva cinquantasette anni e non aveva mai scritto di storia in particolare, tanto che la nomina regia poteva essere considerata più come il riconoscimento di un impegno culturale meritevole di elogio che, come egli intese, un "comando" a scrivere una storia di Sicilia. A tale "comando", comunque, aderì prontamente e, con esplicito riferimento al Giannone, pensò un'opera dal profilo ambizioso e nuova per la Sicilia, una storia "civile" dalle origini ai tempi recenti che superasse le precedenti narrazioni puramente estrinseche delle vicende dell'isola e trattasse "del diverso governo, delle leggi, dei costumi, dell'agricoltura, del commercio, così di mare che di terra e della popolazione", delle arti e delle scienze, delle "zecche e delle monete" e all'interno della quale la religione avesse la "parte più essenziale". Il compimento e l'edizione della Storia civile patirono varie vicissitudini. Nel 1782 il D. ne terminava una prima parte e desiderando ricevere, come regio storiografo, il riconoscimento ufficiale della stampa a pubbliche spese, ne trasmise il manoscritto al viceré D. Caracciolo. Intendeva licenziare al più presto il lavoro anche per prevenire un'altra iniziativa in concorrenza, la traduzione in italiano dell'Histoiregénérale de la Sicile pubblicata nel 1745 all'Aja dal Burigny, della quale molto si parlava a Palermo, e, a tal fine, nell'agosto del 1782 fece stampare un avviso con il quale si annunziava imminente la pubblicazione della Storiacivile.
Caracciolo rimise l'esame del manoscritto al canonico Rosario Gregorio che ne diede un giudizio assai severo, sottolineando l'incongruenza della realizzazione storiografica rispetto al disegno al quale, per professione d'intenti, l'opera ambiva: fornire un quadro complessivo della vita del paese, laddove invece il D. per ogni epoca dava notizia prima degli avvenimenti, poi delle leggi, delle arti e del commercio, delle invenzioni, delle lettere e della religione, irrigidendo ciascun aspetto in quadri a sé stanti che stentavano a legarsi con il contesto narrativo dell'opera. Fortissime riserve il Gregorio espresse, inoltre, soprattutto per i libri che precedevano il periodo viceregio dove gli parve che fantasia e improvvisazione, in particolare per capitoli nei quali il D. sosteneva la tesi di una metastorica continuità della storia siciliana a partire dai Ciclopi e Lestrigoni, sostituissero quella ricchezza di informazioni che dava maggior pregio alla ricostruzione del periodo spagnolo.
Tale censura vanificò il progetto di dare alle stampe la Storia civile e, subito dopo, il D. si diede a preparare un nuovo lavoro, che trattasse dei viceré e luogotenenti del Regno. Nel 1786 pubblicò i tre volumi delle Lettere di Giovanni Filotete al signor Grisostomo Casertano su la storia di Sicilia del Burigny (Napoli 1786), una puntigliosa disamina della Storia di Sicilia del Burigny il cui primo volume, a cura di Mariano Scasso, era apparso in Palermo in quello stesso anno.
In otto lettere il D., giovandosi delle ricerche compiute per la sua Storia civile, metteva in risalto gli errori e le inesattezze della Histoire relative soprattutto alle epoche più recenti. L'acrimonia con la quale condusse la polemica, se pure in qualche misura giustificata dalla delusione patita e caratteristica di un temperamento che D. Scinà, nel ritratto che ne fece, descrisse come "alquanto borioso" e che "di ogni nonnulla facea grande lo schiamazzo" (Scinà, p. 151), andava al di là della persona del Burigny per giungere polemicamente al viceré Caracciolo. Questi non nutriva simpatia per il "grasso e rotondo monaco" come, poco benevolmente, lo nominava in una lettera indirizzata al principe di Caramanico (cit. in Saitta, p. 10), e, inoltre, l'aver rimesso il giudizio sulla Storia civile al Gregorio all'epoca trentenne e agli inizi della carriera doveva apparire irriguardoso nei confronti dell'anziano storiografo. Ma il clima intellettuale era mutato, il discorso di riforme sostenuto dal Caracciolo aveva fatto emergere ed affermare in modo quasi esclusivo interessi culturali estranei alla formazione intellettuale del D., che, in una lettera rivolta al fratello Salvatore Maria, così se ne lamentava: "Le nostre cognizioni ... di antichità, di storia e di critica, e soprattutto delle scienze ecclesiastiche e la maniera con cui abbiamo sinora scritto puzzano di secentismo e non sono più al gusto del presente secolo ... se non si fanno dei progetti conducenti alla privata e pubblica felicità; se non si propongono nuovi piani di legislazione; se non si attaccano per diritto e per rovescio i privilegi feudali; se non si promuove, sostiene ed esalta la libertà ... gli autori saranno scherniti" (Letterasugli antichi divieti del lusso e del giuoco in Sicilia, in Nuova Raccolta di opuscoli di autori siciliani, III [1790], pp. 89-115).
Nel 1788 un ulteriore contrasto lo opponeva al Gregorio in relazione alla vicenda delle falsificazioni dell'abate G. Vella. Il Gregorio, in una lettera stampata a Malta, espresse sospetti sull'autenticità delle interpretazioni del codice arabo fornite dal Vella; contro di lui ed in difesa dell'abate maltese, insorse, con violenta polemica, il D. (Giudizio sopra una lettera di L. de Veillant proposto da Alessio Aganippeo, Palermo 1788); dallo scandalo che, infine, concluse l'intera vicenda quello che emerse più chiaramente fu la poca dimestichezza di lingua e storia araba tra i cultori di storia siciliana. Nel 1790 il D. diede alle stampe a sue spese la Storia cronologica, ricostruzione delle vicende siciliane durante i tre secoli di viceregno spagnolo (Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1790-91).
L'opera si riallacciava alla tradizione erudita della storiografia siciliana del XVII secolo, alle cronologie di A. Amico, del Pirri, di V. Auria manchevoli soprattutto per i secoli XV e XVI, delle quali si proponeva di correggere gli errori di datazione. Ma l'ampiezza della documentazione andava ben oltre una mera catalogazione dei viceré e presidenti del Regno. Il D. fece ampie ricerche, oltre che sulle cronache edite e sulle raccolte di documenti compilate da studiosi siciliani, sui diari e le cronache inedite della Biblioteca del Senato di Palermo, su fondi del Grande Archivio fino allora pressoché inesplorati. Per la ricchezza delle informazioni, per lo stile sobrio e misurato della narrazione, la Storia cronologica ebbe immediato successo, venne più volte ristampata e da essa discesero le ricostruzioni storiografiche più note del XIX secolo.
Negli anni successivi il D. pubblicò altri brevi lavori di carattere storico erudito, curò l'edizione dell'opuscolo Sicani (seu Siculi) reges ... (Neapoli 1792), un compendio che andava da Ruggero I a Filippo II compilato a Madrid nel 1595 da Ferdinando Paternò. Ma soprattutto continuò a lavorare alla Storia civile, che portava a termine nel 1792 quando, colpito da cecità, dovette interrompere ogni attività. Il manoscritto dell'opera aandò perduto insieme col codice diplomatico che ne costituiva il supporto. Dopo gli 85 anni, liberato da una cataratta, recuperò parzialmente la vista e riscrisse, con straordinario sforzo, l'opera. Nel 1811, finalmente, diede alle stampe il primo volume (Storia civile del Regno di Sicilia scritta per ordine di S.R.M. (D.G.) Ferdinando III..., Palermo 1811). Neppure in questa rielaborazione della tarda vecchiaia il D., pur tenendo conto di alcune delle osservazioni critiche avanzate a suo tempo dal Gregorio, riuscì a corrispondere all'ambizioso progetto iniziale.
Morì, a Palermo, nel 1812 mentre curava l'edizione del secondo volume dell'opera, che fu pubblicata postuma.
Fonti e Bibl.: Novelle letterarie (Firenze), XXIII (1762), col. 339; n. s., II (1771), col. 811; G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, I, Napoli 1817, ad vocem; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, I, Venezia 1843, pp. 302 ss.; G. M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, pp. 108 s.; C. Cigno, G. A. Serrao e il giansenismo nell'Italia meridionale (sec. XVIII), Palermo 1938, pp. 330 s., 339, 345, 347; S. F. Romano, Riformatori sicil. del Settecento (1770-1774), in Società, III (1947), pp. 328-352; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del sec. XVIII, in Il Diritto ecclesiastico, LXVIII (1957), 3, pp. 334-379; F. Brancato, La storiografia sicil. dell'Ottocento, in Quaderni del Meridione, II (1959), 2-3, pp. 126-141; G. Falzone, La Sicilia tra il Sette e l'Ottocento, Palermo 1965, pp. 220-223; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. italiana, LXXIX (1967), pp. 573-627 passim; D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, II, 3, Palermo 1969, ad Indicem; I. Peri, Dal viceregno alla mafia, Caltanissetta-Roma 1970, pp. 7-29; A. Saitta, introd. a R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni ai presenti, I, Palermo 1972, pp. 10-13; I. Peri, introd. a G. E. Di Blasi, Storia cronologica de' viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1974, pp. 9-41; A. Momigliano, La riscoperta della Sicilia antica da T. Falzello a P. Orsi, in Storia di Napoli e della Sicilia, I, 3, Napoli 1980, p. 774.