DENTIS, Giuseppe Bonaventura, conte di Bollengo
Nacque a Torino il 14 luglio 1651 da Gianfrancesco Giacomo, decurione di Torino, e da Lucrezia Rolando dei signori di Villarbasse.
Il suo avo Rolando Dentis era stato insignito da Carlo Emanuele I, il 3 febbr. 1614, di patenti di nobiltà senza attribuzione di un titolo specifico e di arma gentilizia che il D. ebbe confermata nel consegnamento d'arma del 1687 per sé, i fratelli e i discendenti legittimi e naturali.
Compì gli studi giuridici laureandosi in legge. Con patenti 18 genn. 1678 la reggente Maria Giovanna Battista., avendo stabilito di aumentare il numero dei componenti delle due classi del Senato di Piemonte, nominò il D. senatore ordinario effettivo nella seconda classe del Senato di Piemonte, con lo stipendio annuo di ducati 300 d'oro. Contestualmente il D., "a considerazione della carica conferitagli da Madama Reale", versò nelle mani del tesoriere generale Bernardi la "finanza" di lire 24.000 d'argento, acquisendo in tal modo il diritto di conservare l'ufficio a vita.
Sin dall'inizio della carriera al giovane senatore furono affidati numerosi incarichi nell'amministrazione della giustizia che mettono in luce le sue capacità e la fiducia accordatagli dalla reggente. Nel 1684 Vittorio Amedeo II, che aveva assunto i pieni poteri, gli confermò la stima dimostratagli dalla madre; nello stesso anno lo chiamò a ricoprire la carica di giudice e conservatore generale delle Reali Caccie in sostituzione del defunto senatore B. Rasino, suo parente. Con tale incarico il D. ebbe piena giurisdizione in materia di cacce, boschi e selve, sino alle sentenze definitive, con l'esclusione delle condanne corporali che dovevano essere confermate dal Senato. Nel 1691 il sovrano estese la sfera delle sue competenze delegandogli la piena gestione della Venaria reale. Negli anni 1686-1687, durante la persecuzione contro i valdesi, il D. compì alcune missioni nelle valli di Susa e nella zona di Carmagnola, con l'incarico di sovrintendere all'esecuzione degli editti sovrani sulla confisca dei beni ai "religionari ribelli", poiché gruppi di questi ultimi avevano sconfinato in tali zone allo scopo di occultare il proprio bestiame.
Nel corso del successivo conflitto con la Francia (1690-1696) il D. si recò a Cuneo con ampia delega da parte del sovrano, allo scopo di far luce sulle malversazioni avvenute nella costruzione delle fortificazioni della città e nell'approvvigionamento di biade per l'esercito. Per far fronte ai costi crescenti della guerra, il sovrano fu costretto a rinnovare l'editto 14 luglio 1681 sulla disponibilità delle cariche e a far ricorso alla vendita di nuovi tassi. Il D., detentore di un ingente patrimonio, impegnò parte dei suoi beni in tale direzione. Con patenti 9 giugno 1693 ottenne, dietro pagamento di una "finanza" di lire 8.333, soldi 6 e denari 8 d'argento, la disponibilità "per una volta tanto" della sua carica di consigliere e senatore di Piemonte, e con patenti 31 ag. 1696 l'alienazione del tasso dovuto dalla Comunità di San Michele di Chieri per il capitale di scudi 200. Successivamente, nel 1706, in un'altra grave congiuntura dello Stato, acquistò il tasso dovuto dalla Comunità di Ciriè.
Fu, intendente della provincia di Torino dal gennaio 1697 al marzo 1698, svolgendo l'oneroso e importante ruolo di collegamento tra il governo centrale e quello periferico.
Alla fine del secolo fu chiamato a ricoprire l'ufficio di conservatore generale dell'Università, avendo con tale carica cognizione di tutte le cause nelle quali fossero offesi i diritti e i privilegi concessi all'università, nonché di tutte le cause penali e civili, con l'eccezione di quelle che concernevano ragioni reali, demaniali, feudali e di gabelle, nelle quali era interessato il personale dell'università.
"La sperimentata abilità e lo zelo dimostrato in tante occasioni" gli fruttarono l'incarico più delicato e di maggior prestigio. Nel 1711 Vittorio Amedeo II lo inviò a Milano insieme a G. G. Fontana, contadore generale delle milizie e genti di guerra, quale plenipotenziario per trattare con i rappresentanti imperiali la cessione delle terre del Vigevanasco, dell'Alessandrino e della Lomellina, promesse dall'imperatore col trattato di lega dell'8 nov. 1703 come indennità delle spese di guerra, e mai concesse.
Nella lunga trattativa, iniziata sul finire del 1711 e conclusasi nel maggio del 1713, il D. ebbe una parte preminente nella composizione della vertenza. Le difficoltà incontrate nel corso di tale vicenda sono testimoniate da una serie di relazioni e lettere inviate a Torino, dalle quali traspare peraltro anche la preoccupazione per i propri affari privati trascurati per così lungo tempo.
Parallelamente alle funzioni svolte nell'ambito dell'apparato statale, il D. si dedicò intensamente alla cura del governo della città come già avevano fatto il padre e il nonno; fu consigliere comunale della città di Torino dal 1695 al 1720, ricoprendo negli anni 1706 e 1708 anche la carica di chiavario. Per sei volte tra il 1697 ed il 1718 fu conservatore del Monte di S. Giovanni Battista, fatto erigere nel 1681 da Vittorio Amedeo II per provvedere alle spese per le sue nozze con l'infanta Isabella del Portogallo, peraltro mai celebrate.
Gli ultimi anni dei D. furono più sedentari, ma non per questo meno fruttuosi. Nel 1715 fu nominato conservatore dell'Accademia degli Incolti, quando si ripresero i lavori dopo il lungo periodo di stasi dovuto alle guerre. La sua preparazione giuridica, già dimostrata in età giovanile col saggio Consultatio iuris super secretariorum apostolicorum suppressione, in qua discutitur de proprio significatu verbi restituere..., trovò più matura espressione nel corso delle discussioni promosse in relazione alla riforma legislativa voluta da Vittorio Amedeo II.
Tale riforma nasceva dalla necessità di porre finalmente un rimedio al caotico ammasso di leggi che costituivano la legislazione sabauda, per agevolare il compito dei giudici e garantire una giustizia più certa e sicura. Il grandioso progetto prevedeva la compilazione di due corpi separati di legge, l'uno destinato a contenere leggi civili e l'altro quelle militari. Nell'ambito dei lavori preparatori delle costituzioni militari il D. con M. I. Grancri, C. A. Ardizzone, G. B. Richélmy e G. C. Zoppi partecipò alla discussione sul fedecommesso e più precisamente sulla possibilità per gli ufficiali di pagare i debiti anche con beni fedecommissari. Del D. rimane la dotta monografia Riflessi sopra li vari capi delle Costituzioni militari che contengono anche materia portata nelle Costituzioni civili (ms.).
La parabola politica e sociale del D., tipico rappresentante del ceto burocratico sabaudo degli anni a cavallo tra il Sei e il Settecento, fu frutto di innegabili doti, ma soprattutto di larghe disponibilità economiche che gli permisero da un lato di accedere a sempre nuove cariche, dall'altro di acquisire, anche temporaneamente, quote di feudi e giurisdizioni d'essi. Infeudato di porzioni di Capriglio, Bollena, Mombello, Collegno, Trana, giunse nel 1700 all'acquisizione del feudo di Bollengo e al relativo titolo comitale trasmissibile sia in linea maschile, sia femminile.
Sposò nel 1678 Antonia Margherita Garagno dalla quale, secondo il Manno, ebbe diciassette figli, molti dei quali gli premorirono.
Morì a Torino il 9 nov. 1720.
Lasciò un testamento olografo, in seguito riposto presso l'Ufficio d'insinuazione di Torino. Nel testamento, oltre alla moglie e alle figlie Gioanna Margherita, Rosa e Irene, all'epoca ancora nubili, vengono nominati i nipoti, eredi delle figlie Isabella Scozia di Pino e Lucrezia Violante Tarino a lui premorte. Il figlio Francesco Ignazio, poi senatore del Senato di Casale, viene indicato come "mio unico figliuolo ed erede universale". Fu tumulato nella chiesa di S. Agostino, sotto l'altare di s. Deliberata, sebbene nel suo testamento avesse richiesto di essere sepolto in S. Maria di Piazza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie polit., Negoziazioni Vienna, m. 8, fasc. 17; Ibid., Materie polit., Lett. ministri Milano, m. 45; Ibid., Lettere particolariD, m. 11; Ibid., Pubblica Istruz., Regia Università, m. 3, n. 17; Regie Costituzioni, m. 8, 1717 in 1720 e 1722, n. 19; Ibid., Camerale, Patenti controllo Finanze, reg. 1677 in 1678, f. 34; reg. 1679, 1, f. 91; 2, f. 217; reg. 1680 in 1681, f. 119; reg. 1681, 1, f. 32; reg. 1681 in 1682, f. 105; reg. 1683, f. 92; reg. 1683 in 1684, ff. 56, 136; reg. 1684 in 1685, f. 191; reg. 1687, f. 46; reg. 1687 in 1696, f. 60; reg. 1688, f. 18; reg. 1690, f. 185; reg. 1690 in 1691, f. 81; reg. 1691 in 1692, ff. 65, 206 s.; reg. 1692 in 1693, ff. 22, 168; reg. 1696 in 1697, f. 90; reg. 1697, f. 195; reg. 1697 in 1699, f. 206; reg. 1700, 2, f. 46; reg. 1700 in 1701, f. 26; reg. 1701 in 1702, f. 99; reg. 1706 in 1707, f. 55; reg. 1711 in 1712, f. 108; reg. 1712 in 1713, f. 19; Ibid., Art. 688, par. 1, Interinazioni patenti, reg. 1677 in 1678, n. 130, f. 159; reg. 1691 in 1693, n. 139, f. 112; reg. 1699 in 1700, n. 148, f. 227; Ibid., Art. 737, par. 1, Comegnamenti, reg. 316, f. 467; reg. 334, f. 206; reg. 328, f. 269; Ibid., Art. 852, par. 1, Consegnammti di stemma, 1, c. 60; Ibid., Insinuazione di Torino, 1721, I. 2, c. 1359; Torino, Archivo storico comunale, Ordinati, dal 1695 al 1720; Ibid., Sezioni riunite, G. Claretta, Dizionario biografico genealogico del Piemonte (ms.), ad vocem; Ibid., A. Manno, Il patriziato subalpino (datt.), VIII, pp. 75 s.; A. Fontana, Amphitheatrum legale in quo quiliber operum legalium author habet suam sedem ordine alphabetico coliocatam seu Bibliotheca legalis..., Parmae 1688, col. 286; [P. G. Galli della Loggia] Cariche del Piemonte e paesi uniti, Torino 1798, II, pp. 38, 205; C. Dionisotti, Storia della magistr. piemontese, Torino 1881, II, p. 332; M. Viora, Le costituzioni piemontesi, Torino 1928, p. 82; G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957, II, pp. 352, 441.