DELO (Δῆλος, Delos; A. T., 82-83)
Una delle Cicladi, situata nel gruppo settentrionale, fra Micono (Mýkonos) e Réneia. Allungata in senso meridiano (lunghezza 5 km., larghezza massima 1,3) ha un'area di 5,2 kmq. Da Rēneia la separa un angusto canale interrotto da due isolotti disabitati, detti ὁ μεγάλος e ὁ μικρὸς ‛Ρεματιάρης (la grande e la piccola Isola della corrente). Il contorno è abbastanza frastagliato, onde non scarseggiano gli approdi. Sulla costa occidentale ve ne sono tre: la calanca di Scardana, il Piccolo Porto (antico Porto Sacro) e il porto di Foúrni (l'antico porto commerciale). Sulla costa che fronteggia Micono, è la cala di Guerra, oggi approdo preferito dei velieri. A settentrione, l'isola presenta due promontorî, il Kávo Kamēla e la Kakē Poũnta; all'estremità sudoccidentale termina con un isolotto a forma falcata, detto Granítēs Poũnta.
L'isola è di costituzione granitica, e culmina nel conico Monte Cinto (107 m.), arido e spoglio di vegetazione, che ad oriente scende ripidamente verso il mare. È attraversata da N. a S. da un torrentello, l'Inopos, che si perde senza raggiungere il mare. Le fasi di crescenza di questo fiumiciattolo furono dagli antichi poste in relazione con quelle del Nilo. Nei riguardi idrologici segnaleremo ancora il Lago Sacro, e qualche pozzo recentemente scavato. Nell'antichità l'isola era approvvigionata da cisterne.
L'isola deve aver sempre mancato di vegetazione. Gli antichi menzionano solo una palma, presso cui avrebbe partorito Latona. Ora non esistono che alcune macchie rade. La fauna era limitata a qualche lepre e forse qualche quaglia, oggi pur esse sparite.
La primitiva popolazione era composta di pirati carî. Poi, successero gli Ionî. La città, sviluppatasi intorno al santuario e sorta a grande splendore, aveva già cessato di esistere nel sec. II dopo Cristo. Ora nell'isola abita saltuariamente qualche pastore della vicina Mýkonos, e stabilmente il custode degli scavi.
Topografia.
L'isola di Delo fu visitata già nei primi tempi dell'indagine archeologica da viaggiatori e studiosi come Ciriaco d'Ancona e Cristoforo Buondelmonti; Ludwig Ross esplorò l'isola verso la metà del secolo scorso, identificando il corso dell'Inopo. Ma lavori di scavo sistematici furono iniziati appena nel 1873 dal Lebègue, che sterrò i ruderi sulla sommità del Cinto. La sua opera fu continuata dallo Stamatakis, che eseguì saggi per conto della Società archeologica greca; a lui successe nel 1877 l'Homolle, che condusse varie campagne di scavo fino al 1888, liberando il tempio di Apollo e gli edifici circostanti. Hauvette-Besnault e S. Reinach lavorarono quindi al Santuario degli dei stranieri, al Kabeirion e agli edifici intorno al lago. La Scuola archeologica francese d'Atene, completando l'opera, mise in luce i resti di 60 edifici, numerosissime iscrizioni relative alla storia e all'amministrazione del santuario e diverse opere d'arte, fra cui le più importanti sono quelle arcaiche. Non a torto infatti Delo fu definita, per la ricchezza dei suoi ritrovamenti, il deposito principale della scultura cicladica.
Il porto antico, oggi insabbiato, fu compiuto, sebbene i lavori relativi avessero avuto inizio nella più alta antichità, nel periodo della maggior prosperità dell'isola (seconda metà del sec. II a. C.), dall'epimeleta Teofrasto. Esso consiste in due moli e in una banchina di granito, dalla quale si stacca una scogliera di protezione. A N. e a S. si vedono ancora, semisommersi nel mare, dei magazzini.
In prossimità sorge l'Agorà dei Competaliasti, anticamente ornata di statue e di sacelli della confraternita omonima, che in età romana rendeva culto ai Lari Compitali. È qui che cominciava la larga Via delle Processioni, che faceva il giro del sacro recinto, fiancheggiata fino al propileo d'ingresso da due lunghi portici: quello occidentale, con doppia colonnata dorica, costruito per metà da Filippo V di Macedonia e per l'altra metà un secolo più tardi; e quello orientale, detto "piccolo portico", con colonnato sulla strada e botteghe in fondo, risalente al sec. III.
Alla fine dei portici menzionati si lascia a destra l'esedra marmorea di Soteles, eretta su una piazza delimitata dal Portico tetragono o Agorà meridionale, costruita nel sec. II dai mercanti italici e ateniesi per i loro traffici: nell'interno erano diverse botteghe e un tempio dedicato ad Afrodite e ad Ermete. In età romana vi si sovrapposero delle terme. Nell'angolo SE. dell'Agorà sorgeva il monumento circolare di Tritopatore. Riprendendo la Via delle Processioni si giunge al Propileo, opera ateniese del sec. II, con due file di quattro colonne doriche ciascuna. Il Recinto sacro o Hieron d'Apollo, costituisce la parte più interessante delle rovine: esso è di forma press'a poco trapezoidale e occupa un'estensione di più di due ettari. I soli dati dello scavo ci sovvengono nell'identificazione dei monumenti, poiché gli autori antichi non ne fanno particolareggiata menzione. Molta incertezza regna del resto ancor oggi intorno ad essi, tanto più che costruzioni medievali dei Cavalieri di S. Giovanni di Rodi s'impostarono sui ruderi classici, determinandone spesso la completa rovina o confondendone il materiale.
Si sbocca dapprima sulla Piazza delle Feste, lastricata e disseminata un giorno di statue votive. Da un lato essa è chiusa da una terrazza coperta, piegata ad angolo retto, che ha riscontro e continuazione, a destra del propileo, nel Tesoro dei Nassî o Portico Ionico, edificio a due navate distinte da un colonnato, aperto a ciascuna estremità con un pronao a colonne ioniche. Esso serviva per il passaggio diretto al tempio di Apollo, ed era stato dedicato dai Nassî, come risulta dall'iscrizione apposta sulla base della colossale statua arcaica del dio (sec. V a. C.).
Di questa statua, che a detta dell'iscrizione doveva formare un sol blocco di marmo col piedistallo ed era opera di Ificartide di Nasso, furono trovati alcuni frammenti, ora in parte nel museo locale e in parte a Londra. Essa rappresentava il dio nell'atteggiamento delle statue arcaiche dei kouroi (κοῦροι), nudo meno che intorno alle anche, fasciate d'un rivestimento metallico. Dono essa stessa dei Nassî rovinò in seguito alla caduta del palmzio di bronzo, ex-voto di Nicia (circa il 425) di cui esistono ancora le fondazioni dall'altro lato del Propileo.
Procedendo s'incontra l'Artemision, costituito da un sagrato sul quale sorgono i resti di due templi, differentemente orientati, dedicati ad Artemide. Il sagrato è chiuso a N. e ad E. da un colonnato a gomito; il tempio minore, ionico amfiprostilo, è il più recente (sec. III); l'altro, con fondazioni in tufo, appartiene al sec. V.
In questi paraggi furono rinvenute le statue femminili arcaiche, rappresentanti la dea e le adoranti, e che vanno dall'espressione plastica appena sbozzata (statua di Nicandra di Nasso), a imitazione degli antichi xoana (ξόανα) in legno, alla trattazione già evoluta dei tipi simili alle korai dell'Acropoli; e quella della Nike volante, attribuita a Micciade e Archermo di Chio e alla loro scuola, uno degli esemplari più notevoli dell'arte arcaica. Delo ci ha dato così alcuni fra i più antichi esemplari di quell'arte ionica insulare di Chio e di Nasso, che doveva sì efficacemente influire poi sulla nascente arte attica. Forse il tempio arcaico va identificato col Tempio dalle sette statue, menzionato negl'inventarî, e non è escluso che proprio queste ultime ci siano state restituite dallo scavo. A sud del tempio avanza fra l'altro una base di statua equestre del proconsole L. Silla.
A occidente dell'Artemision sorge un portico ionico di età romana. Continuando il percorso della Via Sacra si costeggia una terrazza, sulla quale sorgevano tre templi, poi si piega ad arco dinanzi a sei piccole costruzioni, forse i tesori (detti negl'inventarî oikoi) dei Lidî, degli Andrî e dei Delî, o abitazioni di sacerdoti.
La piazza che si forma dinnanzi al tempio di Apollo (il primo dei tre ora nominati) è delimitata dal sesto di questi piccoli edifici, che per la presenza d'un vestibolo e di un opistodomo potrebb'essere anche un vero tempio. Un altro edificio arcaico, di forma allungata, con colonnato centrale, allineato con esso, potrebb'essere il Pritaneo. Attiguo a questo, ma situato fuori del sacro recinto, è il tempio di Dioniso, che s'apre sulla piazza già menzionata dell'Agorà quadrata.
Il primo dei templi che s'incontrano al gomito formato dalla Via Sacra, su questa affacciato con un pronao a quattro colonne, è costruito in tufo e risale al sec. VI. Esso conteneva una statua arcaica degli scultori Tecteo e Angelione, raffigurante Apollo. Forse è da identificarsi col porinos oikos ripetutamente menzionato dalle iscrizioni, o col Letoon o tempio di Latona. L'altro, dorico anfiprostilo, in marmo pario, costruito nel sec. V, era stato edificato dagli Ateniesi e ne portava il nome. Esso conserva nella cella, che ospitava fino al 454 il tesoro federale, un basamento semicircolare, ove alcuni autori vorrebbero collocare le sette statue.
In contrasto con questo tempio ateniese i Delî eressero, nel periodo della loro indipendenza (sec. IV), il Δηλίων νεώς, cioè il tempio dei Delî propriamente detto. Rovinato quasi completamente, esso si è rivelato dopo lo scavo quale un dorico periptero, con sei per tredici colonne, scanalate alla base e alla sommità. La cella, aperta ad oriente, aveva pronao e opistodomo con due colonne per ciascuno.
Della decorazione del tempio, che si ergeva su una costruzione in pietra locale ed era tutto in marmo pario, furono rinvenuti alcuni frammenti delle sculture frontonali (ratto d'Orizia da parte di Borea, e di Cefalo da parte di Eos), e frammenti della cornice coi gocciolatoi a testa di leone. In questi paraggi, uno scavo in profondità rivelò la presenza di un abitato e di una necropoli di età micenea.
Dietro al supposto pritaneo si estende una costruzione di forma allungata, il cosiddetto Santuario dei tori, costruito nel sec. III, e così chiamato dalle protomi degli animali che ne decorano alcuni dei capitelli.
Consiste di un pronao a colonne doriche, cui succede una galleria che include un rettangolo allungato, intorno al quale corre una specie di marciapiede. Si crede che questa parte servisse ad accogliere le teorie che eseguivano il geranos o danza delle gru, istituito, secondo la tradizione ateniese, da Teseo al ritorno da Creta, e celebrato in onore di Latona, di cui il coro imitava gli errori. Il santuario propriamente detto, sito all'estremità settentrionale, rinchiude alcune sostruzioni triangolari a sperone, nelle quali si vogliono riconoscere le basi dell'Altare delle Corna (κεράτινος βωμός), istituito da Apollo stesso bambino con le spoglie di alcuni animali uccisi da Artemide sul Cinto, e considerato una delle meraviglie del mondo antico. Altri, identificando l'intero santuario col Pythion, vorrebbe vedere invece nel basamento triangolare gli avanzi di un monumento navale. Sullo spiazzo dinnanzi all'ingresso del santuario sorgeva l'altare di Zeus Polieus e Atena Poliàs, opposto alla porta d'accesso sud-orientale del sacro recinto. Tra il santuario e il muro di cinta orientale del peribolo era il bosco sacro di Apollo, composto di lauri, palme, olivi.
Procedendo verso settentrione, s'incontrano delle esedre onorarie e il lungo basamento delle 15 statue dei prógonoi, gli antenati, di Antigono Gonata, al quale è dovuta la costruzione del portico che da lui prende il nome, e che dalla decorazione a bucranî dei triglifi fu detto anche Portico dei tori. Le camerette contenute nel retroportico, addossate al muro esterno del peribolo, erano i katagogia, cioè gli alloggi, destinati ad accogliere i theoroi o rappresentanti inviati dalle città alle feste solenni del santuario. Il Portico dei tori confina col propileo settentrionale, e tra questo e l'Artemision sorgono altre costruzioni non precisate, in una delle quali forse si deve riconoscere il porinos oikos delle iscrizioni, destinato ad accogliere gli arredi del culto e delle processioni. Uscendo dalla porta orientale del recinto, munita pur essa di propilei, s'incontra un piccolo Dionysion a esedra, ove furono trovate delle statue di Muse, e il monumento dionisiaco di Karystios; svoltando l'angolo, a pochi metri dalla parete di fondo del Portico dei tori, sono i resti della fontana Minoe, con portico a sei colonne doriche.
In questa direzione si trovava il Lago Salato o Trocoide, che ospitava i cigni sacri di Apollo, e presso al quale avrebbe partorito Latona. Intorno ad esso sorgeva la città degli affari, ove avevano preso stanza le corporazioni (sinodi) mercantili degli stranieri residenti, uniti tra di loro in pari tempo dall'esercizio di culti comuni. La più importante di queste è quella degli Ermaisti, che aveva sede nell'Agorà degl'Italiani, o Schola Romanorum, ampio quadriportico circondato all'esterno da botteghe. Intorno al cortile centrale erano disposte parecchie nicchie, logge, esedre ornate di statue e di mosaici. La statua di C. Ofellius Ferus, opera di Dionisio e Timarchide ateniesi, vi fu trovata ancora in posto. Qui fu pure rinvenuta la statua del Galato combattente, ora al Museo Nazionale di Atene. Ad occidente dell'Agorà furono scavati il basamento d'un tempio dorico del sec. IV-III, forse dedicato a Posidone, un edificio a botteghe, sede d'una corporazione sconosciuta; e più a settentrione la Terrazza dei leoni, di cui cinque, arcaici, di stile ionico e di scuola nassia, furono trovati in posto, mentre un sesto è ora avanti all'ingresso dell'Arsenale di Venezia.
Scendendo verso la banchina antica, si passa innanzi alla Sala Ipostila, una specie di Borsa, costruzione del sec. II a. C., a 5 ranghi di colonne, e si giunge all'Agorà di Teofrasto, così denominata dalla base di statua di questo epimeleta, che vi fu rinvenuta. Di là dal lago furono scavate, oltre a molte case e magazzini, la sede della Corporazione dei Posidoniasti di Berito, ricca di opere d'arte, e una palestra dalla quale proviene la statua del Diadumeno, rinvenuta in una casa attigua. Più a nord sono il Ginnasio e lo Stadio.
Ritornando all'Agorà dei Competaliasti per salire alla parte alta, si attraversa la città vera e propria, simile in un certo senso a Pompei per la buona conservazione dell'elevato delle abitazioni, fra le quali notevole la Casa di Dioniso, quella del Tridente, quella del Delfino e quella dell'Inopo, quest'ultima sulla riva del fiumiciattolo omonimo, oggi disseccato. Queste case, coi loro peristilî e la tipica disposizione dei locali, la decorazione a mosaici, stucchi, affreschi, ci dànno un'immagine viva e completa di ciò che erano le abitazioni d'una città greca del sec. II-I a. C. Alla sommità del primo gruppo, che è intersecato da un dedalo di viuzze, è stato scavato il teatro, risalente alla prima metà del sec. III. Diviso in due precinzioni, esso conserva ancora alcune file di sedili intorno all'orchestra. La scena era recinta da portico su tutti e quattro i lati.
Più su s'incontrano un serbatoio d'acqua destinato all'alimentazione idrica della città bassa; il Santuario dei Cabiri di Samotrace e quello degli dei stranieri, orientali, egizî e siriani, costituito da un complesso di terrazze, cortili, portici, esedre, cappelle riservate ai differenti culti e alla celebrazione dei misteri. In pochi minuti si sale di là alla vetta del Cinto, ove si conserva il tempio-caverna, destinato ad accogliere forse un oracolo di Apollo Cintio, la cui persistenza si può seguire fino all'età di Giuliano. La caverna è in gran parte artificiale: la copertura consiste in lastroni giustapposti a doppio spiovente. È chiusa verso l'esterno da un muro poligonale con porta. Poco dopo si è al Santuario di Giove e di Atena Cinzî.
L'insieme delle rovine si completa coi magazzini e le banchine della città commerciale, situata sul mare, a S. del porto mercantile. Anche qui esistevano gettate costruite nel 126 a. C., sulle quali si allineavano le botteghe di vendita, con ampî locali per deposito. I vasti isolati sono solcati da vie rettilinee, intersecantisi ad angolo retto, e sembrano rispondere a una concezione preordinata.
Delo, col suo santuario frequentato da tutte le stirpi dell'Egeo e dai Romani, non poteva non essere un centro artistico della massima importanza. Ma le ragioni stesse del suo splendore dovevano attirarvi produzioni varie di genere ed origine. Poca importanza in effetto vi hanno i prodotti locali, sebbene l'isola non mancasse di materiali, come il rame e il marmo, adatti agli scopi plastici.
Dopo la fioritura arcaica, alla quale appartengono la Nicandra di ′asso, la Nike volante, gli Apolli in forma di kouroi e le Artemidi ieratiche, i leoni e i frammenti di una sfinge simile a quella dei Nassî a Delfi, abbiamo nei frontoni e nelle altre decorazioni dei templi, nelle statue di culto, nei doni votivi, nelle statue onorarie o commemorative, nei soggetti di genere o della scultura detta di appartamento un campionario vasto e scelto di tutte le tendenze e le forme della plastica greca, specialmente degli ultimi tre secoli avanti l'era volgare.
Così le amazzoni e le scene di combattimento, le nereidi e i tritoni del Santuario dei tori si alternano con le statue atletiche della palestra (Diadumeno, testa di atleta in bronzo), col Galata dell'Agorà degl'Italiani, col rilievo pittorico bronzeo del tempio di Agathe Tyche, raffigurante Artemide in mezzo ai Satiri che ravviva il sacro fuoco dionisiaco, con le statue degli antenati di Antigono, di epimeleti benemeriti e di proconsoli romani. Delo, situata a metà strada fra la Grecia continentale e l'Asia Minore, aperta a tutte le influenze, non poteva mancare di renderci sculture dei due diversi indirizzi predominanti all'epoca del declinare dell'arte ellenistica, che coincide con quella del suo maggior splendore. Infatti il lavoro più intenso che vi si riscontra appartiene al periodo tra il sec. II e l'età mitridatica. Tendenze pergamene e siriane vi si fanno strada accanto alle rinnovate forme dell'atticismo, ormai arcaizzante nella sua fredda veste accademica. Ad esse dobbiamo da un lato il Galata già menzionato e altre figure di barbari, i fauni e i sileni, l'Eracle Epitrapezio dei Posidoniasti di Berito e il gruppo di genere, molle e lascivo, di Afrodite, Pan ed Eros; dall'altro, la copia del Diadumeno e una Latona che risente dell'Irene cefisodotea. La scuola rodia è rappresentata dalle Muse, quella asiana dalle opere perdute di Boeto di Calcedonia e di Agasia, forse parente dell'omonimo Efesio, che firma il gladiatore o lampadodromo Borghese del Louvre (v. agasia, p. 837).
E ancora, in mancanza di opere, ci sono tramandate menzioni epigrafiche di artisti come Aristandro, Policle, Efestione, Mirone, Eutichide ateniesi, e persino del cireneo Poliante.
Resti di officine scoperti nell'isola attestano l'attività della produzione, che si estende alla coroplastica con una grande testa patetica di Zeus. I ritrovamenti si prestano inoltre a utilissime osservazioni relative alla tecnica nel periodo del decadente alessandrinismo; si nota la grande frequenza dei pezzi di riporto, la costruzione delle statue "a strati" mediante semplice giustapposizione, senza neppure i consueti perni metallici, la predilezione per la policromia. La casa di Kerdon, quella del Diadumeno, quella dell'Agorà degl'Italiani hanno il loro riscontro in altre abitazioni private, ove il benessere e il lusso favorivano l'affermarsi di decorazioni musive e di stucchi architettonici e affreschi, che possono tenere il confronto con quelli del primo stile pompeiano. (v. tavv. CLIX e CLX).
Bibl.: École française d'Athènes: Exploration archéologique de Délos, Articoli pubblicati da diversi autori in Bulletin de correspondance hellénique, in Revue arch., in Monuments Piot e in Comptes Rendus de l'Ac. des Inscr.; G. Fougères, in Guide Joanne, Grèce, 2ª ed., Parigi 1911; P. Roussel, Délos, colonie athén., Parigi 1917; P. Picard, La sculpt. ant., I e II, Parigi 1923-1926, passim.
Storia.
La testimonianza letteraria più antica sulla vita religiosa dell'isola è nel cosiddetto inno omerico in onore di Apollo Delio, composto nell'ottavo o nel settimo secolo a. C. L'inno canta il vagabondaggio di Latona perseguitata dalla collera di Era, e la nascita di Apollo nella piccola isola rocciosa, che miracolosamente si copre d'oro e di fiori; ma celebra anche la solennità e lo splendore delle feste e delle gare in onore del dio, e attesta il numeroso concorso di fedeli, Ionî dell'Egeo e dell'Asia Minore, con le loro donne e i loro figliuoli. Si è pensato che un legame politico unisse allora le Cicladi in una confederazione, e che Delo ne fosse il santuario federale. Il che è possibile e verosimile, ma in nessun modo testimoniato.
Predominio ateniese. - Relazioni dovettero correre fin dai tempi più antichi fra Delo e Atene. Se ne conserva traccia nella tradizione leggendaria che faceva sbarcare a Delo eroi venerati dagli Ateniesi, Erisictone e Teseo. Ma il primo atto di sovranità politica da parte di Atene si può riconoscere nella purificazione dell'isola ordinata dal tiranno Pisistrato; il secondo, alla distanza di tre quarti di secolo, nell'istituzione della lega delio-attica, il 478. Nell'intermezzo abbiamo prima il breve ma splendido predominio di Policrate, tiranno di Samo, su tutte o quasi tutte le isole dell'Egeo e quindi anche su Delo (cui, secondo che ci narra Tucidide, congiunse mediante catene la piccola e vicina isola di Rēneia); poi, al tempo delle guerre persiane, la soggezione di Delo ai Persiani, che tuttavia dimostrarono grande ossequio religioso.
Il periodo del predominio ateniese, in cui Delo fu il cuore della lega delio-attica (v.), dura fin dopo la morte di Alessandro Magno, interrotto da pochi anni d'indipendenza sotto il protettorato spartano subito dopo la caduta dell'impero ateniese (403 circa-378).
Il predominio ateniese gravò su ogni forma della vita delia. Tutto ciò che concerneva il culto passò in mani ateniesi, dall'amministrazione dei beni sacri (la sostanza sacra del dio si può valutare per il sec. V a 100 talenti) alla celebrazione delle feste (il 425 fu introdotta una solenne festa quinquennale, con gare ginnastiche poetiche e ippiche alla maniera panellenica). I magistrati ateniesi, cui s'affidava tale soprintendenza, erano detti Anfizioni; erano in numero di cinque e duravano in carica un anno (la durata di 4 anni, testimoniata dalla famosissima iscrizione che è nota sotto il nome di marmor sandwicense, sembra essere dovuta a un provvedimento eccezionale in un periodo molto grave, 377-4). Gli Anfizioni ateniesi erano assistiti da magistrati indigeni, che nel sec. V son detti neokoroi (νεωκόροι), nel IV ieropoioi (ἱεροποιοί), cui erano riservati gl'incarichi di minore importanza, specie la sorveglianza degli oggetti sacri.
Indipendenza. - Solo negli ultimi anni del sec. IV Delo riconquista la sua indipendenza, probabilmente nel 314. Ma già nel 288 entra a far parte della "lega degl'Isolani" (κοινὸν τῶν Νησιωτῶν), sia pure come centro religioso e politico, ma sotto il protettorato tolemaico. Il quale, se fu meno grave di quello ateniese, se concesse ai magistrati delî completa la cura dei tesori del dio e la gestione dei beni sacri, tuttavia, favorendo lo sviluppo commerciale di Rodi, ostacolò quello di Delo. La trasformazione di Delo da centro religioso a centro commerciale s'inizia intorno alla metà del sec. III, quando vien meno il predominio tolemaico sull'Egeo, e la lega degli Isolani si scioglie e Delo riacquista la sua indipendenza. In questo periodo, che dura poco meno di un secolo, i Delî, retti internamente a repubblica democratica, professano di fronte agli stati esteri una politica di neutralità; ma nel fatto sono forti della protezione dei sovrani di Macedonia. Per impulso di questi, soprattutto, l'isola diventa un magazzino di cereali, alla quale approdano non solo i loro agenti a fornirsi del grano del Chersoneso e di Numidia, ma ancora mercanti d'Asia Minore e di Siria e d'Egitto; in maniera che Delo diventa il cuore di una fitta rete di relazioni, delle quali abbiamo prova sicura non solo nelle testimonianze degli antichi scrittori, ma più nei numerosi decreti di prossenia concessi a uomini delle più diverse regioni. Delo diventa popolosa e cosmopolita. Alla neutralità politica corrisponde in campo religioso la tolleranza dei culti. Delo non è più l'isola sacra ad Apollo, ma l'isola sacra per eccellenza: ad Apollo, Artemide, Zeus, Serapide, Iside, Anubide; ai sovrani ellenistici deificati (Antigono, Tolomeo, Filocle di Sidone).
Predominio romano. - La politica di neutralità e di generale ossequio, che poteva essere ambiguamente interpretata, costò a Delo l'indipendenza. L'anno 166, vinto re Perseo e abbattuto il regno di Macedonia, Roma rimise in possesso degli Ateniesi l'isola e il santuario; non il porto, che divenne porto franco. Poco dopo i Delî furono banditi dalla loro patria e trovarono accoglienza in terra achea, perdendo ogni loro diritto. Delo viene ora popolata da coloni ateniesi: ateniese il capo del governo, col titolo di epimeleta; ateniese tutta l'amministrazione; ateniese l'arconte eponimo. Ma da questo momento a fianco di Atene c'è Roma: Delo è magazzino e mercato comune dei Greci e degl'Italici. Tre fatti giustamente si sogliono addurre a spiegazione del rapido e splendido sviluppo commerciale di Delo: la distruzione di Cartagine che riversò nei porti del Mediterraneo orientale i mercanti di Siria (146); la distruzione di Corinto (anch'essa nel 146), di cui Delo raccolse l'eredità, come osservò già Strabone; la riduzione dell'Asia Minore a provincia romana, che intensificò assai le relazioni fra Occidente ed Oriente e fece di Delo, per la sua posizione e per la sua tradizione, una tappa necessaria (133). Il risultato fu che la popolazione dell'isola ne divenne sempre più varia e instabile. Ma quei mercanti che almeno per un certo tempo devono risiedere nell'isola si uniscono in associazioni (quella dei "Romani" e quella degli "Elleni"), le quali, congiunte a quella degli Ateniesi, costituiscono una grande assemblea comune che di corpo politico ha almeno la parvenza. Con la designazione di Elleni si comprendeva tutta la popolazione greco-orientale: Alessandrini, Fenici, gente d'Asia Minore e di Siria. Con quella di Romani gente delle più varie regioni d'Italia, da Roma a Napoli a Taranto, cittadini romani e alleati, uomini liberi e liberti e schiavi. Questi Romani erano divisi in aggruppamenti minori, non sappiamo bene secondo quale criterio e quali affinità, che pare prendessero nome dal dio che veneravano come patrono: Ermaisti, Apolloniasti, Posidoniasti, e altri. Ma tutti, Ateniesi ed Elleni e Romani, erano gente d'affari e di lucro, banchieri o mercanti che fossero.
Il decennio dal 100 al 90 a. C. segna l'apogeo dello sviluppo economico di Delo. Subito dopo, immediata e rapida, la decadenza. Scoppia la prima guerra mitridatica, Atene si allea al re del Ponto, Delo rimane fedele a Roma e subisce l'invasione e il saccheggio dei generali di Mitridate (86 a. C.). Riavutasi appena, è di nuovo e più radicalmente devastata dai pirati, l'anno 69. Le ferite sono questa volta insanabili. Delo cessa di essere centro di vita e di commercio. Le iscrizioni si fanno sempre più rare. Italici e Orientali vi scompaiono del tutto. Anche gli dei stranieri scompaiono. Apollo torna ad essere l'unico patrono dell'isola rocciosa e deserta.
Bibl.: Blebègue, Recherches sur Délos, Parigi 1876; Th. Homolle, Les archives de l'intendance sacrée à Délos (315-166 av. J.-C.), Parigi 1887; V. Schoeffer, De Deli insulae rebus, Berlino 1889; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2473 sgg.; P. Roussel, Délos, colonie athénienne, Parigi 1917; id., Les cultes égyptiens à Délos, Parigi-Nancy 1917; F. Durrbach, Choix d'inscriptions de Délos, I: Textes historiques, Parigi 1921-22; P. Roussel, Délos, Parigi 1925; W. Kolbe e W. W. Tarn, The neutrality of Delos, in Journal of Hellenic Studies, L (1930), p. 207 segg. Si veda inoltre Th. Homolle, Les Romains à Délos, in Bulletin de Correspondance hellénique, VIII (1884), pp. 75-158; J. Hatzfeld, Les Italiens résidant à Délos, ibid., XXXVI (1912), pp. 1-218; e articoli importanti e numerose iscrizioni in quasi ogni numero dello stesso bollettino.