debito pubblico, ripudio del
Dichiarazione di uno Stato che non riesce a far fronte a una situazione di default (➔), in cui la spirale deficit-debito pubblico (➔) non è più sostenibile. Lo Stato, quindi, dichiara che non rimborserà i titoli del d. della pubblica amministrazione alla loro scadenza. La perdita di credibilità (➔) dello Stato avrà conseguenze molto negative perché non potrà più, per lungo tempo, ricorrere al finanziamento in d. della spesa pubblica (➔ ). Nessuno, infatti, è disposto a sottoscrivere i titoli di uno Stato che ha ripudiato il suo debito. Il Tesoro sarà costretto a finanziare il fabbisogno finanziario emettendo moneta, con aumento dell’inflazione (➔ ). Si verificano anche soluzioni di ripudio parziale, quando viene decisa, unilateralmente, una riduzione percentuale del valore nominale dei titoli. In tal caso si parla anche di ristrutturazione del d. p. (o di Haircut). ● I casi più recenti di ripudio del d. p. sono avvenuti in Russia (nel 1998) e in Argentina (nel 2001), quando i due Stati decisero di rimborsare solo parzialmente i titoli venduti all’estero. I creditori, in tal caso, possono avviare un procedimento giudiziario, per cercare di ottenere quello che spetta loro da contratto. Nel caso argentino, in cui rimasero coinvolti molti risparmiatori italiani, dopo quasi 10 anni di ricorsi il 93% dei creditori firmò la resa, accettando un rimborso del 35%. Soluzioni intermedie più morbide del ripudio unilaterale consistono in un default programmato, in cui viene rimborsata solo una parte del valore nominale, attraverso un accordo con i creditori sulla ripartizione della perdita (soluzione adottata nel 2012 per il d. p. della Grecia). È anche possibile imporre ai creditori una dilazione delle scadenze, continuando però a pagare gli interessi negli anni di durata del debito.