DE MATTHEIS, Francesco Nicola
Nacque a Teramo l'11 sett. 1773 da padre ignoto e da una donna andata poi in sposa a un gendarme di nome Ubaldo De Mattheis. Protetto da una famiglia signorile, i Taraschi di Teramo, poté seguire gli studi ed entrare così nella magistratura.
Giudice civile, segretario della Regia Giurisdizione nel 1803, procuratore generale della Gran Corte criminale, subito dopo la Restaurazione del 1815 riuscì ad accedere, per l'appoggio dell'allora ministro di Polizia A. Capece Minutolo principe di Canosa, ai più alti gradi della carriera.
Dopo la rivoluzione del 1820, il D. criticò apertamente, in alcune sue memorie, la politica dell'ex ministro de' Medici e così, sopraggiunta la reazione, si soffermò nella stima del Canosa che vide in lui l'uomo più indicato per reggere la provincia di Cosenza, ancora agitata da tentativi rivoluzionari.
Nominato, su proposta del canosino Giambattista Vecchione, direttore del ministero degli Interni, intendente della provincia di Cosenza, il 4 sett. 1821, nel quadro di quel rinnovamento voluto dalla burocrazia legittimista e dai grandi proprietari terrieri latifondisti ed attuato dal Canosa, venne mandato in Calabria col preciso compito di spaventare le province calabresi con metodi di una dura reazione.
La Calabria si prestava ad un'azione di tal genere in quanto era ancora viva l'influenza esercitata, attraverso le numerose vendite carbonare esistenti nella regione e a lui collegate, da Raffaele Poerio, promotore con Domenico Arari e Cesare Marincola di una rivolta tentata tra il giugno e il luglio 1821 in alcuni paesi delle province di Catanzaro e Cosenza come Mesoraca, Gimigliano, Staletti e Rossano e subito fallita, non avendo trovato che scarsi consensi tra le popolazioni.
Il D. arrivò in Calabria con il categorico intento di debellare ogni tentativo rivoluzionario. Dal 12 sett. 1821 al giugno 1822 la sua condotta fu alquanto tollerante, accontentandosi, in un primo momento, dei generici sospetti che non mancarono durante i suoi primi mesi di governo e ai quali egli non prestò particolare attenzione. Anzi, non esitò a dimostrare la falsità delle accuse e ad elogiare, inversamente, il sincero attaccamento dei Calabresi al buon ordine e alla tranquillità. Ma, una volta individuati i primi focolai rivoluzionari, ne esagerò ad arte la portata perché venisse ascritta a suo merito la successiva repressione. Oggetto del suo disegno fu la setta dei Cavalieri europei riformati, dipendenti dal gran concistoro di Napoli e dalla trama cospirativa europea e il cui fine era da una parte l'instaurazione di un governo democratico-repubblicano, dall'altra il rovesciamento di tutte le monarchie europee.
Lo strumento di tutta la macchinazione concertata dal D. fu Giambattista De Gattis, un possidente di Martirano, comune posto al confine tra le due province di Catanzaro e Cosenza.
Il De Gattis, con precedenti giacobini e liberali negli avvenimenti del 1799 e che nel 1813 aveva facilitato il compito del comandante militare della provincia di Cosenza contro Vincenzo Federici, detto il Capobianco, gran maestro della vendita carbonara di Altilia, era proprietario di un terreno sito in un comune viciniore, San Mango d'Aquino, per il quale aveva pendente una controversia giudiziaria con gli amministratori locali poiché non voleva adattarsi agli usi civici che gli abitanti dei paese avevano esercitato su quella terra, già feudo di un signorotto del luogo. Il De Gattis, contando sui suoi mezzi finanziari, sperava di far prevalere la sua tesi, ma i possidenti di San Mango, per tutelare i diritti dei loro compaesani, avevano anticipato il denaro occorrente per le spese giudiziarie. Una prima denuncia, fatta dal De Gattis alle autorità della provincia, nella quale accusava i cittadini di San Mango di essere settari seguaci dei Cavalieri europei riformati, fu ritenuta infondata, ma in un secondo momento l'accusa, ripetuta, servì di pretesto al D. per approntare il suo piano.
Il De Gattis, al quale il D. aveva affidato i più alti "disimpegni" per affari di alta polizia, autorizzandolo ad armare delle persone a sua discrezione, a procedere ad arresti e a fare perquisizioni domiciliari, divenne, così, l'uomo di fiducia dell'intendente cosentino, e ciò gli conferì il diritto di accusare molti cittadini. Il centro della cospirazione era Catanzaro, definita dallo stesso D. [fucina, principale delle macchinazioni" e con diramazioni in particolare a San Mango d'Aquino, svolgente, nell'occasione, la funzione di anello di congiunzione tra i settari della provincia di Catanzaro e quelli di Cosenza.
Il D. inviò al severo ministro della Polizia Giuseppe Clary, già censurato dall'Austria che non accettava i suoi metodi, un rapporto nel quale descriveva i Calabresi pronti alla rivolta. Il ministro napoletano, credendo alle accuse del D., lo nominò unico inquisitore nelle cause politiche e gli affidò pieni poteri di procedere contro la setta anche in provincia di Catanzaró, assecondato in tutto questo dal maresciallo G. Pastore, commissario del re nelle Calabrie, e dal procuratore generale della Gran Corte criminale di Catanzaro, Raffaele D'Alessandro.
Iniziò, così, da parte del D., il quale adduceva a pretesto che i settari non meritassero alcuna garanzia di legge, una lunga serie di arresti e di torture nei confronti di presunti appartenenti alle sette e di molti testimoni, alcuni dei quali morirono in carcere di stenti e di disperazione. Il governo di Napoli, a seguito delle prime lamentele di molti cittadini calabresi, inviò a Catanzaro una commissione di polizia per studiare le condizioni della regione ed ottenne dal generale J. M. Frimont, comandante in capo dell'armata austriaca nel Regno di Napoli, che venisse inviata in Calabria una colonna di soldati austriaci, comandati da un ufficiale di pieno affidamento.
Non sentendosi sicuro a Cosenza, il D. il 19 febbr. 1823 si trasferì a Rogliano in casa dei Morelli, ricchi possidenti, dove, rimasto fino al 10 marzo, continuò le torture ai prigionieri che venivano condotti nei locali del palazzo, adottando metodi così inumani che la padrona di casa, già in precarie condizioni fisiche, esasperata dal clima di terrore che si era instaurato, sarebbe impazzita, seguita in questo anche dal figlio Fortunato.
Attraverso il colonnello Wober, uomo moderato ed imparziale, comandante delle truppe austriache in Calabria, che aveva diretto un memoriale al Frimont, presso il quale da parte dello stesso Metternich non erano mancate sollecitazioni a riguardo, il Clary fu sollecitato ad indagare sull'operato del De Mattheis. Con il ritorno al potere del Medici e dopo che a Catanzaro erano state pronunziate ed eseguite, il 24 maggio 1823, alcune condanne a morte, il D. poté essere fermato nella sua azione repressiva.
Strumento dei gruppi di potere che si fronteggiavano a Napoli, solo il 16 dic. 1825 venne emesso nei suoi confronti dalla Camera criminale della Corte suprema di giustizia un mandato di arresto e molti mesi dopo che il re aveva emanato un reale rescritto nel quale si affermava che nell'azione dell'intendente vi erano stati "intrighi, sevizie ed abusi di potere".
Il processo fu iniziato il 16 marzo 1830. Sul suo cammino si abbatterono ricorsi ed eccezioni, non tanto autonomamente presentati dalla difesa quanto a questa suggeriti e ispirati dalla politica prudente e, per più versi, ambigua del Medici, in opposizione, comunque, al sovrano e al gruppo canosino, appoggiato quest'ultimo anche dall'ambasciatore della Francia di Carlo X, P.L. Blacas. Esso ebbe una larga eco in Italia e in Europa e per molti versi, tra gli avvenimenti del regno di Francesco I, salito al trono nel gennaio del '25, fu tipico e significativo di un'involuzione reazionaria.
L'accusa venne sostenuta dall'avvocato Giuseppe Celentano, il quale chiese la pena di morte, e dal calabrese Giuseppe Marini Serra del foro di Cosenza, mentre la difesa, assunta da Leonardo Romano, ex procuratore generale, destituito nel 1821 per aver aderito al movimento costituzionale, e da Giacomo Tofano, futuro difensore di Carlo Poerio, non riuscì a inficiare che solo in parte le prove raccolte.
Dopo quattro mesi di dibattimento il D. venne condannato ' il 17 luglio 1830, a 10 anni di carcere solo per abuso di autorità. Il Canosa, durante le fasi del processo, non aveva trascurato di aiutare il suo protetto dall'esilio, facendo, tra l'altro, divulgare un pamphlet composto in collaborazione con Giuseppe Torelli, suo informatore, nel quale il D., che annunciava un libro pieno di sensazionali rivelazioni sul conto del Medici, veniva paragonato a Cicerone che lotta contro Catilina (Prospetto di difesa dell'intendente D. ossia La fedeltà oppressa e la fellonia protetta, opera importante che interessa la religione, la politica, la legittimità e l'ordine politico [Monaco 1829]; cfr. Maturi, p. 263 n. 4).
La mite condanna disorientò l'opinione pubblica ma non il governo, persuaso di aver fatto giustizia. Non si deve dimenticare che il D. era sempre uno zelante servitore della monarchia e che "la sua azione antisettaria e i suoi innegabili reati erano se non coperti almeno giustificati dalla natura stessa dei risultati che intendeva raggiungere" (Cingari, p. 116).
Il D. non rimase a lungo in carcere: la grazia all'ex intendente fu, infatti, uno dei primi provvedimenti emanati dal nuovo re Ferdinando II (2 dic. 1830). Si disse addirittura che il sovrano lo avrebbe voluto nel Consiglio di Stato, ma ne sarebbe stato dissuaso dal ministro F. S. Del Carretto, timoroso di tanto rivale.
Morì a Napoli nel 1844.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Giustizia, Processo De Mattheis, fasc. I-IV. Sul processo esiste una ricca letter.: Atto di accusa contro F. N. D., Napoli 1829;G. Celentano, Conclusioni pronunziate innanzi alla Corte suprema di giustizia... ne' giorni 30 giugno e i luglio 1830... nella causa contro F. N. D., Napoli 1830;L. Romano, Per l'intendente sospeso, Napoli 1830; F.De Marco, Difesa del sig. don Raffaele D'Alessandro, Miranda 1830; Difesa dell'intendente De Mattheis sull'accusa di calunnia riepilogata dalle arringhe dell'avv. sig. Tofani e dai discorsi in difesa dell'istesso intendente, Napoli s. n. t. (conservata in Archivio di Stato di Napoli, Arch. Borbone, f. 727); Risposta apolog. dell'intendente De Mattheis al foglio dei tre magistrati (in Arch. di Stato di Napoli, Fondo Casa Reale, ff. 1690-1694). Una copia manoscritta della Risposta èconservata in Catanzaro, Biblioteca comunale, Raccolta De Nobili, b. C4. Nello stesso fondo sono conservati, sempre manoscritti, il Foglio ragionato che contiene gli abusi e l'irregolarità di D. e ICavalieri europei riformati e l'intendente D. Appunti vari. Per un quadro completo degli avvenimenti: D. Andreotti, Storia dei Cosentini, III, Napoli 1874, pp. 217-33; V.Visalli, Icalabresi nel Risorg. ital., I, Torino 1891, pp. 269, 272, 275 ss., 288 s., 333; O. Dito, Massoneria carboneria ed altre società segrete nel Risorg. ital., Torino 1901, p. 271;A. Genoino, Re cospiratori e ministri nel processo D., Cava dei Tirreni 1933 (l'opera più completa); R. Moscati, rec. a Genoino, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, III (1933), 4, pp. 528-39;Id., Per una storia del Regno di Napolisotto Francesco I di Borbone, in Atti d. XX Congresso di storia del Risorg., Roma 1933, pp. 161-92; W. Maturi, Il principe di Canosa, Firenze 1944, ad Indicem;A. F. Parisi, Inediti del Risorg., in Almanacco calabrese, XI (1961), pp. 61-72; H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Milano 1968, pp. 62 s., 69; G. Cingari, Mezzogiorno e Risorgimento. La Restaur. a Napoli dal 1821 al 1830, Bari 1970, ad Indicem;A. Guarasci, Politica e società in Calabria dal Risorg. alla Repubblica. Il collegio di Rogliano, Chiaravalle Centrale 1974, ad Indicem;Id., La Calabria, nell'età della Restaurazione, in Atti del XLVII Congresso di storia del Risorgimento, Roma 1976, pp. 23-63; G. Brasacchio, Storia econ. della Calabria, VI, La Calabria dalla Restaurazione alla fine del Regno, Chiaravalle Centrale 1980, pp. 11 s.