DE LIGNAMINE (Del Legname, La Legname, o Legname), Giovanni Filippo
Nacque intorno al 1428 a Messina da nobile famiglia. La data di nascita è desumibile dalla dedica dell'Herbarium di Apuleio del 1478, in cui il D. si dice "annos iam pene quinquaginta natus".
Il D. non fu medico, come hanno sostenuto alcuni suoi biografi, equivovocando certamente sul fatto che, in qualità di tipografo, mise alle stampe trattati di medicina come il De conservatione sanitatis di Benedetto da Norcia (1475), il De remediis venenorum di Pietro Abano (1475) e l'Herbarium di Apuleio (1478-1482). Dei primi due trattati è stato addirittura ritenuto l'autore. È sicuramente falsa la notizia accolta da molti biografi, secondo cui insegnò medicina nell'università di Perugia, conoscendovi il generale dei francescani Francesco Della Rovere.
Dopo aver fatto i primi studi umanistici a Messina, il D. si trasferì a Napoli, alla corte degli Aragonesi; lo afferma, vantandosene, nella dedica a Sisto IV della Inclyti Ferdinandi regis vita et laudes (1472): "... ego enim meme una cum ipso [Ferdinando] coevum pene in regia cesareaque domo sub Alphonso patre nutritum educatumque...".
Nel 1448 ricevette da re Alfonso l'incarico di riscuotere i "fasciola" (nome siciliano dato al dazio che i sudditi dovevano pagare per la nascita dei principi) in Puglia, per la nascita di Alfonso (4 nov. 1448) primogenito di Ferdinando duca di Calabria. Furono questi gli anni della sua formazione letteraria.
A Napoli conobbe certamente gli umanisti di cui Alfonso il Magnanimo si era circondato: fra essi Lorenzo Valla e Antonio Beccadelli detto il Panormita. Quest'ultimo, secondo il Soria (p. 353), gli sarebbe stato maestro di lettere latine a Palermo: ma la notizia perde fondamento se si tiene presente che il Beccadelli aveva lasciato Palermo nel 1420, ancor prima quindi che il D. nascesse.
Non si sa quando il D. si sia sposato, ed è certamente da scartare la notizia isolata dell'Ortolani circa una presunta moglie di nome Allegranzia, che sarebbe stata invece moglie di un altro Filippo De Lignamine, morto nel 1455 e probabilmente suo avo. Ebbe comunque due figli, Angela ed Antonio, avviati alla carriera ecclesiastica non senza calcoli, date le amicizie strette nelle alte gerarchie ecclesiastiche. La prima diventò infatti badessa di S. Chiara di Messina; il secondo ricevette dapprima un canonicato a Messina da papa Paolo II, poi altri benefici da Sisto IV, e fu nominato arcivescovo della stessa città da Leone X.
Intorno al 1470 il D. si trasferì a Roma, mentre era papa Paolo II.
"Reliqui patriam, coniugem, liberos, parentes, amicos tot annos...", afferma il C. nella citata dedica a Sisto IV. L'implicazione nostalgica delle sue parole fa pensare ad una partenza quasi forzata o più semplicemente dettata dal desiderio di miglior fortuna, se non proprio per incarico - forse - degli stessi Aragonesi che a Roma volevano preparare un partito favorevole ad una alleanza che fu difatti suggellata (nel febbraio del 1472) dal matrimonio di un nipote di Sisto IV con la figlia del re di Napoli, dal passaggio per Roma di Eleonora d'Aragona che andava sposa ad Ercole d'Este nel maggio del 1473, dal viaggio di Ferrante a Roma per il giubileo del 1475, dall'alleanza nella guerra contro Firenze del 1478, dall'elezione a cardinale di Giovanni d'Aragona. Fatto sta che il D., una volta a Roma, incominciò a frequentare il cardinale di S. Pietro in Vincoli Francesco Della Rovere, al quale si dilettava di raccontare la vita trascorsa nella corte aragonese e l'amicizia con re Ferdinando. Riuscì anche ad entrare nelle grazie di Paolo II, tanto da essere nominato suo scudiero: la notizia si ricava dalla nota al De elegantia linguae latinae del Valla (1471). Intanto a Roma nel 1467 erano apparse le prime tipografie ad opera di C. Schweynheim e A. Pannartz (che prima avevano lavorato a Subiaco) e di U. Hahn. I primi diedero alle stampe la grammatica di Donato e le Divinae Institutiones di Lattanzio; il secondo le Meditationes di Juan de Torquemada. Dei caratteri del Hahn pare che si sia servito il D. quando, intorno al 1470, si decise ad aprire una tipografia in casa sua: nella "pinea regione, in via papae prope S. Marcum", si legge alla fine dei volumi editi nel 1470 e nei primi del 1471.
Ciò fece, egli dice, non tanto per lucro quanto per dar lustro alla sua nobiltà: per scacciare l'ozio e per non fare come "... qui cum ex sententia Sallustii vitam silentio transeat recte pecoribus comparatur" (dedica a Guglielmo d'Estouteville dell'Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, p. 77). In realtà il D. veniva anche incontro alle esigenze della Curia, che vedeva con favore l'arte della stampa per le enormi possibilità di dare diffusione a scritti di carattere religioso. Lo testimonia l'ampia gamma di opere di edificazione religiosa e di opuscoli teologici che il D. pubblicò.
Il D. fu il quarto tra i tipografi italiani dopo Simone Cordella, Oliviero Servio e Pietro Della Torre, ad esercitare l'arte tipografica nell'ultimo quarto del secolo XV, quando cioè a Roma per la maggior parte gli stampatori erano stranieri (trenta tedeschi, due francesi, e infine un fiammingo). Fu anche editore: scrisse infatti le prefazioni alle sue edizioni, mettendo a frutto la conoscenza del latino in dediche di sapore ciceroniano indirizzate il più delle volte a Sisto IV, ma anche a cardinali, abati ed alti personaggi del mondo ecclesiastico. La sua attività fu intensa: dalla sua tipografia uscirono nel luglio e nell'agosto del 1470 il De XII Caesarum vitis libri XII di Svetonio e le Institutionum oratoriarum libri XII di Quintiliano, stampati coi caratteri dell'Hahn. Il volume di Quintiliano è senz'altro superiore a quello stampato nello stesso anno dal Pannartz. Nel 1471 stampò il De elegantia linguae latinae del Valla, mostrando nella scelta del teste e dell'autore il suo legame con la cultura umanistica partenopea, la quale proprio ad opera del Valla fu conosciuta a Roma. I suoi interessi linguistici sono provati da una grammatica ad uso scolastico, Rudimenta grammatices di Nicola Perrotti (1474, 1475, ecc.), che egli pubblicò per ovviare alle prolissità delle grammatiche di Prisciano e di Donato.
Nelle dediche della Historia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, di cui esistono due edizioni con dediche diverse, il D. afferma - nell'edizione intestata a Sisto IV - di aver stampato fino a quella data "... supra decem milia diversorum quidem auctorum volumina..."; nell'edizione dedicata a Guglielmo d'Estouteville invece afferma: "... Itaque supra quinque milia diversorum autorum volumina in hanc usque diem nostro iussu impressa sunt". L'edizione con dedica al d'Estouteville che è del 15 maggio 1476 deve pertanto considerarsi anteriore a quella con dedica a Sisto IV e quindi la prima edizione della Historia di Eusebio. L'edizione con dedica a Sisto IV invece deve collocarsi intorno al 1481, poiché cinque anni è il tempo necessario, considerato il numero di opere edite dal D. in questo periodo, perché dai suoi torchi potessero uscire cinquemila volumi. Ciò nondimeno dovette esserci un aumento della tiratura rispetto al primo quinquennio di attività tipografica.
Nel 1471 era diventato intanto papa, col nome di Sisto IV, Francesco Della Rovere. Il D. ebbe confermato il titolo di scudiero, datogli da Paolo II; e in calce alle sue edizioni dirà che i volumi "... impressa sunt in domo nobilis viri Johannis Philippi de Lignamine Siculus Scutifer Sanctissimi P. supradicti [Sisto IV]" (Oratio di Bernardo Giustiniano, 9 dic. 1471). Nel 1472 nel Pungilingua di Domenico Cavalca farà stampare: "Rome in domo Ioh. Philippi de Lignamine Siculi et Sisti IV familiaris..." (Capialbi, p. 27), così come, l'anno successivo, nello Speculum di Roderico.
Per mostrare la sua gratitudine verso Sisto IV mise alle stampe in uno stesso volume, nel 1472, due opuscoli scritti dal Della Rovere quando era ancora cardinale: il De sanguine Christi e il De potentia Dei, in 300 copie distribuite gratuitamente a dotti, teologi ed eruditi perché potessero apprezzare le virtù e le doti di teologo del papa. Anche il De futuris contingentibus del 1473, sempre di Sisto IV, fu stampato in 300 copie. Normalmente però gli altri volumi pubblicati fino al 1472 (quattordici secondo il Capialbi, nove invece secondo quanto ci dice lo stesso D. riferendosi ai più importanti nella dedica a suo zio l'abate Marco del Pungilingua di Domenico Cavalca e del De immortalitate animae di Iacopo Canfaro) avevano una tiratura calcolata intorno ai 150 esemplari. Doveva quindi ammontare a circa 2400 il totale dei volumi usciti dai suoi torchi, sempre considerando le 300 copie dei due volumi stampati per Sisto IV.
Nonostante non si trattasse di un'alta tiratura, specie se paragonata al 275 esemplari per edizione che Schweynheim e Parinartz stampavano a Roma, in parte per il fatto che il mercato librario non ancora organizzato non riusciva ad assorbire la produzione, in parte per la sua eccessiva generosità nel regalare libri, il D. si trovò nei debiti. Dovette così ricorrere a Sisto IV che generosamente lo provvide di un salvacondotto nel febbraio del 1472: "... Ut commodius a tuis debitoribus exigere et creditoribus satisfacere et res quas in alma urbe nostra venales venundare possis ..." (Breve di salvacondotto..., in Capialbi, p. 52). Nel gennaio dello stesso anno Sisto IV lo aveva munito di una lettera di raccomandazione presso re Giovanni d'Aragona, e il 23 marzo farà lo stesso con una lettera a Ferdinando. Così si esprime il papa "... Dilectum filium Iohannem Philippum de Lignamine Civem Messanen., scutiferum nostrum continuum commensalem ob virtutes et probitatem eius grata quoque familiaritatis obsequia quae nobis assiduis studiis impendere non desistit... in omnibus occurrentiis commendamus" (Breve di raccomandazione, in Capialbi, pp. 51 e 53). Nel 1476 infine il D. dice di avere ricevuto da Sisto IV l'onore di fregiarsi del cognome Della Rovere (cfr. la dedica della Historia di Eusebio a Sisto IV). Per gli incarichi, i titoli e i benefici ricevuti il D. fu invidiato tanto da trattare l'argomento più volte nelle dediche alle sue opere e da dire in una lettera a suo zio, l'abate Marco, "ma io non curo l'invidia, né ho da temerla, perché non sono ricco, né senatore ma amante di virtù, e di lettere" (cfr. Ortolani). Era sincero perché, anche se fu un abile cortigiano, non divenne mai ricco e le sue sostanze spese per amore delle "humanae" lettere che, come non mai, potevano definirsi "pulchrae" per l'elegantissima veste tipografica con la quale in particolare il D. amò presentare i suoi libri.
Prima del 1478 il D. ricevette l'incarico di portare la rosa d'oro a Lodovico Gonzaga marchese di Mantova, grande mecenate che aveva avuto il merito di avere introdotto la stampa a Mantova. Nel gennaio del 1475 era stato inviato in qualità di commissario apostolico ad incontrare a Velletri e a Valmontone re Ferdinando d'Aragona che si recava in gran pompa a Roma per il giubileo. In tale occasione, per i suoi meriti e per la devozione di cui aveva dato prova scrivendo e pubblicando il 9 ag. 1472 Inclyti Ferdinandi regis vita et laudes, Ferdinando lo creò cavaliere, e nel 1476 gli concesse un guidatico per i debiti contratti fuori del Regno.
L'opuscolo (ristampato a Palermo nel 1796 nella Nuova Raccolta di opuscoli di autori siciliani, VIII, pp. 149-197) fa parte del filone storico-biografico degli umanisti napoletani inaugurato dal Valla con gli Historiarum Ferdinandi regis libri tres (1445-46), seguiti dai De dictis et factis Alphonsi del Panormita e dalle De rebus gestis Alphonsi di B. Fazio. In questa biografia il D., non discostandosi dal carattere cortigiano e declamatorio delle opere dei suoi predecessori, tesseva il panegirico del re e della sua famiglia. Il libretto, in 4° piccolo di ventitré pagine, inizia con una prefazione-dedica a Sisto IV, in cui il D. dichiara fra l'altro di raccontare più le cose viste che le udite, perché ha avuto la non indifferente fortuna di vivere alla corte aragonese e di aver conosciuto personalmente Ferdinando fin da piccolo e di avere assistito alle prime fasi della sua educazione; continua poi col racconto vero e proprio, che si snoda in sei capitoli e si conclude con un epigramma al lettore. Il D. costruisce di Ferdinando la figura ideale di un principe cristiano, forte, coraggioso, sagace, dotto, equilibrato, quale la storiografia medioevale amava immaginarselo. In questa presentazione non era certamente estraneo al biografo il tentativo di rendere accetto alla Curia pontificia il re aragonese, dopo i dissidi tra i due Stati ai tempi di Paolo II, facendo da tramite per una politica filonapoletana, per altro già avviata dopo l'elezione del cardinale Francesco Della Rovere al soglio pontificio. Il D. sapeva di fare cosa gradita al pontefice tanto da dire che "dum Cardinalis adhuc esses, Ferdinandi mei interdum facta narranti benignissimas aures praestare solitus eras, ut tamquam Dido illa Phoenissa ab ore Aeneae Troiarum excidium narrantis penderes".
appesantiscono la lettura, per altro scorrevole, secondo la moda umanistica delle citazioni dei classici latini e greci e, a volte, della Bibbia. Sembra sincera l'ammirazione del D. per Ferdinando, il quale fino al 1472, per il modo in cui aveva organizzato e governato il Regno di Napoli dopo la morte del padre Alfonso, con la sconfitta dei baroni sostenitori degli Angiò, era divenuto per molti in Italia, e non soltanto per il D., sicuro punto di riferimento e un elemento di equilibrio nel fragile panorama politico dell'Italia dopo Lodi e di difesa della Cristianità contro i Turchi.
Oltre alla vita di re Ferdinando, il D. scrisse un opuscolo "sulle donne illustri", anteriore al 1478, di cui non si conosce né il titolo esatto né l'anno di pubblicazione; ne fa cenno nella dedica al cardinale F. Gonzaga dell'Herbarium di Apuleio quando a proposito della madre di lui così declama: "... Sed quorsum de matre tua? nam et si eius virtutes in eo libello quo clarissimarum illustriumque mulierum nomina complexus sum".
Se questi due "libella" furono sicuramente scritti dal D., controversa è l'attribuzione della Continuatio Chronici Ricobaldini ab anno 1316 (1474). Secondo alcuni biografi (De Grossis, Mongitore, Orlandi, Capialbi) il D. ne è l'autore, mentre G. B. Audifredi (Specimen..., Romae 1794, sub voce) sostiene che la stessa prefazione prova che ne fu soltanto l'editore; il Pontieri aggiunge che la cronaca fu scritta da un nipote omonimo del D., frate domenicano che si trovava in quegli anni a Roma.
Il 26 luglio 1483 il D. ricevette l'ultimo incarico, di cui siamo a conoscenza, da Sisto IV. Fu nominato infatti commissario apostolico in Sicilia e nelle isole vicine per la raccolta delle decime e dei contributi per la crociata contro i Turchi; per l'occasione Sisto IV lo munì di lettere di presentazione indirizzate ai vescovi siciliani (Capialbi, pp. 93 s.).
Agli anni tra il 1480 e il 1483 risalgono le ultime edizioni del D., per le quali pare che si fosse servito dei caratteri di più stampatori: di Giorgio Teutonico per l'Oratio del Margarit (1481), del Plannck per l'Epistola di Errico Istittore (1483).
Se nelle prime edizioni dei suoi libri il D. si servì di formati in folio che riproducevano quasi fedelmente i manoscritti ai quali il pubblico era abituato, dopo il 1473 usò quasi sempre formati in quarto, più piccoli, più maneggevoli, meno costosi e più adatti ad un mercato librario in espansione. Nelle sue edizioni hanno la prevalenza i libri in latino. In volgare stampò solo un libro "della preparazione a la morte" (1473) di Bartolomeo Maraschi e i Sonetti e canzone del chiarissimo poeta Francesco Petrarca (1473). Quest'ultima fu una delle prime edizioni a stampa del canzoniere, che fu stampato a Roma tra il 1470 e il 1484 anche da Georg Laurer di Würzburg.
Morto Sisto IV, suo protettore, il 12 ag. 1484, il D. dovette partire da Roma e andare al servizio del re di Spagna Ferdinando il Cattolico. L'ultima notizia sul suo conto infatti risale al 1491, quando scrisse dalla Spagna a G. Dati una lettera con cui lo pregava di comporre in volgare, traducendolo dal latino, un poemetto sulla scoperta delle nuove isole Canarie da parte di Cristoforo Colombo, pubblicato a Firenze il 25 ott. 1495.
Non si conosce l'anno della morte del De Lignamine.
Bibl.: Per le edizioni, si veda K. Burger, Printers and publishers..., in L. Hain, Rep. bibl., Suppl., II, 2, pp. 477 s., sub voce Lignamine; C. Gesner, Bibl. universalis sive Cat. omnium scriptorum, I, Tiguri 1545, p. 446; G. B. De Grossis, Abbas Vindicatus, Florentiae 1651, p. 70; P. Mandosio, Theatrum, in quo maximorum christiani orbis pontificum archiatros... spectandos exhibet, Romae 1696, p. 128; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, I, Panormi 1708, p. 362; P. A. Orlandi, Origine e progressi della stampa ... dall'anno 1457-1500 [Bologna 1722], pp. 75, 298, 327, 357, 408; D. Schiavo, Elogio di G. D., in Id., Memorie per servire allo st. lett. d. Sicilia, II, Palermo 1756, pp. 328-336; F. A. Soria, Mem. storico-critiche degli stor. napol., II, Napoli 1782, pp. 353 ss.; G. Marini, Degli archiatri pont., Roma 1784, pp. 189-197; V. Capialbi, Notizie circa le opere e le edizioni di messer G. F. La Legname cavaliere messinese e tipografo del sec. XV, Napoli 1853; G. M. Mira, Bibl. siciliana, I, Palermo 1873, pp. 515 s.; L. v. Pastor, Storia dei papi, II, Roma 1925, pp. 632 ss.; L . De Gregori, La stampa a Roma nel secolo XV, Roma 1931, p. 29; G. Dati, La lettera dell'Isola, Bologna 1968, p. XII; E. Pontieri, Un biografo poco noto di Ferrante: G. F. D., in Ferrante d'Aragona re di Napoli, Napoli 1969, pp. 107-159, 260, 399; F. Giunta, La scoperta colombiana e l'umanesimo nel Mezzogiorno, in Atti del 2° Convegno intern. di st. colombiani, Genova 1977, pp. 354 s.; L. Febvre-H. J. Martin, La nascita del libro, II, Bari 1977, pp. 272, 339; P. Farenga, Le prefazioni alle edizioni romane di G. F. D., in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del 2° Seminario 6-8 maggio 1982, Città del Vaticano 1983, pp. 135-174.