DE GUBERNATIS, Giovanni Battista
-Nacque a Torino il 15 luglio 1774 da Giuseppe Amedeo e da Angela Ronzino. Studiò a Torino fino al conseguimento della laurea in giurisprudenza presso quell'ateneo: nel contempo coltivò anche interessi artistici, dimostrando particolari attitudini per l'incisione e per l'acquerello. Al termine degli studi - consolidatosi ormai il regime napoleonico - il D. trovò impiego, come molti altri giovani nobili e borghesi della sua generazione, nella pubblica amministrazione. Membro attivo e capace del Consiglio generale del dipartimento del Po, entrò presto nel gruppo dei collaboratori più stretti del prefetto F. E. Della Villa, che gli affidò la direzione di un ufficio divisionale nella prefettura del dipartimento stesso. Nel 1805 si recò a Parigi al seguito del Della Villa e dopo un breve soggiorno rientrò in Italia, agli inizi del 1806, con la promozione a sottoprefetto presso la prefettura di Parma: qui rimase per ben sei anni, impegnato particolarmente nella repressione della renitenza alla leva militare, ma trovando anche il tempo per coltivare le arti (in quegli anni incoraggiò e protesse l'incisore Paolo Toschi).
Nel 1812 venne trasferito, sempre come sottoprefetto, ad Orange, nel dipartimento della Vaucluse, dove conobbe Dominique Denon, direttore generale dei musei francesi, che proprio a quell'epoca allestiva il Museo del Louvre. L'amicizia del Denon e la considerazione in cui questi teneva la produzione artistica del D. gli consentirono di partecipare al Salon parigino nel 1812: il D. ottenne la medaglia d'oro per le incisioni esposte.
Al crollo dell'Impero napoleonico il D. si trattenne per qualche mese ancora ad Orange, mantenendo sempre la carica di sottoprefetto: solo dopo i Cento giorni si risolse ad abbandonare la Francia per ritornare a Parma, dove le amicizie e le relazioni contratte durante i sei anni di permanenza gli procurarono l'incarico di segretario dell'amministrazione dell'interno del ducato (ottobre 1815), sotto il ministero di F. Magawly Cerati. Ma già un anno dopo il D. fu costretto a dimettersi dall'impiego a causa di un oscuro intrigo cui, peraltro, risultò del tutto estraneo: amareggiato, rifiutò la reintegrazione nell'incarico e preferì ritornare in Piemonte.
Il curriculum di funzionario esperto e capace gli permise di accedere alla carriera amministrativa: nel dicembre 1817 fu nominato ispettore del Regio Erario e nel marzo 1818 fu promosso segretario capo della seconda divisione del ministero delle Finanze. Il 14 marzo 1821, in seguito ai moti costituzionali, Carlo Alberto gli affidò la reggenza della segreteria delle Finanze. Nei pochissimi giorni di reggenza ministeriale il D. decretò il ribasso, in pratica mai entrato in vigore, del prezzo del sale: ciò fu sufficiente perché, al rientro di Carlo Felice, gli venisse mossa l'accusa di "avere tenuto condotta ed opinioni contrarie al legittimo governo" (Marsengo-Parlato, p. 162). Nell'ottobre 1821 fu destituito dall'impiego ed un mese più tardi ricevette la giubilazione di 3.000 lire: e ciò benché nel ministero delle Finanze si attribuisse "generalmente alla sua fermezza e vigilanza il salvamento di molta pecunia dello Stato" (Benevello, p. 12).
Ritiratosi forzatamente a vita privata, il D. si dedicò con grande impegno all'incisione e alla pittura, sempre ben accolto, anche per le sue doti di discreto esecutore musicale e di poeta d'occasione, nei salotti dei conti di Benevello, dei Balbo e degli Alfieri. Grazie a queste amicizie il 2 febbr. 1825 il D. poté rientrare al ministero delle Finanze come caposezione dell'ispezione generale del Regio Erario. Da questo ufficio lo trasse nuovamente Carlo Alberto per nominarlo, il 10 genn. 1832, archivista e segretario privato, col titolo e grado di intendente. Si trattò, anche questa volta, di un'esperienza molto amara per il D., perché, sospettato di trasmettere informazioni segrete e persino copie della corrispondenza del re ad emissari francesi attraverso un negoziante di vini, tale Planel, che però smentì ogni cosa, venne bruscamente licenziato il 1° luglio 1833.
In questo anno e mezzo il D. annotò giorno per giorno la propria vita con Carlo Alberto: da queste pagine non spicca solo la figura del sovrano, "ma tutto un ambiente speciale che lo circuisce e che il D. ci ritrae con pochi ma gustosi tratti. Spiccano tra l'altro singolari e caratteristiche figure di scrocconi, di delatori; di orditori d'inganni, di costruttori di macchinette traditrici" (Colombo, 1924, p. 375).
L'episodio del licenziamento del D. appare ora chiaro, nelle grandi linee. Il clima era quello dell'estate 1833, delle indagini sulla congiura della Giovine Italia, quando Carlo Alberto, com'è noto, subiva pesantemente l'influenza del ministro dell'Interno conte dell'Escarèna. Fu questi infatti ad ordire l'intrigo, come successivamente ammise, perché sospettava il D. di nutrire eccessive simpatie per la Francia e per la causa italiana e perché ne temeva l'influenza sul sovrano. D'altra parte il D. s'era procurato diversi nemici, oltre all'Escarèna, fra la nobiltà austriacante di corte; in modo particolare il gruppo dei La Tour e L. Sauli d'Igliano, che nelle sue memorie (cfr. Ottolenghi, I, p. 511) ebbe a definirlo sprezzantemente "gobbetto" ambiguo, intrigante ed opportunista.
In ogni caso la sostanziale innocenza del D. pare dimostrata sia dalle successive espressioni di stima di Carlo Alberto, trasmesse dall'altro segretario del re, il Castagnetto, sia dalla promozione ad intendente generale ricevuta il 27 ag. 1833 insieme con la giubilazione, sia infine dalla pensione annua di 1.000 lire che venne attribuita alla vedova nel 1837. Tuttavia il risentimento rovente per il trattamento subito segnò gli ultimi anni di vita del D.: nel suo salotto, oltre agli amici di sempre, convenivano anche lo Sclopis, il Pralormo, il Priocca, il Castagnetto, il Sineo, il Nota, ed i discorsi - almeno per quanto se ne deduce dai diari del D. - erano sempre duramente critici nei confronti di Carlo Alberto, sia a livello personale sia a livello politico. Spesso il re veniva, indicato spregiativamente come "il Padrone": "l'animo inacidito" del D. - sottolinea A. Colombo (1925, p. 4) - "non gli consente che di registrare lamenti, preoccupazioni, recriminazioni".
L'episodio stroncò la fibra del D. che, assistito dalla moglie, Maria Luigia Lombardi di Monesiglio, declinò lentamente fino a spegnersi, nella casa torinese, il 23 marzo 1837. Per disposizione testamentaria i dipinti e le incisioni del D. vennero donati dalla vedova alla città di Torino (ora conservati nel Museo Civico).
I diari sono stati parzialmente pubblicati in diverse riprese: quello riguardante il periodo 1° gennaio-16 febbr. 1833 è, col titolo Memorie segrete di G. B. De Gubernatis, in A. Brofferio, I miei tempi - Memorie..., XIII, Torino 1860, pp. 20-83; il diario successivo, fino al 1° luglio 1833 è stato edito da A. Colombo, I processi del '33 nel diario di G. B. De Gubernatis, segretario particolare di Carlo Alberto, in Il Risorgimento italiano, XVII (1924), pp. 373-98; i diari privati, relativi al 1835 e 1836 sono stati editi da A. Colombo, L'anno 1835 negli Stati sardi secondo il diario di G. B. De Gubernatis, ibid., XVIII (1925), pp. 1-93; Id., Il diario dell'anno 1836 di G. B. De Gubernatis, ibid., XIX (1926), pp. 77-101.
Fornito di quella "scelta educazione" da gentiluomo che anche in Piemonte, nel tardo '700, non escludeva il disegno, il D., allievo di P. Bagetti, appare formato come acquerellista già sui vent'anni. Per tutta la vita dipinse per diletto, preferibilmente appunto all'acquerello e incise all'acquaforte, ma lavorò anche ad olio ed eseguì alcune litografie.
Ci ha lasciato una cronaca figurata ricchissima dei luoghi da lui percorsi o abitati: il Piemonte, Parma e il suo territorio. Orange e la Francia meridionale, la Savoia e la Liguria, Genova, la regione dei laghi lombardo-piemontesi, il Nizzardo. Ha dipinto anche paesaggi d'invenzione e studi naturalistici. Le numerose opere che di lui ci rimangono (circa ottocento: quasi al completo) sono passate per volontà testamentaria del D. stesso in proprietà della città di Torino e sono ora conservate presso la Galleria civica d'arte moderna.
Se la rilevante massa dei lavori del D. non crea problemi di cronologia, essendo frequentemente datata, essa oppone difficoltà quando si voglia ricostruire una linea di successivi accrescimenti rintracciando suggestioni e stimoli determinanti per l'artista. L'opera del D. riflette infatti alcune caratteristiche tipiche del dilettante di genio, che è libero di seguire i propri umori momento per momento, e perciò presenta uno sviluppo non lineare. I suggerimenti di cui in questa sede si rende conto, derivano dal tentativo di sistemazione avviato dagli studi recenti.
Molti restano tuttavia i problemi aperti per un chiarimento completo della figura di questo affascinante artista per quanto riguarda sia il suo percorso, sia i rapporti con i diversi ambienti da lui conosciuti, da quello dell'acquerellismo inglese a quello dell'arte francese dell'età napoleonica a quello parmense, di ricchissima tradizione.
Al di là degli insegnamenti del Bagetti, il linguaggio giovanile del D., quasi monocromo, con colore disposto a piccoli tocchi e grandi effetti di spazio e luce, basati su puri valori tonali, può essere messo in relazione con la conoscenza del fortunato manuale dell'acquerellista inglese A. Cozens, A New Method of Assisting the Invention in Drawing Original Compositions of Landscape del 1786 (Chiesa campestre su piccola altura sotto cielo temporalesco, 1797, inv. 430).
La partecipazione diretta del D. giovane al dibattito sul pittoresco che andava svolgendosi in Europa è d'altra parte ricordata da fonti contemporanee riportate da A. Baudi di Vesme (Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 350; II, ibid. 1966, p. 562) dal quale apprendiamo che il D. nel 1803 tenne all'Académie subalpine d'histoire et des beaux-arts un discorso intitolato: "Le beau pittoresque. Sur l'effet du clair-obscur distribué sur les tableaux de paysage".
Negli stessi anni si incontrano nella sua pittura, che amplia e sensibilizza le gamme coloristiche, una precoce attenzione a temi di romanticismo walterscottiano forse mediate dal teatro (Paesaggio nella bufera con castello a quattro torri..., 1803, inv. 502) e si nota una singolare versatilità nel cogliere le più varie suggestioni culturali, dalla letteratura di viaggio all'arte inglese dei giardini, alla riscoperta storicistica del Medioevo, alla voga dello stile troubadour (Paesaggio d'invenzione con tomba dedicata al poeta Edoardo Calvo, 1804, inv. 265; Facciata di piccola chiesa gotica con lunetta dipinta sul portale, 1805, inv. 47).
Dopo un viaggio a Parigi (1805) vediamo sostituirsi alla pittura di tocco e di puro colore un interesse per la descrizione lucidamente prospettica e luminosa dello spazio, di matrice illuminista, forse da mettere in relazione con la conoscenza delle spaziose vedute di miracolosa acutezza ottica di L. N. Lespinasse esposte al Louvre. Risalgono a questi anni acquerelli di notevole qualità, che ebbero riconoscimenti altissimi, come la medaglia d'oro al Salon del 1812 (Veduta di Parma, 1810, inv. s.n.) e che sono considerati degni di confronti internazionali anche dalla storiografia più recente (Lo studio del pittore a Parma, 1812, inv. 340; Palazzo della sottoprefettura di Orange, 1813, inv. 138).
A questo tipo di immagini si giustappongono ricerche paesistiche in chiave sentimentale e romantica, condotte sia attraverso l'incisione, forse coltivata a Parma in familiarità con P. Toschi, sia in pittura. I cieli mossi e nubilosi, i lirici o drammatici controluce di questi momenti sono frutto di una conquistata tenerezza e luminosità di colore e di un'attenzione al dato naturale che autorizza il richiamo da un lato a H. Valenciennes, dall'altro, in perfetta contemporaneità di lavoro, con J. Constable (Tondo con cielo ed effetto di bufera con nubi plumbee e rosate, 1822, inv. 509; Sommità di collina con alberi investita da colpi di vento, 1822 c., inv. 494; Gruppo di cime d'alberi squassati dal vento sotto cielo temporalesco, 1822 c., inv. 480).
Alle raccomandazioni dello stesso Valenciennes e di Cozens e agli esempi lasciati da Cl.-J. Vernet, è da riconnettere un altro filone di lavoro del D., quello degli studi diligentissimi sulla natura, specie di alberi e vegetali (Studio di tronco di pioppo tremulo, 1821, inv. 148; Tronchi di salice e di pioppo, 1824, inv. 230).
Pochi anni più tardi il D. raggiunse quelli che sono da considerare forse i suoi risultati più liberi e originali.
In numerosi acquerelli che prendono a soggetto scorci di campagna piemontese, egli unisce ad una collaudata capacità di rappresentazione spaziale e resa luminosa, l'interesse per una realtà paesistica che più nulla ha a che fare con i luoghi cari alla fantasia romantica, come la foresta, il castello, il rudere, né con quelli che la letteratura e la storia avevano reso illustri. Lo sguardo oggettivo e limpido dell'artista si rivolge infatti a quel "vero" che si affermerà in pittura tra tanti ostacoli molto più avanti nel secolo (Castiglione. Case rustiche allo stagno del mulinello a specchio dell'acqua, 1832, inv. 455).
La descrizione dei siti, che è l'asse iconografico portante dell'acquerellista piemontese, continua però fino agli ultimi tempi. Sono degli anni Trenta, infatti, le serie, splendide di luce e colore, del Viaggio dei laghi, quelle del Viaggio di Nizza e quelle di Oropa, Varallo e Biella, che riflettono già nel taglio panoramico e nella presenza delle macchiette Biedermeier, l'aggiornamento sui tanti voyages pittoresques litografici che andavano illustrando a tappeto quasi tutte le parti d'Europa.
R. Maggio Serra
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezioni riunite, Indice patenti controllo finanze 1814-1831, reg. n. 25, ad vocem; Indice patenti controllo finanze 1831-1842, reg. n. 34, ad vocem; Archivio di Stato di Parma, Archivio comune, b. 4396/16 (Autografi illustri); Parma, Biblioteca Palatina, Fondi Mss., ad vocem (10 lettere 1808-1833); A. Brofferio, I miei tempi, XIII, Torino 1860, pp. 3-8, 83-87 e, alle pp. 8-20: Vita di G. B. D., di C. di Benevello; D. Berti, Cesare Alfieri, Roma 1877, pp. 50, 172-75; G. Ottolenghi, Reminescenze della propria vita. Commentario del Conte Ludovico Sauli d'Igliano, Roma-Milano 1908-09, I, pp. 511 s.; II, pp. 225-52; G. Badii, D. G. B., in Diz. del Risorg. naz., II, Milano-Roma 1930, p. 877; N. Rodolico, Carlo Alberto negli anni di regno 1831-1843, Firenze 1936, pp. 77 s., 140, 302 s., 382; A. Passoni, La collezione G. B. D. Introd. e catal., pref. di L. Mallè, Torino s. d. [ma 1969]; G. Allegri Tassoni, G. B. D. …, in Aurea Parma, LX (1976), pp. 209-21; R. Maggio Serra, in Cultura figurativa e archit. negli Stati del Re di Sardegna... (catal.), Torino 1980, II, pp. 527-42; III, pp. 1429 ss.; Id., in Garibaldi. Arte e storia (catal.), Roma 1982, pp. 32-35; H. Honour, Il Romanticismo, Milano 1984, p. 102; G. Marsengo-G. Parlato, Diz. dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821, I, Torino 1982, p. 162.
G. Ratti-R. Maggio Serra