DE FERRARI, Serafino Amedeo
Nacque a Genova nel 1824 da Francesco e da Angela Torricelli Bortoletti. Studiò inizialmente musica nella città natale, sotto la guida di G. Serra, [M. ?] Sciorati e tal Bevilacqua; in seguito si trasferì a Milano, dove prese lezioni da Placido Mandanici, maestro di cappella in duomo, e da Pietro Platania. Terminati gli studi, iniziò ad esibirsi in pubblico come pianista, organista e direttore d'orchestra.
Invitato ad Amsterdam come direttore d'orchestra, tra il 1848 e il 1852 curò l'allestimento di varie stagioni operistiche. Nel 1852 compose anche la sua prima opera, Catilina (libretto di G. B. Casti), che però non fu mai rappresentata. Tornato in Italia, fu maestro sostituto a Firenze e a Torino; in seguito, e per molti anni, fu direttore dell'orchestra del teatro Carlo Felice di Genova. Continuò tuttavia a dedicarsi alla composizione operistica, e l'11 febbr. 1854, al teatro Carlo Felice, fece rappresentare la sua seconda ed ultima opera seria, il Don Carlo, su libretto di G. Pennacchi. L'opera riscosse un buon successo di pubblico; la critica riconobbe al compositore doti notevoli di orchestratore, solida formazione contrappuntistica e, soprattutto, lodò lo stile "modellato sulla scuola antica anziché sugli autori del giorno, per la qual cosa il De Ferrari avrebbe già dato bella prova di musicale criterio".
Il 25 nov. 1855 la terza opera del D., Pipelé o Il portinaio di Parigi, melodramma giocoso su libretto di R. Berninzone, ottenne uno strepitoso successo al teatro S. Benedetto di Venezia. Eseguita qualche mese dopo a Genova, l'opera ricevette accoglienze non meno lusinghiere; fu particolarmente lodata dall'anonimo recensore della Gazzetta di Genova - scrisse -:
"Quest'opera in tre atti - scrisse - è ricca di non so quanti cori, duetti, terzetti, ed arie, e non vi fu un solo pezzo che sia passato inosservato; chi più chi meno, ebbero tutti un largo tributo di applausi. Né si dica che ciò entrasse un po' in quell'amore che fa parer belle le cose nostre; gli omaggi resi al maestro De Ferrari non furono figli di alcun riguar do, ma frutto spontaneo di quelle convinzionì che sono ispirate dal vero mento. Basta sentire una volta quest'opera per persuadersi non essere una di quelle creature effimere, di quelle luci fatue che si spengono appena nate: il Pipelé è tale lavoro che può degnamente collocarsi fra i belli di tal genere, e a cui è riservata una vita lunga e gloriosa" (24 febbr. 1856).
Dopo le rappresentazioni genovesi, il Pipelè divenne rapidamente famoso, e fu messo in scena in quasi tutti i principali teatri italiani; l'editore Ricordi acquistò i diritti di pubblicazione della partitura. L'opera fu rappresentata anche a Malta (teatro Manoel, 1856-57) e Madrid (teatro del Principe Alfonso, estate 1883).
Sull'onda del successo ottenuto, nel 1856 il D. apprestò un rimaneggiamento del Don Carlo, che fu rappresentato con diverso libretto al teatro Carlo Felice di Genova la sera del 26 dic. 1856, col titolo di Filippo II. L'esito questa volta fu pero assai contrastato. Il pubblico accolse l'opera con molta freddezza, forse perché irritato per la proposta di una semplice rielaborazione e non di un'opera nuova; la critica mantenne invece un atteggiamento più sereno, lodando i caratteri originali della revisione e gli sforzi del nuovo librettista, Berninzone, per rendere accettabile l'originale e modestissimo libretto del Pennacchi.
Di carattere modesto e, a differenza di molti suoi colleghi, non particolarmente incline al lavoro frenetico, il D. non seppe sfruttare a fondo il successo del Pipelé scrivendo a tamburo battente opere nuove; la sua quarta opera, Il matrimonio per concorso, vide la luce soltanto nell'agosto del 1858, a Venezia, mentre ormai la fama del Pipelé aveva varcato i confini nazionali. Messo in scena al teatro La Fenice, fino ad allora riservato all'opera seria, Il matrimonio per concorso (libretto di D. Bancalari e D. Chiossone, da Goldoni), semiserio di nome, ma buffo (se non farsesco) di fatto, fu accolto con "un esito che somigliò molto alla caduta", come sinteticamente riferì l'anonimo resocontista della Gazzetta musicale di Milano; male eseguita e peggio allestita, l'opera, su un insensato libretto, ebbe in effetti accoglienze assai tiepide e fu, in pratica, l'unico vero "fiasco" del compositore genovese. Riproposto al teatro Carlo Felice di Genova un mese più tardi, il 28 sett. 1858, ed eseguito con maggior cura, Il matrimonio per concorso ottenne tuttavia un discreto successo di pubblico. La critica genovese non mancò di rilevare gli stessi difetti già ravvisati nell'opera dal critico della Gazzetta musicale di Milano: eccessiva lunghezza, uniformità di colorito, mancanza di originalità delle melodie. Non mancarono tuttavia, anche questa volta, le lodi rivolte alla strumentazione.
Il 17 apr. 1859, al teatro Andrea Doria di Genova, fu rappresentata la quinta opera del D., Il menestrello; basata su un libretto mediocre e farsesco di R. Berninzone, l'cipera ebbe inizialmente accoglienze assai tiepide. Riproposta al pubblico genovese con alcune modifiche, due anni dopo, essa fu accolta con maggior simpatia; la critica, ancora una volta, lodò l'eleganza e l'accuratezza della strumentazione, e il buon gusto delle melodie, così lontano dai toni, spesso grossolani, del libretto.
L'ultima opera del D., Il cadetto di Guascogna, fu messa in scena al Carlo Felice di Genova il 9 nov. 1864. senza ottenere un particolare successo. Il libretto di Berninzone fu criticato aspramente per la sua inconcludenza, mentre la musica ottenne le consuete, generiche lodi, caratteristiche di un semplice successo di stima; in particolare, fu segnalata la ricchezza e la varietà dei ballabili.
Col Cadetto di Guascogna si concludeva la carriera operistica del De Ferrari. A soli quarant'anni, nel pieno del successo e della maturità creativa, il compositore si ritirò dalle scene per dedicarsi all'insegnamento; nel 1873 fu nominato direttore del Civico Istituto di musica di Genova, e conservò tale posto fino alla morte. Negli ultimi anni della sua vita fu in rapporti di amicizia con Amilcare Ponchielli e con Giuseppe Verdi. Morì improvvisamente a Genova, a soli sessantuno anni, il 27 marzo 1885. Un giornale genovese, pubblicando il suo necrologio, ebbe a scrivere: "Genova perde oggi uno dei componenti la celebre triade che ha dato lustro e gloria alla nostra città nel campo della musica: Paganini, Sivori e De Ferrari" (in G. Piumatti, L'opera giocosa..., p. 31).
II D. fu compositore sorvegliato e di gusto non corrivo. Le sue opere buffe, in particolare, lo rivelano abilissimo nel tratteggiare i personaggi con mano sciolta, ricorrendo a semplici, incisivi motivi musicali, spesso modellati su andamenti di danza. Spicca, nella sua produzione, quel Pipelé che seppe rinverdire, al suo apparire, gli allori dell'opera buffa. Liberamente basato su un episodio dei Misteri di Parigi di Eugène Sue, il Pipelé mette in scena le vicende di un umile portinaio, povero di spirito ma ricco di umanità, che sopporta con pazienza le beffe più atroci. Su questa vicenda esile e tuttavia ricca di spunti non solo comici, ma anche genuinamente (e ingenuamente) patetici, il D. ha saputo creare una musica arguta, varia, briosa. Orchestrato con eleganza, notevole per l'abile alternanza di toni comici e patetici, il Pipelé è senza dubbio il capolavoro del D.; rispetto ad esso minor valore assumono opere come Il matrimonio per concorso, Il menestrello e Il cadetto di Guascogna, nelle quali il buon gusto e la fresca inventiva melodica del compositore non sempre riescono a salvare situazioni teatrali compromesse in partenza dalla debolezza dei libretti.
Di scarsa importanza appare la poca musica strumentale che il D. ha lasciato, comprendente, tra l'altro, svariati valzer, polke e mazurke per pianoforte (Torino, Bibl. naz., Ris. Mus., II, 39) e due fantasie per pianoforte e violino edite da Ricordi, Milano 1847. Della restante musica vocale si segnalano soprattutto alcune romanze per canto e pianoforte, e alcuni pezzi d'occasione, come l'Inno al re per 4 voci. coro e orchestra., composto ad Amsterdam nel 1848 (Milano, Bibl. d. Conservatorio, Noseda, I-332-1), e la Cantata alle LL. MM. Umberto e Margherita di Savoia (Genova, Bibl. d. Conservatorio, D. I. 20).
Fonti e Bibl.: Gazz. music. di Milano, XVI (1858), pp. 262 ss.; XVII (1859), p. 146; U. Manferrari, Diz. univ. delle opere melodrammatiche, I,Firenze 1954, pp. 298 s.; G. Piurnatti, Catal. delle opere di musicisti liguri esistenti presso la Biblioteca del Conservatorio Nicolò Paganini di Genova, Genova 1975, pp. 16-19; Id., L'opera giocosa di un musicista genovese, in Liguria, XLV (1978), pp. 31 s.; E. Frassoni, Due secoli di lirica a Genova, Genova 1980, I, pp. 211 s., 219, 275 s., 238 s.; II, pp. 463, 594; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 420; La Musica, Diz., I, pp. 496 s.; Enc. della Musica Rizzoli Ricordi, II,p. 259.