DARIO
. Nelle iscrizioni cuneiformi persiane dārayava(h)ush (da iran. dārayat-u̯ahau "che possiede beni") negli scrittori greci Ιαρεῖος, nei testi medio-iranici dārāy è il nome di alcuni membri della famiglia imperiale degli Achemenidi (v.).
Dario I. - Alla morte di Cambise (v.), avvenuta improvvisamente mentre egli si accingeva a ritornare in patria per soffocarvi la ribellione (922 a. C.), il regno di Persia era rimasto in mano all'usurpatore Gaumāta che sotto le mentite spoglie di Bardiya, fratello di Cambise, si professava legittimo erede della dinastia. Ma l'impostura non durò a lungo, poiché i capi delle sette famiglie più importanti del regno, i quali avevano libero accesso presso il Gran Re, accertatisi della vera identità di Gaumāta, irruppero armati nella fortezza di Sikayahuvati in Media, dove egli si era stabilito, e lo uccisero con tutti i suoi fedeli (settembre 522). Uno di essi venne quindi elevato alla dignità reale; e fu appunto D., che assai probabilmente apparteneva a un ramo cadetto della famiglia degli Achemenidi. Secondo la tradizione leggendaria conservataci da Erodoto (I, 3,68-87), veramente la scelta di D. più che a ragioni di legittimità, sarebbe stata dovuta a un responso favorevole provocato dall'astuzia del suo scudiero nella divinazione tratta in proposito; ma D. afferma, nell'iscrizione di Bīsutūn, troppo esplicitamente la sua appartenenza alla famiglia reale perché si abbia motivo di dubitarne: "Io, Dario, il gran re, re dei re, re in Persia, re delle provincie, figlio d'Istaspe, nipote di Arsame, l'Achemenide n.
La grande iscrizione che D. lasciò incisa sulla roccia di Bīsutūn contiene la storia di tutte le ribellioni che egli dovette sedare, prima di riportare a unità il vasto regno persiano. Sette anni di guerra e diciannove combattimenti vittoriosi ridussero all'obbedienza tutte le provincie. In Egitto egli usò politica diversa da quella di Cambise e, resasi amica la casta sacerdotale, poté sin verso la fine del suo regno mantenervi senza contrasto l'occupazione militare.
Riorganizzato il regno sulla base delle satrapie, e assicuratosi mediante un accorto sistema di sorveglianza contro la possibilità di ribellione, particolarmente da parte dei satrapi delle provincie più lontane, D. rivolse il pensiero a garantire il proprio regno contro possibili minacce ai margini occidentali. Una grande via che congiungeva Sardi con Susa, avente uno sviluppo di circa 2400 km., fu costruita non certo col solo intento di stabilire attraverso il servizio di corriere (αγγαρεῖον una più rapida comunicazione delle provincie occidentali con la corte; ma sicuramente per facilitare lo spostamento delle truppe verso Occidente. E a Occidente, difatti D. si rivolse, iniziando operazioni di guerra contro gli Sciti d'Europa. Un esercito persiano, dopo adeguata preparazione condotta con l'aiuto delle città greche di Asia Minore, nel 514 attraversò il Bosforo su un ponte di barche e, sorpassata la Tracia, raggiunse il delta del Danubio; mosso da qui su un altro ponte di barche apprestato da Istieo, tiranno di Mileto, s'inoltrò nella steppa cercando di prendere contatto con le orde scitiche. Ma queste, adusate ai rapidi spostamenti, rifiutarono battaglia e l'esercito di D., dopo avere cercato invano di ottenere atto di sottomissione da parte del re degli Sciti, dovette ritirarsi. D. ritornò a Sardi, non senza lasciare però in Europa al comando di Megabazo un rilevante esercito che ridusse all'obbedienza le città greche della Tracia e il re Aminta di Macedonia. Lo scopo perseguito da D. nella sua spedizione contro gli Sciti non era certamente quello di fare di orde così barbare una provincia persiana, bensì quello di sondare sino a qual punto egli potesse contare sul lealismo e sulla fedeltà delle genti d'Asia Minore, comprese quelle delle colonie greche, in un'eventuale azione contro la Grecia; e forse al tempo stesso anche quello di garantirsi il fianchi contro gli Sciti in una siffatta azione. L'esito poco felice della spedizione fece invece sì che uno spirito di ribellione cominciasse a serpeggiare tra quelle popolazioni sottoposte a contributi onerosi, e fu così che Aristagora, succeduto a Istieo nella signoria di Mileto, credette giunto il momentodi scuotere il giogo persiaDo. Mileto, messasi alla testa delle città greche d'Asia, diventò il centro della ribellione (500 a. C.). Sparta si rifiutò d'inviare aiuti, ma Atene, legata a Mileto soprattutto in causa dei floridi rapporti commerciali, inviò in aiuto venti navi, e cinque ne inviò Eretria. Incoraggiati da tali aiuti, gli Ioni mossero all'offensiva investendo e distruggendo Sardi, capitale dell'Asia Minore. Ma la cittadella nella quale la guarnigione persiana si era rinchiusa non cedette; e i Greci, soddisfatti dei risultati ottenuti, desistettero da altre operazioni. Il loro rapido successo fece aderire alla rivolta la Licia, la Caria, le città dell'Ellesponto e perfino Cipro.
Ma D. intanto s'era preparato alla rivincita e, occupata Cipro, con una flotta di seicento navi fenicie e cipriote nell'estate del 494 dinanzi a Mileto, inflisse una dura sconfitta alla flotta ionica inferiore di numero. A seguito di essa, Mileto venne bloccata e infine presa d'assalto. Caduta Mileto, la rivolta fu dovunque soffocata (493) e un anno dopo ad opera di Mardonio, genero del re, anche la Tracia e la Macedonia, che erano state abbandonate dalle guarnigioni persiane, furono riconquistate.
D., vivamente risentito per l'aiuto che Atene ed Eretria avevano fornito agl'insorti, decise di estendere anche a queste città la sua punizione. Una spedizione navale attraverso l'Egeo mosse verso la Grecia e, sottomesse le Cicladi, prese d'assalto Eretria, quindi, attraversato il tratto di mare fra l'Eubea e l'Attica, raggiunse la baia di Maratona e qui gettò le ancore. Le truppe persiane sbarcate costrette dagli Ateniesi ad accettare battaglia in condizioni sfavorevoli subirono nel piano di Maratona la memoranda sconfitta che allontanò per qualche tempo dalla Grecia la minaccia persiana (490). I preparativi di riscossa, che D., per nulla scosso, apprestava, furono troncati dalla sua morte (485).
Bibl.: La fonte epigrafica capitale sull'avvento al trono di Dario e le sue gesta è la grande iscrizione di Bīsutūn (v.); cfr. F. H. Weissbach, Die Keilinschriften der Alchämeniden, Lipsia 1911; v. inoltre, con le storie generali della Grecia e della Persia (sotto persia: Storia; grecia: Storia), T. Nöldeke, Aufs. zur pers. Gesch., Lipsia 1887, p. 30 segg.; Swoboda, s.v. Dareios, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, coll. 2184-2199; J. V. Prašek, Dareios, Lipsia 1914.
Dario II. - Figlio di Artaserse I e di una concubina (dai Greci ebbe soprannome Νοϑος "bastardo"), salì al trono (7 dicembre 424) sopprimendo Sogdiano, altro figlio illegittimo di Artaserse, il quale aveva a sua volta occupato il trono, togliendolo all'unico erede legittimo Serse II. Il suo regno è segnato da numerose ribellioni e feroci repressioni, nelle quali ebbe notevole parte la moglie di lui Parisatide. La lotta con la Grecia ebbe tregua, essendo Atene impegnata nella guerra del Peloponneso. Ma le colonie greche di Asia Minore indifese dovettero pagare tributo. Morì nel 404.
Dario III Codomano. - Fu posto sul trono di Persia nel 335 dall'eunuco Bagoa che aveva assassinato il padre di lui Artaserse III e il fratello maggiore Oarse. Di Bagoa, deluso nell'aspettativa di sottomissione da parte del giovane re, si liberò costringendolo a bere il veleno che quegli aveva preparato per lui. Dotato di eccellenti qualità di governo, egli avrebbe forse infuso nuova vitalità alla dinastia achemenide, se sull'Impero persiano non si fosse abbattuta la violenza delle armi macedoni. Battuto a Gaugamela presso Arbela da Alessandro nella primavera del 331, dové rifugiarsi nelle provincie orientali lasciando che il Macedone s'impadronisse di Babilonia, Susa e Persepoli. Cercò di costituire un esercito nella Media ma il suo proposito fu troncato dalla morte che lo colse (luglio 330) per mano di due satrapi ambiziosi di succedergli.