DANZA (etimologia incerta)
Si è disputato se la danza sia stata originariamente profana e da questa poi sia venuta la danza sacra o se, viceversa, dalla danza sacra sia derivata la profana. Certo è che tra i primitivi - e così si può presumere che sia stato anche tra i popoli dell'antichità nel loro stadio primitivo - la danza non è un mezzo di puro divertimento o passatempo, ma ha uno scopo realistico, che si può caratterizzare come magico, in quanto nella danza opera una forza occulta sovrumana che si cerca in varî modi di mettere a profitto della comunità.
Ciò può avvenire sia in senso positivo, sia in senso negativo. Nel primo, si hanno: le danze agricole, che per mezzo della magia imitativa mirano a favorire il germogliare e il crescere delle piante, spesso adoperando anche, a scopo magico, la figura del fallo e prendendo atteggiamenti che, se non per il fine, almeno per la forma, le hanno fatte considerare come oscene; le danze della caccia, che si svolgono intorno a un determinato animale, ovvero alla sua figura o maschera, allo scopo di aumentarne la produzione e facilitarne l'incontro al cacciatore; le danze della guerra, in cui con le armi alla mano si simula l'assalto al nemico, perché questi in realtà resti soccombente (per le danze guerresche dei Salii v. appresso e sal11). E si pensa che queste danze possano agire pure in distanza. Presso gl'indigeni del Madagascar, della Costa d'Oro e della California, mentre gli uomini stanno in guerra, le donne rimaste a casa danzano per ispirare loro coraggio e forza. Gl'Indiani Tarahumare hanno una cerimonia in cui un uomo danza di continuo innanzi alla casa rimasta vuota, mentre la gente sta nella campagna a lavorare.
In senso negativo le danze hanno valore purificatorio. Con movimenti bruschi all'aria aperta, con gesti simulanti comunque la ripulitura, con le fiaccole accese in mano, si crede di poter liberare un luogo, una persona o una cosa dalle cattive esalazioni o immondezze che la contaminano, ovvero si cerca di far paura ai demonî che la infestano e di metterli in fuga. Così in Australia gli Arunta, ritornando dalla guerra, ballano una danza selvaggia, per allontanare da sé gli spiriti di coloro che hanno ucciso.
Nella religione, la forza fisica sovrumana, attribuita dalla magia alla danza, diventa una forza demoniaca, che la divinità come per ossessione, comunica ai danzanti, producendo i medesimi effetti che nella magia. In realtà la danza, per il suo grande potere di stordimento della coscienza, è mezzo molto adatto - al pari delle bevande inebrianti e della musica - a produrre estasi e visioni e quindi a stabilire una comunione mistica con la divinità. A questo scopo nell'antichità si sono serviti della danza i devoti di Dioniso nei loro misteri, i sacerdoti cananei di Baal (III [I] Re XVIII, 26) e anche i profeti (nebi'im) israeliti (I Re [Sam.], X, 5; XIX, 20). Nei tempi moderni loro imitatori sono nell'islamismo alcune confraternite religiose, come quella dei Mawlawiyyah, detti dagli Europei "dervisci giranti" e, nel cristianesimo eterodosso, la setta metodista dei Jumpers ("saltatori") in Inghilterra e in America, e la setta dei Chlysti nella Russia. Per aumentare l'eccitazione della danza, si fa uso talora di qualche pianta velenosa e inebriante: l'oppio, lo hashish, ecc., ovvero si martirizza il proprio corpo con volontarie ferite e dislocazioni dei membri, come facevano i sacerdoti di Baal (-III [I] Re, XVIII, 28) e fanno ancora alcuni dervisci e i fachiri indiani. Comunemente le danze religiose sono collettive, perché così l'uno comunica la sua eccitazione all'altro, il quale talora anche contro la propria volontà è preso e trasportato nel vortice della danza, come successe tra i nebl'im israeliti agl'inviati di Saul e a lui medesimo (I Re [Sam.] X, 10; XIX, 20 segg.). Più raramente si usa come eccitatrice d'ispirazione anche la danza isolata; ne abbiamo un esempio negli sciamani della Siberia e negli stregoni-medici dell'Africa.
Da magica e mistica la danza è divenuta semplicemente religiosa. Le movenze imitative degli effetti voluti sono state intese come semplici segni per manifestare alla divinità, nella preghiera, i proprî desiderî. Le pantomime con le maschere degli dei, che in origine avevano lo scopo di attirare la presenza del nume e di ottenere l'unione mistica con esso, sono divenute semplici rappresentazioni mitiche della storia di questo o quel dio. Così dalle danze selvagge dei misteri di Dioniso s'è sviluppato, come si sa, il dramma greco.
Una specie di danza sacra, simile alla profana, era del resto comune a quasi tutte le religioni dell'antichità, per la proprietà connaturale alla danza di esprimere e potenziare i sentimenti interiori sia profani sia sacri. Così nell'antico Israele, allo stesso modo che si formavano cori danzanti di donne per celebrare una vittoria e dare sfogo alla propria gioia (Esodo, XV, 20 seg.; Giudici, XI, 34; I Re [Sam.], XVIII, 6 seg.), doveva farsi altrettanto per la celebrazione delle feste religiose, come apparisce dal loro stesso nome ḥag, che propriamente significa processione o danza. La musica, la poesia e la danza erano tre elementi inscindibili che formavano un unico modo di esprimere la propria esultanza e ammirazione dinnanzi al Signore. Infatti la forma della poesia sacra degli Ebrei consisteva in membri paralleli, per lo più distici, corrispondenti ai movimenti dei due cori danzanti, con un ritmo corrispondente al passo della danza. Famosa restò la danza che David eseguì, certo sonando e cantando, dinnanzi all'arca, quando la fece trasportare con una processione solenne a Gerusalemme (II Re [Sam.], VI, 14). Naturalmente la danza e la musica contribuivano a imprimere alla celebrazione delle antiche feste un carattere di godimento e di gioia. Nella descrizione della festa, che fecero gli Ebrei alle falde del monte Sinai intorno al vitello d'oro, si adopera l'espressione z'hoq "giocare, divertirsi" (Esodo, XXXII, 6,19). E precisamente questo carattere fece sì che, in uno stadio più serio di religiosità, l'antico modo di celebrare le feste e in specie la danza cadesse in dispregio. Mosè andò in furore per le danze in onore del vitello d'oro; Micol, moglie di David, si scandalizzò e vergognò dei suoi salti innanzi all'arca; ma soprattutto i grandi profeti declamarono fortemente in generale contro tutti gli usi pagani di sfrenata allegria prevalsi nelle feste di Jahvè. Così le danze cessarono, e rimase come esponente principale del culto l'inno, composto sempre di versi alterni, ma cantati a piede fermo.
Quindi, nel cristianesimo, la danza non è entrata a far parte del culto ufficiale; sebbene spesso qua e là sia stata adoperata dal popolo per dare maggiore espressione alle sacre rappresentazioni d'uso locale, o semplicemente per accrescere la gioia della festa.
Bibl.: M. B. Nilsson, Primitive Religion, Tubinga 1911; J. W. Hauer, Die Religionen, I: Das religiöse Erlebnis auf den unteren Stufen, Stoccarda 1923; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, Monaco 1912; H. Gressmann, art. Tanzen, in Die Religion in Gesch. u. Gegenwart, 2ª ed., V, Stoccarda 1930; R. Zehnpfund, articolo Tänzen bei den Hebräern, in Realencycl. für prot. Theologie und Kirche, 3ª ed., XIX, Lipsia 1907, p. 378 segg.; A. E. Crawley, art. Processions and dances, in Hastings, Encyclopaedie of relig. and ethics, X, Edimburgo 1918, p. 358 segg.; W. D. E. Oesterley, The sacred dance, Cambridge 1923.
Grecia e Roma. - Dai tardi scrittori le danze greche furono variamente classificate in rapporto ai criterî diversi messi a base delle classificazioni stesse; ma tra queste, due più solitamente s'incontrano: l'una che distingue le danze in tranquille, violente, semplici, furiose e giocose; l'altra - la quale rimonta ad Aristosseno - che le raggruppa in danze accompagnate dal flauto e danze corali liriche e tragiche. Pure movendo a ritroso dei secoli, abbiamo notizia di danze sacrali e guerriere: cori ciclici e pirriche. I primi - che potevano essere maschili, femminili e misti - nella schematizzazione più semplice si riducevano a balli a giro tondo, nei quali danzatori e danzatrici o si tenevano stretti incrociando le braccia dietro le spalle, o si davano semplicemente le mani. Di questo genere sarebbe stato inventore proprio Teseo, il quale, disceso a Delo per sciogliere il voto promesso ad Apollo, con i compagni salvati danzò in circolo intorno all'altare del dio prima movendo a destra e poi a sinistra, stabilendo così i primi lontani schemi della strofe e dell'antistrofe. In realtà la tradizione velatamente collega questa danza antica a forme cultuali cretesi. L'accompagnamento musicale era citaristico, né erano dissimili le danze d'insieme ricordate nei poemi omerici (Il., XVIII, 567-572). Invece la pirrica, oscura nel significato dell'etimologia originaria, tradizionalmente era legata al nome di Pirro, figlio di Achille, che per primo l'avrebbe danzata; ed oltre che per il carattere vivace e guerresco, si distinse dalla ciclica per essere in origine danza individuale. Del resto talvolta si mantenne tale anche in seguito. Lo stesso Alessandro, prima d'intraprendere la conquista della Persia, danzò la pirrica a Faselide, intorno alla tomba di Teodette. Ma più spesso, per l'euritmia della rappresentazione, prendevano parte al ballo più coppie, ognuna delle quali eseguiva le stesse figure.
Gli schemi di queste danze originarie fornirono il primo modello ai poeti della lirica corale per i generi melici, già tradizionalmente fermati nelle caratteristiche di melodia e di ritmo. Le battute che segnarono il tempo delle danze furono più spesso di 2/4 o 6/8, e meno frequentemente di 2/2 o 3/4 o 5/8; e tra queste, quelle di 6/8 e 5/8 più proprie delle danze che chiamavano stasimotere, nelle quali i danzatori, pure movendosi per evoluzioni diverse, non si allontanavano mai dal luogo scelto per l'esecuzione orchestica; mentre il 2/4 e 2/2 erano tempi appropriati agli embaterî, o danze processionali (cfr. Carmina popularia, fr. 18 Diehl), che più da vicino si riportavano al passo della pirrica. Alcmane per primo, nei partenî, usò alternare i ritmi di 6/8 e 2/4, e concepì un nesso ritmico melico-orchestico che può dirsi composto di strofe + epodo (senza prendere però questi termini nell'esatto valore che ebbero in seguito), sì che in essi danze stasimotere e processionali si susseguivano di continuo.
Stesicoro fu il vero riformatore della danza corale greca. Spezzando le forme cicliche che ancora tornavano in fiore col ditirambo arioneo, determinò la danza nel modo che rimase costante, e stabilì la triade composta di strofe, antistrofe ed epodo; delle quali la seconda ritmicamente e melicamente ripeteva la prima e orchesticamente ne riproduceva gli schemi all'inverso. Supposto, per esempio, uno spazio congruo, e al centro un altare, il coro, ordinato in linee e file parallele, si disponeva di fronte, a una distanza determinata dalla maggiore o minore ampiezza delle prime due parti della triade da eseguire, e dal movimento più o meno concitato che informava danza e ritmi. Un coro di quindici cantori presentava in larghezza tre linee di cinque uomini ciascuna (στοῖχοι), o in profondità cinque di tre coreuti (ζυγά). I capi di ognuna di queste ultime - gli uomini di prima riga - erano detti prostati (προστάται). Il capo del coro, o corifeo, per lo più stava innanzi, al centro. L'auleta o il citarista, necessario per la scansione precisa dei ritmi, era presso l'altare. Il coro moveva dal suo posto, e, allargando verso destra, compiva un'evoluzione semicircolare, sino a trovarsi al punto diametralmente opposto a quello di partenza: e questo nel tempo della strofe. Di qui ritornava con un'altra evoluzione semicircolare mantenendo sempre la fronte rivolta agli spettatori; ed era l'antistrofe. Giunto alla posizione primitiva, in luogo ristretto, eseguiva l'epodo, in genere più lento; per ricominciare poi con la seconda triade e così di seguito. Di norma le figure della danza erano eguali di triade in triade; ma non è escluso che in qualche caso variassero pure rimanendo intatto il tempo.
Nel complesso le danze proprie della composizione lirica si riducevano alla pirrica, tratta dagli schemi individuali a una marcia vivace; alla gimnopedica, dignitosa e grave, usata nei cori di fanciulli e di giovinetti; e all'iporchematica, allegra e sbrigliata, che possiamo considerare rifioritura dionisiaca di una primitiva danza gioiosa peanica, poiché del peana in linea massima conservava il metro (5/8 cretico-bacchiaco). A dare un'idea di questo ritmo agitato, basta ricordare che negli iporchemi di Simonide la danza era così mossa, da eccitare i presenti a ballare, essendo impossibile trattenersi.
Le danze della composizione drammatica nella classificazione aristossenica venivano distinte in tragiche, satiriche e comiche, e di esse vicendevolmente erano tipi l'emmeleia, la sikinnis e il kordax L'emmeleia constava di figure severe e mosse lente e possiamo ritenerla elaborazione seriore d'una danza frenetica, poiché i nuclei commatici delle tragedie si riducono in fondo a schietti threni drammatizzati, ed essa nella tragedia era regina. Ciò non toglie tuttavia che la tragedia si avvalesse talvolta anche di danze molto vive, bacchiche ed iporchematiche (cfr. Sofocle, Aiax, 693 sgg.). La sikinnis era la danza dei satiri e propria quindi dei drammi satireschi. Figure principali di essa erano: a) lancio delle braccia in alto, tenendole un po' piegate ai gomiti (χεὶρ σιμή); b) lancio delle braccia indietro, stendendole rigidamente (χεὶρ καταπρηνής); c) accenno, con gesto sconcio, alle pudende (κονίσαλος; cfr. il lessicografo Esichio s. v.); d) spinta della gamba destra avanti. Tra queste mosse principali ve ne erano altre secondarie, e variabili a piacere. "In origine la sikinnis era una danza erotico-apotropaica delle antichissime tribù ioniche, con lo scopo di promovere ritualmente e simpaticamente la fecondazione dei campi" (v. Festa, Sikinnis, p. 58). Con l'attrazione dei demoni fallici nella sfera dionisiaca, anche la sikinnis passò al nuovo culto. Il kordax, solito nella commedia, era anche allegro e vivace, ma non quanto la danza precedente. Informato a ritmi giambici puri (battute di 6/8), nel passo era molto simile alla tarantella. Dei balli greci fu il più popolare, e rimase radicato nelle abitudini festive delle plebi greco-romane. Il kordax poteva essere danzato da una o più persone, ma nell'uso popolare più spesso veniva ballato da una coppia e la donna, per poter meglio ritmare i tempi forti, aveva tra le mani o un tamburo o le nacchere.
Queste le danze che assursero a importanza maggiore ed ebbero suggello d'arte. Accanto ve ne furono moltissime altre - sacre e profane - simili nei ritmi fondamentali, diverse nelle movenze e nelle figure. Tra esse, quelle che possiamo, con termine generico, definire bacchiche hanno lasciato più viva traccia nei monumenti, perché da un lato erano espressione più intima di quelle religioni misteriche che furono sostrato del pensiero e dell'arte greca, e dall'altro offrivano agli artisti possibilità di plasmare figure armoniosamente belle, e in atteggiamenti tali, da fermarle quasi nel momento di maggiore dinamismo.
In Roma, come è naturale presso un popolo guerriero, in un primo momento danza armata e danza sacra furono una sola cosa. Seguendo la tradizione che si faceva rimontare a Numa, nel mese di marzo, i sacerdoti Salii uscivano per la città vestiti di tuniche rosse, con cintura ed elmi di rame, armati di aste e reggendo gli scudi ancili; e danzando battevano le aste sugli scudi: qualche cosa di simile quindi all'uso cretese dei Coribanti. La danza dei Salii comportava però anche mosse svelte, giravolte e movenze in tempo, sì da mostrare leggerezza e forza (cfr. Plutarco, Numa, c. 13). Probabilmente in questo costume, come in tanti altri della prima civiltà romana, bisogna vedere un'influenza etrusca" Ma i monumenti seriori di danze religiose mostrano pienamente l'influsso greco.
Così il lare bronzeo del Nuovo Museo Capitolino rappresentato come un giovane danzante che regge nella destra un rhyton e nella sinistra una coppa; così le figure laterali di una pittura pompeiana, forse anche da identificare come lari danzanti presso l'offerente. Peraltro anche nel teatro comico l'abbandono dei tipi italici per le ricostruzioni di ambiente greco, nelle danze che accompagnavano lo spettacolo, pure riportava al costume imitato. Gli stessi tipi di danze bacchiche, nei monumenti romano-italici, sono simili alle greche. E lo stesso bisogna dire de1 mimo che, nell'esemplificazione romana degli ultimi tempi repubblicani e dell'epoca imperiale, s'allontanò completamente dalle forme italiche e fu rappresentazione nella quale un solo attore, con gesti e mascheramenti acconci, riproduceva i momenti salienti d'una vicenda per lo più mitica, rifacendo successivamente le parti di personaggi diversi. E spesso la maestria mimetica degli attori raggiungeva tale perfezione da bastare da sola - senza accompagnamento musicale - all'effetto. Dal mimo, allargato nella tela e nel numero degli esecutori, si giunse poi alla pantomima, nella quale, accanto alle parti mimiche, trovarono largo posto danze individuali e collettive; genere teatrale piuttosto ibrido, che ebbe gran voga nei primi tre secoli dell'Impero, sinché il diffondersi del cristianesimo non lo colpì con l'anatema, condannandolo a rapida decadenza.
Bibl.: H. Flach, Der Tanz bei den Griechen, Berlino 1881; O. Crusius, Stesichoros u. d. epodische Composition in d. Griech. Lyrik, in Comment. Ribbeckianae; M. Emmanuel, La danse grecque, Parigi 1895; L. Sechan, s.v. saltatio, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiq. gr. et rom., IV, 1025-54; Kurt Latte, De saltationibus Graecorum, Giessen 1913; V. Festa, Sikinnis. Storia di un'antica danza, Napoli 1914; U. von Wilamowitz-Moellendorff, Griechische Verskunst, Berlino 1921, pp. 441-469; O. Schroeder, Griechische Singverse, Lipsia 1914; Kurt Moreck, Der tanz in der Kunst, Stoccarda 1925; F. Weege, Der tanz in der Antike, Halle 1926; Th. Reinach, La musique grecque, Parigi 1926, pp. 151-152; C. Del Grande, Sviluppo musicale dei metri greci, Napoli 1927, pp. 37-46.
Dal Medioevo all'Età moderna. - Una linea spesso invisibile ma ininterrotta unisce le danze dell'antichità a quelle del Medioevo. Il ritmo trocaico dei canti popolari romani, che quando è formato di suoni rapidi, secondo Aristide Quintiliano (De Mus., I, 11) è proprio della danza, si ritrova nella tarantella delle provincie napoletane e nel saltarello che tuttora vive nella campagna romana: es.:
unus homo mille mille
mille decollavimus
(Saltatiuncula in Aurelianum).
Ma oltre che nelle suddette danze popolari, questo ritmo si ritrova nelle più antiche danze strumentali che ci restano, le quali rimontano al sec. XIII e portano il nome di estampies, come derivato dal participio di un verbo estamper, percuotere la terra col piede. Secondo l'Aubry (Trouvères et Troubadours, Parigi 1905), l'estampida sarebbe dunque una danza in cui il tempo accentuato era marcato da un colpo battuto col piede da tutti i danzatori, e questa caratteristica avrebbe dato il nome alla danza. Nella nota estampida sulla quale Rambaldo di Vaqueiras compose la sua poesia Kalenda Maya (V.P. Aubry, op. cit.) è visibile l'analogia con i canti trocaici cui abbiamo accennato.
Simile a questa estampida è la celebre ballata A l'entrada, pubblicata nello stesso libro dell'Aubry.
Oltre l'estampida, che si eseguiva sulla viella, vi erano la balade, il rondeau e le baleries che erano danze cantate. Come si eseguissero queste danze non sappiamo con precisione. "Parecchi testi - osserva il Bédier - mostrano che i danzatori non si tengono per le mani come nella carola ordinaria, immobilizzando le braccia, ma, come dice graziosamente l'autore di Guillaume de Dôle, danzano e cantano con le braccia e con le mani. Certi frammenti ci fanno immaginare non due gruppi o due cori che si alternano, ma due o tre danzatori che mimano la scena (J. Bédier, in Revue des deux Mondes, 1896).
Differente, come struttura metrica, dalla ballata francese è quella italiana del sec. XIV (v. ballata), ma è ugualmente destinata alla danza nella sua origine, e, nelle forme popolari, anche in seguito. Nella v. ballata è riportata infatti la musica di una lauda del sec. XIV, composta sul ritmo di una danza popolare detta trescone e in forma di ballata classica, nella quale sopravvivono il ritmo trocaico e la misura 6/8, che, secondo il Gevaert, è la misura caratteristica delle popolazioni mediterranee.
Circa il modo tenuto nel danzarla non siamo meglio informati che per le danze antiche francesi. Un affresco del Lorenzetti che è nel palazzo comunale di Siena, raffigura alcune donne che eseguono una carola; danzano cioè un ballo in giro tenendosi per mano; e un affresco di Benozzo Gozzoli al Camposanto di Pisa ci mostra tre donne e un giovane che eseguono, disposti in due coppie, al suono di un liuto e di un piffero, una danza figurata. Di una ballata infine, citata dal Boccaccio nella giornata VIII del Decameron, che comincia L'acqua cozze alla borrana, abbiamo una minuziosa descrizione dataci nel sec. XVI da un anonimo annotatore del Decameron, il quale riferisce di averla vista eseguire così ai suoi tempi (v. D'Ancona, La poesia popolare, pp. 45-47)
Ma, se abbiamo incertezze circa l'esecuzione delle danze medievali, che erano spesso mimiche, e i cui movimenti erano determinati dalle parole della canzone, siamo invece esattamente informati su quelle del Rinascimento. Non solo perché sono diventate esercizî di grazia e di agilità, perdendo quasi completamente il carattere mimico, ma anche perché nel sec. XV compaiono i primi trattati di danza. Uno dei più antichi, se non il più antico, è quello di Guglielmo Ebreo, del sec. XV. Un altro non meno notevole, del medesimo secolo, è quello di Antonio Cornazzano, addetto alla casa d'Este. Un terzo in ordine di tempo è quello di Fabrizio Caroso da Sermoneta, intitolato Il Ballarino, il quale è uno dei primi dati alle stampe. Il volume, edito a Venezia nel 1581, è ornato d'incisioni che riproducono danze e cavalieri in posizioni di danze. È diviso in due parti: la prima contiene le regole per apprendere l'arte della danza, cioè i "belli atti, i gratiosi movimenti et le onorate creanze, "la seconda" i diversi balli e balletti, all'uso d'Italia, di Francia e di Spagna: cascarda, tordiglione, passo e mezzo, pavaniglia, gagliarda, canario, ecc.", con la relativa musica in intavolature di liuto. Altro trattato importante è quello di Cesare Negri milanese, detto il Trombone, stampato a Milano nel 1602 col titolo Le Gratie d'amore. Infine ultimo in ordine di tempo, ma forse più importante di tutti, è l'Orchésographie di Thoinot-Arbeau (anagramma di Jean Tabourot, canonico di Langres e maestro di cappella di Enrico III), nel quale volume, stampato nel 1589, si dà una minuziosa descrizione di tutte le danze in uso alla fine del '500.
Le danze del Rinascimento, come tutte le altre, si possono classificare secondo la misura, il disegno ritmico e il movimento. La misura può essere binario-ternaria (binaria a elementi ternarî); il movimento lento, moderato o allegro. Il disegno ritmico, tetico (in battere) o anacrusico (in levare), può assumere forme svariate ma tipiche e costanti per ogni genere di danza. Riguardo all'esecuzione le danze si dividevano in basse e alte. Basse quelle che si danzavano piuttosto passeggiando, alte quelle che comportavano dei salti. Una delle danze binarie più importanti era la pavana, di origine spagnola, di movimento lento e di carattere grave e solenne, che sembra tragga il nome dal pavone a denotare il suo carattere solenne e fastoso. I cavalieri, infatti, dovevano danzarla con gravità, avvolti com'erano in ampî mantelli alla spagnola; essi poggiavano la mano sull'elsa della spada. La pavana era spesso cantata a diverse voci.
Di origine italiana sarebbe invece il passamezzo, danza lenta; secondo l'Arbeau non sarebbe che una pavana eseguita con un ritmo più vivace e d'indole meno compassata. Di origine tedesca era l'allemanda, danza di carattere severo e grave, dapprima cantata, che in seguito ha un grande sviluppo strumentale. Era eseguita da diverse coppie contemporaneamente. Si compievano tre passi e una figura detta gru, nella quale si alzava un piede, senza però saltare. Fra le danze binarie di movimento vivace era il tambourin, danza saltellante, di carattere gaio, venuta di Provenza, così detta dal tamburino a sonagli che scandiva il ritmo, assai caratteristico come si nota nel seguente esempio (J. Ph. Rameau):
Vi erano inoltre il rigaudon, d'origine provenzale (ma d'etimologia incerta), il branle (italiano: brando) di origine francese e di carattere popolare, che trae il nome da un movimento a scosse da destra a sinistra, nel quale si eseguivano, prima di cominciare il movimento circolare, alcuni passi sullo stesso posto. Ve ne erano di vario genere, di movimento più o meno vivace: per persone attempate, per giovani (branle-gay, di ritmo però ternario) e per ragazzi. V'erano poi dei branles mimici. Tabourot menziona infatti branles "delle lavandaie", nei quali si battevano le palme delle mani imitando il rumore dei battitoi, "degli eremiti", in cui si usavano travestimenti monastici, "delle fiaccole", in cui ad ogni giro il cavaliere consegnava una torcia alla dama, che a sua volta la consegnava al nuovo cavaliere. Il seguente esempio di branle è tratto dagli Airs de Cour del Bésard.
Altra danza binaria vivace è la bourrée, proveniente dall'Alvernia, i cui passi erano brevi, vivaci e "a fioretti" (pas fleuret). Essa comprendeva due momenti: un passo strisciato sulla punta del piede, un demi-coupé e un demi-jeté, e si danzava con gonne corte. Ma la danza che dura fino al 1700 e ha maggior voga è la gavotta, anch'essa di origine popolare; verso la fine del 1500 era in uso nel Delfinato e somigliava al branle, ma aveva salti e passi di gagliarda. Nel sec. XVII era diventata danza di teatro; più tardi riappare come danza di società. I maestri di danza ne fecero un passo a due, comprendente 18 variazioni tra un preludio e una conclusione formati da un minuetto di otto battute.
Alle danze di ritmo ternario e di movimento lento appartiene la sarabanda, danza di carattere grave e solenne, di origine moresca: era eseguita di solito da una sola ballerina e, come dice il Mattherson, "non deve esprimere nessun altro carattere all'infuori dell'orgoglio": La ciaccona, d'origine spagnola, terminava generalmente le feste da ballo: i danzatori, disposti in due file - l'una di cavalieri, l'altra di dame - la danzavano a figure differenti da fila a fila, alternandosi con assoli o passi a due eseguiti dal direttore delle danze. Finalmente tutti si riunivano in una figura d'insieme. Di movimento più vivo della ciaccona era la passacaglia, danzata da un solo personaggio.
Danze di movimento vivace sono il passepied, la gagliarda, la volta e la courante. Il passepied, antica danza marinaresca bretone, trae il nome dal fatto che un piede passava sull'altro. Era una variante del branle, del quale talvolta prende il nome. La gagliarda, così chiamata, dice l'Arbeau, e perché bisogna essere gagliardi e atti a danzarla", era detta anche romanesca o romana. Come danza alta si danzava di solito dopo la pavana e aveva un carattere rude e vigoroso: secondo l'Arbeau, comprendeva cinque passi e una attitude. Si danzava dal cavaliere e dalla dama separati. I passi erano quelli della vecchia scuola francese (rouade, grue), combinati con le cabrioles, che si eseguivano all'11ª e alla 17ª misura, saltando e battendo i piedi in aria l'uno contro l'altro. Il carattere maschio di questa danza risulta evidente dal seguente esempio, tratto da una gagliarda di O. Perla:
La volta, di origine provenzale, era una specie di gagliarda che si eseguiva facendo fare al corpo più giri a destra che a sinistra, onde il nome di volta. Il cavaliere, agile e vigoroso, doveva far volteggiare in aria la sua dama; la coppia, fatta la riverenza, compiva qualche passo di danza tenendosi per mano: un passo con un piccolo salto sul piede sinistro, un passo più lungo sul destro e un gran salto a piedi giunti. Per girare, il cavaliere cingeva col braccio sinistro la vita della dama. L'esempio seguente è tratto dall'opera citata di G.B. Bésard.
Di origine francese era la courante (da courir, correre, a denotare il suo movimento veloce). Secondo l'Arbeau si eseguiva il passo saltando, e vi si godeva di una grande libertà di evoluzioni in ogni senso, che portava i danzatori abili a lasciarsi andare alla loro fantasia e al piacere di brillare individualmente. La courante si danzava da due persone sole.
Ma la danza ternaria più fortunata e l'ultima a scomparire è il minuetto, danza che, secondo il Brossart, deriverebbe dal Poitou. Il nome avrebbe origine da pas menu, a denotare i passi stretti di cui era composta. Di origine popolare, fu introdotta sul teatro dal maestro dl ballo Pécour, che ne compose la coreografia, quindi accolta alla corte. Il passo di minuetto del Pécour era assai semplice, e questa semplicità permetteva al ballerino di prendere qualsiasi direzione voluta. Esso tracciava infatti una figura di S o di Z, figura assai graziosa quando veniva eseguita dalla dama, che apriva il ventaglio e dava ampiezza al panier del suo vestito. Secondo il Rameau (Le Maitre à danser), il passo di minuetto si componeva dei seguenti movimenti: 1. si piegavano egualmente le due ginocchia; 2. si liberava il piede in avanti o indietro o di lato, prima sulla punta, poi lasciando cadere il tallone; 3. si univa nella punta, e poi nel tallone, il piede opposto a quello che si era mosso. Quanto alle figure, esse erano poco numerose e consistevano principalmente in passeggiate di lato, saluti e movimenti di braccio.
Alle danze binarie composte di elementi ternarî appartengono le seguenti. La moresca, di origine araba, come indica il nome, passata dalla Spagna all'Italia, che si eseguiva di solito alla fine delle feste e delle mascherate.
Simile alla moresca, e danzata da coppie camuffate da re mori, era la canaria, proveniente dalle isole canarie, nella quale il cavaliere, invitata la dama, la conduceva in fondo alla sala, poi compiva diverse evoluzioni e, senza volgerle mai le spalle, ritornava al proprio posto avvicinandosi e allontanandosi, sempre danzando. Né la dama restava immobile, ma avanzava e retrocedeva secondando le evoluzioni del cavaliere. Di movimento dolce e tranquillo, introdotta posteriormente alla moresca, cui si rassomiglia, era il siciliano o siciliana.
Affine al siciliano era la loure, che trae il suo nome da uno strumento normanno simile alla cornamusa, dal cui pedale persistente è accompagnata. Di carattere vivace è invece la musette, che deve il nome alla musette, genere di cornamusa in voga ai tempi di Luigi XIV e di Luigi XV. Di movimento particolarmente vivace sono anche: il saltarello, ballo - come dice il nome - a salti, in voga tuttora nella campagna romana, che si eseguiva accompagnato dal tamburello, e la tarantella, che trae il nome da Taranto, differente dal saltarello per non avere il ritmo accentuato e per un condurre più passeggiato. La giga, di movimento vivace e di origine celtica (il nome dal ted. Gage) ha importanza per il suo sviluppo strumentale. Tutte queste danze, dapprima cantate, hanno avuto in seguito uno sviluppo strumentale ragguardevole e hanno avuto il merito di rinvigorire nella musica polifonica del '500 il senso del ritmo, allora alquanto affievolito. La suite del '600, detta dapprima Sonata da camera, non è infatti che un seguito di danze per violino o clavicembalo, composte nella stessa tonalità. Quivi incontriamo principalmente pavane, gagliarde, correnti, allemande, e gighe, bourrées. Le uniche danze propriamente dette che passano invece nella Sonata sono il minuetto e il rondò (rondeau). Queste due forme non erano nemmeno comprese nella suite primitiva; ma esse hanno ormai raggiunto uno sviluppo ritmico così ampio, che sono diventate vere forme musicali.
Le danze moderne. - Alla fine del secolo XVIII si produce una decadenza delle classiche danze di società: si rinuncia a quelle forme complicate che miravano a porre in luce l'eleganza e l'abilità dei danzatori. La sola danza figurata che sostituisca le antiche è la contraddanza (dall'inglese Country-dance). Importata nei primi del '700 da un maestro inglese, era in origine una danza di carattere pastorale. Prese poi il nome di quadriglia perché i ballerini la eseguivano aggruppati in quadriglie. Tutte le altre danze in uso al principio del sec. XIX hanno un carattere completamente differente da quello delle danze classiche, in cui i passi erano eseguiti secondo figure determinate, da una o più coppie, e in cui il cavaliere, separato dalla dama, le dava appena la mano. Nel sec. XIX si adottano infatti danze in cui il cavaliere e la dama, strettamente allacciati, girano senza tregua da sinistra a destra e da destra a sinistra.
Il cavaliere passa il suo braccio destro intorno alla vita della dama, il cui braccio sinistro posa sulla spalla del cavaliere; nello stesso tempo questi le sostiene con la mano sinistra la destra, all'altezza della cintura. La più importante di queste danze è il valzer (ted. Walzer), danza in giro, di ritmo ternario, la cui origine va cercata nella volta o nello Springtanz (danza saltata di carattere nazionale tedesco). Comunque, da popolare il valzer diventa danza cittadina, in Austria, e precisamente a Vienna, verso la fine del '700, donde fu importata a Londra e a Parigi, e aspramente criticata dal punto di vista plastico e morale. Mozart, Haydn, Beethoven, Schubert e Weber, scrivono in questa forma di danza alcune composizioni, destinate a essere ballate, ma J. Lanner e i due J. Strauss (padre e figlio) furono i più fecondi e celebri compositori di tale danza, rimasta del resto sempre tipicamente viennese.
La polka è una danza di origine boema, di ritmo binario e di movimento animato. Inventata a Praga verso il 1830, divenne presto danza di società, passò in Francia e si diffuse dappertutto. La polka si balla a 2 tempi, ma il passo si scompone in 4 movimenti. In Polonia troviamo tra le danze nazionali la mazurka e la polacca.
La mazurka (dalla provincia di Masuria, dove era popolare fin dal sec. XVI [?]) ha un movimento ternario vivo e ardito, con accenti che i ballerini eseguono battendo la terra col tallone. Quando divenne danza di società, al principio del sec. XIX, fu semplificata e prese il nome di polka-mazurka. Il passo si esegue in 6 tempi nello spazio di 6 misure. In musica la mazurka vanta pagine di alto valore, tra cui notissime quelle di Chopin.
La polacca, in ritmo ternario, è una danza passeggiata, di carattere grave e fiero (al contrario della cracovienne, di movimento binario e di origine popolare) ed è danza di corte. Conosciuta in Europa fin dal sec. XVI, raggiunge, come la mazurka, il suo massimo valore musicale nell'opera di Chopin.
Lo schottish (valzer scozzese) è assai simile, benché meno vivace, alla polka. Il boston, più che danza autonoma, è una particolare maniera di eseguire le danze, specialmente il valzer (che ne è reso più lento). L'inglese one-step si presenta quasi come una marcia cadenzata, di una semplicità che ne spiega il successo.
Il valzer e la polka durano per tutto il sec. XIX e nell'inizio del sec. XX. Verso il 1912 fa la sua apparizione in Europa il tango argentino e quello brasiliano, danze di origine popolare.
La danza più importante tra le moderne è il fox-trot, in ritmo binario, proveniente dall'America del Nord, caratterizzata dal sincopato. Ma solo dopo la guerra si nota l'invasione di danze negro-americane (tutte su ritmi sincopati) come il charleston, il black-bottom, ecc. La prima apparizione del rag-time (tipo originario di tutte queste danze) è veramente, nella sinfonia di Dvořák intitolata dal Nuovo Mondo. Ma non si diffonde in Europa che nel 1918-19. Il black-bottom è come un fox-trot più lento sul ritmo seguente:
Il charleston, derivato dalla città omonima nella Carolina del Sud, ha passi numerosi e variati, in ognuno dei quali è però costante la norma di avvicinare e allontanare simmetricamente le punte dei piedi.
Queste danze sono orchestrate in modo speciale e caratteristico (cosiddetto jazz-band), nel quale ha molta parte l'elemento improvvisazione. Tutte le danze suddette, che sono state introdotte in Europa da suonatori e da danzatori negri, hanno un' importanza essenzialmente ritmica.
Il ballo sin dal principio del sec. XIX ha perduto quell'elemento espressivo e rappresentativo, che ancora sopravvive nelle danze del '700. Ma ai primi del '900 si nota in Europa una rinascita della danza nel senso migliore della parola. Questo movimento di rinascita è iniziato dalla danzatrice americana Isadora Duncan la quale ha avuto l'ispirazione di danzare non su musiche scritte per essere danzate, ma su composizioni dei maestri della sinfonia e della musica dotta. Ciò costituisce il suo merito incontrastato, la sua incontestabile originalità. "Io ho danzato su questa musica - ella ha detto - portata da essa come una foglia dal vento". Non si potrebbe definire più semplicemente di così la pratica della danza. Accanto alla Duncan i Russi hanno saputo ridare alla danza il senso drammatico, creando in scenarî fantasmagorici figurazioni mimiche, innestando la nuova concezione della danza su quella tradizionale (v. ballo). Intanto E. Jaques-Dalcroze ha cercato di ridare alla danza il valore etico che aveva presso i Greci, mirando a ristabilire l'unità tra l'insegnamento ginnastico e quello intellettuale, tendendo altresì all'abolizione del tipo ambiguo del mimo professionista, in cui il sentimento è sostituito dal sentimentalismo, e quindi al ristabilimento dell'opposizione fra i due sessi.
Lo sforzo di Isadora Duncan, che ha cercato di creare una danza libera e plastica, e quello di E. Jaques-Dalcroze, che ha cercato di darle una base vigorosamente ritmica, hanno determinato intanto in tutti i paesi, e specialmente in Germania, innumerevoli iniziative, la cui importanza estetica e sociale non è trascurabile.
Bibl.: P. Aubry, Estampies et danses royales, Parigi 1906; J. Bédier, Les plus anciennes danses françaises, in Revue des deux Mondes, 1906; J. Wolf, Die Tänze des Mittelalters, in Arch. f. Musikwissenschaft, 1918; H.J. Moser, Stantipes und Ductia, in Zeitschrift der Internat. Musikgesellschaft, 1919-20; G. Ebreo, Trattato dell'arte del ballare (inedito fin dal 1873), Bologna; A. Cornazano, Il libro dell'arte del danzare, ristampa, Firenze 1915; F. Caroso da Sermoneta, Il ballarino, Venezia 1581; e altre ediz. col titolo Nobiltà di dame, 1605; Thoinot-Arbeau, Orchésographie, Langres 1589 (ristampa, Parigi 1888); J. Ph. Rameau, Le Maître à danser, Parigi 1748; Ch. Blasis, Code complet de la danse, Parigi 1830; O. Chilsotti, in Biblioteca di rarità musicali, Milano 1883 segg.; E. Jaques-Dalcroze, Ritmo, musica e educazione, Milano 1925; A.G. Bragaglia, Scultura vivente, Milano 1927; A. Levinson, La danse d'aujourd'hui, Parigi 1930; H. e M. Aubel, Der Künstlerische Tanz unserer Zeit, Lipsia 1928; F. Giovannini, I balli di ieri e di oggi, Milano 1930.
Etnografia e folklore.
La danza dei primitivi. - La danza nelle società primitive è una delle tante cerimonie con cui si sogliono celebrare gli avvenimenti importanti. Come tale essa è portata, di volta in volta, a interpretare lo spirito della circostanza, esprimendone figuratamente il significato. Di qui la varietà dei suoi caratteri. Chi l'organizza è quasi sempre il capo; anzi presso i Negri dell'Africa essa rientra nei doveri di rappresentanza di siffatto personaggio, che non di rado è lo stregone e il musico della tribù. Difatti, egli non solo trae gli auspici, fissa il luogo e stabilisce le modalità della danza, ma batte il tempo, intona il ritornello o l'aria, regola lo svolgimento o l'ordine dei quadri. Come capo è anche l'attore principale, tanto che talora a lui solo compete il privilegio o l'ufficio di incarnare il totem, infilando la maschera e la pelle dell'animale cui la danza è dedicata. Così tra gl'Indiani dell'America Settentrionale, dove egli, prima di dare inizio al ballo, si reca nel bosco, ravvolto in una pelle di orso o di altro animale per conversare con gli spiriti. Il carattere della danza si può desumere spesso dalla particolare decorazione degli esecutori, in cui è largamente adoperata la colorazione del corpo (indigeni della Australia e dell'Oceania, Negri dell'Africa e Indiani dell'America). Anche le acconciature sono intonate al carattere della festa. Gli Australiani spalmano con terra rossa la folta capigliatura, adornandola con penne di emù, di cacatua, con code di cane e altri oggetti. In alcune isole della Polinesia i danza tori dispongono i capelli a corona, con sopra un'assicella di legno e in basso, sulla fronte, un anello di fibre vegetali. L'ornamento più apprezzato dalle ballerine delle Isole della Società è costituito dalle rosse penne caudali del fetonte. La maschera è largamente usata. Pare che i più rozzi Australiani la ignorino, usi come sono a tingersi il viso. Essa riproduce, nelle forme più basse, le sembianze animalesche, e in quelle meno basse le sembianze demoniache, concepite come un quid medium fra l'animale e l'uomo. Sovente il giovane la riceve entrando nell'età virile e la conserva per tutta la vita. Inoltre, presso i Boscimani, i danzatori allacciano ai piedi i crotali, presso i Waganda e altre tribù delle sorgenti del Nilo campanelli di ferro ai polsi e alle caviglie; presso svariati gruppi d' Indiani dell'America del Sud usano trampoli artisticamente lavorati. I bastoni da ballo sono in uso fra le popolazioni dell'Oceania. Nelle Samoa, nelle Hawaii e altrove essi hanno la forma di remi intagliati; nell'Isola della Pasqua recano in alto un sacro simbolo.
In genere i balli non sono, presso i primitivi, accompagnati dalla musica, ma da qualche rozzo strumento atto a segnare il tempo, oppure, in una fase ancor più rudimentale, dal calpestio dei piedi, dal battere delle mani, dallo schioccare delle dita, dalla voce; le cui espressioni musicali fissandosi a poco a poco in ritornelli, dànno consistenza alle canzoni da ballo.
Le danze possono essere ripartite in maschili, femminili e miste. Alle prime intervengono soltanto gli uomini iniziati ai misteri e però idonei alle funzioni sociali, politiche e religiose. Le donne sono escluse o fanno da spettatrici, o tutt'al più compongono l'orchestra segnando il tempo e modulando la canzone d'accompagnamento. Agli uomini sono riservate le danze della caccia e della guerra e quelle cerimoniali in genere. L'esclusione della donna è dovuta generalmente a ragioni superstiziose, a interdetti o tabu come quello dei Guro della Costa d'Oro presso cui l'intrusione del sesso debole farebbe perire i feticci. Fra i Tupinamba le danze venivano organizzate per gruppi sessuali: gli uomini formavano un gruppo, le donne un altro, e danzavano senza mescolarsi pur movendosi con identico passo e pur avendo la stessa mimica. Le danze delle donne hanno sempre un carattere esibizionistico, che si riscontrerebbe in tutte le varietà, da quelle più semplici che celebrano l'amore come espressione sentimentale a quelle più complesse che l'esaltano come manifestazione di voluttà. Le danze miste, quando compaiono, hanno la forma di manifestazioni estatico-orgiastiche e non di cerimonie magico-sacre. Tra alcuni gruppi di primitivi tali danze non confondono mai perfettamente i due sessi. Così nelle danze miste degli Ila della Rhodesia Settentrionale gli uomini e le donne formano due file distinte; ogni tanto un danzatore gira intorno a una donna senza toccarla.
Le danze possono inoltre essere distinte in collettive e individuali. Queste rappresenterebbero, a parere del Wundt, le forme semplici e primordiali, le collettive le ultime progredite nello svolgimento dell'arte coreografica, nella quale l'uomo vanta il primato per l'agilità degli atteggiamenti e per l'espressione mimica. Così le danze delle tribù indigene di Malacca, le quali mancano delle forme a file, pur essendo eseguite da più individui, lasciano al proprio posto i singoli ballerini. Frequenti sono le danze di individui isolati, uomini o donne, con intonazioni e ispirazioni varie. Tipiche quelle degli stregoni, i quali le mettono in opera per assorbire o per cacciare gli spiriti malefici (danze del diavolo dei Senegalesi, la danza dei duk-duk-della Nuova Britannia) in casi di malattie, di incantesimi o come espedienti ordalici per scoprire i furti, come praticano quelli appartenenti alla confraternita Komo, presso i Bambara, infilando vesti di paglia o di foglie e un'orribile maschera. Nelle danze collettive il numero dei partecipanti è variabile, talvolta sorpassa il centinaio, specie quando alla cerimonia sono chiamati rappresentanti di più tribù (alleanze, trattati di pace, feste solenni). Alla cosiddetta "danza del sole", che è una delle cerimonie più importanti degl'Indiani delle praterie, prendono parte da tre a quattrocento individui di differenti gruppi, e la solennità vuole che ogni odio e rancore siano posti in oblio.
Rispetto alla loro ricorrenza le danze possono essere occasionali e periodiche, aventi luogo cioè in epoche fisse, e si distinguono in danze di caccia, di guerra, d'iniziazione, di amore, di nozze, di morte. Le danze di caccia, nella forma più rozza, presso le popolazioni che dalla selvaggina traggono il sostentamento, non sono che pantomime riproducenti l'andamento e le voci degli animali di cui la tribù va in cerca, nonché le peripezie e la sorte che alla fiera è riservata allorché cada in mano dei cacciatori. Così i Tasmaniani di un tempo, così gli Australiani dei nostri giorni imitano nelle loro coreografie le movenze del canguro, dell'emù e di altri animali; gl'Indiani dell'America Settentrionale le movenze dell'orso, del bufalo, del bisonte, con travestimenti convenzionali. Gli attori danzano così fino all'esaurimento. Presso i Sioux il mago si maschera con il vello d'un orso ed è seguito da una comitiva di danzatori similmente travestiti. Siffatte danze possono precedere o seguire le spedizioni: nel primo caso hanno carattere propiziatorio, nel secondo espiatorio, poiché l'uomo incivile ritiene di non potere impossessarsi di un animale senza il favore dello spirito che ne protegge la specie. Da ciò i varî espedienti escogitati dall'arte magica per allettare gli animali: il canto, il suono, la danza. I Dakota pretendono (Catlin, Schoolcraft) di fare una buona caccia ammaliando la selvaggina con l'imitarne gli atti. Così quando i Cafri Xosa si dispongono a cacciare, un uomo, prono, con le mani a terra e un po' d'erba in bocca, finge d'essere un animale mentre i compagni lo inseguono gridando. Analogamente avviene tra i Negri dell'Africa equatoriale quando si accingono alla caccia del gorilla.
Le danze di guerra sono state dette esercitazioni coreografiche per il carattere ginnico che meglio risalta qualora vi prendano parte masse di guerrieri e talvolta eserciti in marcia (Zulù, Maori). Anche queste danze possono precedere o seguire la spedizione. Non vi era guerra presso gl'Indiani dell'America (Irochesi, Mundrucu) che non fosse preceduta da danze che duravano parecchi giorni e alle quali intervenivano gli stregoni. Non di rado in tali occasioni si portavano in giro le sacre insegne, che presso molte tribù erano rappresentate dalla scure di guerra coperta di geroglifici commemorativi della spedizione precedente. In questo genere di coreografia guerresca, gli esecutori coperti di maschera e armati si ripartiscono in due schiere, di cui una s'avanza contro l'altra al segnale convenuto e al suono del tam-tam o di altro strumento. Imponenti sono i corrobori australiani. Qualche volta il nemico è immaginario e i danzatori fingono di colpirlo, con rapidi movimenti e grida. In taluni casi le danze di guerra sono messe in opera da un solo attore, il quale interpreta le principali scene della battaglia. Presso varie tribù dell'arcipelago malese il capo supremo, quando si reca in giro per l'esazione dei tributi, ha l'obbligo di eseguire, di villaggio in villaggio, la danza di guerra, e ciò egli fa portando una testa umana che i suoi guerrieri hanno avuto cura di predare. Questo particolare richiama le danze dei cacciatori di teste della stessa regione. Esse si svolgono al ritorno da una battaglia, come avviene presso i Daiaki, i quali infilano per la circostanza sopra pali i cranî o le teste dei nemici uccisi. I danzatori girano di notte attorno ai macabri trofei seguendo il ritmo dei tamburi e intuonano canti schernenti le vittime. Talora (Maori) il sacerdote guida la danza con il canto; e spesso le teste sono mummificate e conservate per altre danze e solennità. Lo stesso avviene nella Melanesia e fra i selvaggi delle Americhe. I Jívaro, per es., considerano lo scalp del nemico (il cuoio capelluto strappato e disseccato) come il miglior emblema per le loro danze. Il significato di tali manifestazioni si ritiene fosse in origine di carattere espiatorio. Infatti nella isola di Timor, quando una spedizione torna in trionfo con le teste dei vinti, si praticano dei sacrifizî in onore degli uccisi allo scopo di evitare sciagure ai vincitori. Una parte della cerimonia consiste nella danza sull'aria di una canzone in cui si lamenta la morte dell'ucciso e gli si chiede perdono.
I riti iniziatici comprendono, fra le varie pratiche, alcune rappresentazioni mimiche per raffigurare la morte e la rinascita del neofita. La danza in tali occasioni può avere lo scopo di aggregare i fanciulli alla superiore classe di età. Nella Nuova Galles del Sud la cerimonia che consacra il ragazzo nella nuova categoria sociale, consiste appunto in un ballo che gli uomini fanno in circolo. In molti casi la danza iniziatica è un mezzo per mettere a prova la resistenza fisica del candidato. Difatti essa è prescritta prima dei veri e proprî riti della pubertà (Nuova Guinea, Stretto di Torres, Nuova Galles del Sud, Africa centrale e occidentale, Amazzonia). Ogni errore dell'iniziando si ritiene cattivo pronostico. Il Frazer propende a considerare siffatte pantomime come mezzi atti a fornire al candidato il linguaggio per gesti, uno dei segreti più importanti della nuova classe sociale.
Nella procedura iniziatica di talune tribù australiane alcuni individui imitano con il gesto e con il grido il dingo, mentre il capo della cerimonia facendo un salto e battendo le mani rileva il significato del rito. Fra i Beciuana simili pantomime caratterizzano l'essenza di alcuni clan totemici, tanto che la nazionalità è richiesta con la frase: "Qual'è la vostra danza?". Ma più convincente è l'idea di chi vede in tali balli del rito iniziatico lo scopo di conferire al novizio il potere sopra alcune specie di animali.
Come mezzo di attrattiva sessuale la danza si trova presso molte popolazioni, anzi costituisce un elemento indispensabile dei riti degli sponsali e delle nozze. In alcuni casi determina la scelta dello sposo e della sposa, specie nelle feste periodiche in cui sono chiamati a intervenire i giovani dell'uno e dell'altro sesso. Presso i Khasi del Bengala, praticanti l'esogamia, le fanciulle sogliono eseguire danze d'amore alla nuova luna di marzo, al cospetto dei giovani che ne scelgono una come moglie. Presso alcune tribù totemiche del Canada le fanciulle appena raggiunta la pubertà hanno l'obbligo di eseguire una danza cerimoniale, la quale spesso decide il destino della loro nuova vita. Non di rado tali manifestazioni hanno carattere voluttuoso ed esibizionista. A dire del Westermarck, le danze nuziali in genere sono di carattere magico simbolico per il potere di suscitare nella donna la fecondità.
Le danze funerarie hanno lo scopo di placare gli spiriti dei defunti. Nella Melanesia esse hanno luogo intorno al simbolo dell'estinto, che è rappresentato da un tamburo con viso umano. A Tahiti si compiono attorno al cadavere e hanno forma di combattimento fra gli estranei e i familiari, i quali si aggirano di qua e di là per annientare gli spiriti: uno stregone o un congiunto personifica lo spirito del morto.
Alcuni etnologi dividono le danze primitive in ginniche e mimiche, classificando nelle prime quelle che hanno forma di rappresentazioni coreografiche senza riprodurre alcun modello della natura, e nelle seconde quelle che procedono dall'imitazione degli esseri semoventi. Questa ripartizione prescinde dal carattere interiore, ossia dalla funzione della danza nelle società primitive. Molte danze sono essenzialmente magiche, altre animistiche e in tali casi la ricerca dell'elemento imitativo lascia da parte lo scopo che con la danza l'uomo inculto si propone di raggiungere. Negli stadî rudimentali, la danza ha la forma o l'aspetto di rappresentazione ritmica, il fine della quale è di risvegliare nell'animo ricordi, di eccitare sentimenti e desiderî, di aumentare il fervore necessario a incominciare un'impresa, di suscitare le forze magiche, propizie all'azione, giacché l'uomo primitivo crede di poter esercitare, con danze appropriate alla circostanza, un'influenza sulle energie demoniache, dai capricci delle quali ritiene regolato il suo destino.
Bibl.: Opere generali: E. Grosse, Die Anfänge der Kunst, Friburgo-Lipsia 1894; W.D. Hambly, Tribal dancing and social development, Londra 1926; J. Kool, Tänze der Naturvölker, Berlino 1921; Ch. Letourneau, Danse, in Dictionnaire des sciences anthropologiques, Parigi s.d.; id., La sociologie d'après l'ethnographie, Parigi 1892; J.J. Frazer, Totemism and Exogamy, III, pp. 137-140. Per le descrizoni delle varie danze v. anche la bibliografia nelle opere sopra citate. Per le teorie principali v. E. Spencer, Principî di sociologia, trad. it. III, pp. vii-viii, Torino 1899; G. Wundt, La psicologia dei popoli, Torino 1929; Y. Hirn, The origins of Art, Londra 1900; K. Bücher, Arbeit und Rhythmus, Lipsia 1902; H. Ellis, The philospohy of dancing, in Atlantic Monthly, 1914, pp. 197-207; G. Freud, Totem e tabù, Bari 1930.
Danze Popolari. - I folkloristi dànno al termine danza un significato molto generico, comprendendovi non solo le danze vere e proprie, ma anche i giuochi, le rappresentazioni, le cerimonie e perfino le processioni in cui l'espressione mimica ha una funzione importante. In molte danze del popolo sopravvivono vecchie scene gesticolate di carattere magico, religioso, bellico ed erotico, che talora rimontano ad epoche e civiltà primordiali.
Il danzatore interpreta o traduce in gesti più o meno ritmici atti importanti della vita degli uomini o anche degli animali, certi fenomeni cospicui della natura, episodî di leggende, ecc. Il popolano della Toscana quando esegue il ballo della lepre non fa che rappresentare la corsa del cacciatore che insegue la selvaggina. Più il ballo popolare è primitivo, più vi prevale l'elemento magico: gli agricoltori della Franca Contea, per es., ballano con gran fervore nel carnevale perché credono che le loro danze facciano crescere la canapa. Come nelle danze dei primitivi, anche in quelle popolari gli animali compaiono fittiziamente o simbolicamente, coi loro istinti e i loro costumi. In alcuni giuochi fanciulleschi - il lupo e la pecora, la volpe e le galline - nei quali uno o più giocatori rappresentano degli animali, siamo evidentemente in presenza di pantomine primitive con carattere magico decadute a divertimenti fanciulleschi (v. giuoco). Appartiene a questa categoria il ballo dell'orso in cui l'attore camuffato da orso balla al comando del domatore; talvolta invece della maschera agisce un orso reale.
Fra le danze superstiziose a scopo salutare va annoverato il ballo della tarantola, che un tempo si eseguiva per liberarsi dai malefici effetti della puntura: nella Puglia aveva luogo in una camera addobbata a festa con colori simpatici alla tarantola, al suono del tamburello e con canti, alla presenza dei parenti e degli amici. Sull'elemento magico s'innesta quello religioso che talvolta si confonde col primo, e allora la mimica traduce in simboli gli atti che si riferiscono alle offerte, ai sacrifizî, all'estasi, agli atti del culto. Magico-sacra è la danza che col nome di nave o di torre, in alcuni paesi della Calabria compiono pescatori e contadini in certe feste per la prosperità della pesca e del raccolto. Disponendosi gli uni sopra gli altri, in più ordini, e cioè quattro nel primo, tre nel secondo, due nel terzo e uno nell'ultimo, i danzatori formano una piramide la quale incede con doppio movimento, uno progressivo e l'altro di rotazione, verso la riva del mare, cantando un inno in onore del santo protettore.
La coreografia bellica è invece decaduta molto più di quella magico-sacra, e solo ne rimangono tracce nei balli popolari della spada, del coltello, della scure, del bastone, che in Cecoslovacchia e in Iugoslavia fanno parte dei giuochi e della giostra del carnevale. Variabili da paese a paese, questi balli in cui la parte principale è la rappresentazione del sacrifizio o dell'immolazione d'un essere, dovettero avere larga diffusione nell'Europa, a giudicare dalle vestigia che ne rimangono.
La danza erotica suppone la coppia o più coppie le quali accrescono ancora il numero e la varietà delle figure al suono di strumenti rustici. Nelle campagne della Toscana le coppie di danzatori si formano al "saluto" del "rimatore" (canterino suonatore d'armonica), che invita con versi allusivi i giovani che si amano. Ballo in coppia è la tarantella napoletana la quale pare configuri una storia d'amore. Anche nelle danze nuziali, le varie figure esprimono o simboleggiano il ciclo della passione dei due sposi. Questi balli erotico-nuziali possono essere a schiera o in tondo. I primi si hanno quando gli uomini e le donne si dispongono in due file (Reigentanze), l'una di fronte all'altra per eseguire rappresentazioni che rivestono un significato cerimoniale. Il diffusissimo giuoco "dell'ambasciatore", che il De Gubernatis vuole di origine celtica, non è che una danza a schiera. Nel ballo della lepre gli uomini della prima fila formano successivamente la coppia con le donne della seconda fila; ma, compiuto il primo giro, la coppia si scioglie con la fuga della donna, che l'uomo rincorre e conduce al proprio posto. Allora si riprende il giuoco, ma questa volta è l'uomo che fugge. Nelle danze in tondo e in torno invece i ballerini si dispongono in uno o due o più cerchi concentrici: nel primo caso uomini e donne appaiati si tengono per le mani o per la cintura, o incrociano le braccia in una sola catena o in due catene intrecciate (gli uomini in catena coi compagni e le donne con le compagne); nell'altro gli uomini e le donne stanno in due ruote distinte e si muovono in senso eguale e contrario. Con queste figure sono costituite la hora romena, il duru-duru sardo, la vala albanese e altre danze popolari d'Europa. Il duru-duru, come è chiamato nel Logudoro con espressione onomatopeica del suono del tamburello che dà il ritmo alla danza, viene aperto dagli uomini, i quali si dispongono in cerchio e cominciano a saltare, mentre le donne si accostano e si mettono fra l'uno e l'altro ballerino, scegliendo i preferiti. Allora si stringono le mani e la danza si svolge al ritmo di una cantilena intonata da un canterino, cui fanno eco altri tre.
Accanto alle danze a coppia e a schiera, che per lo più hanno intonazione erotica o marziale, si vedono qua e là le danze a solo. Esempio caratteristico è il ballo dell'insegna o della bandiera, che è tanto diffuso in Europa, dal Belgio all'Italia, dall'Olanda alla Romania e che consiste nel far passare e ripassare rapidamente, al rullo del tamburo o di altro strumento, una bandiera inastata senza farle toccare la terra, attorno al collo, ai fianchi, sulle spalle e sul capo, or sotto questa or sotto quella gamba.
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Descrizioni di danze speciali: F. Neunar, Der Kranzeltanz, in Haitmagane, V, p. 54 seg.; J. Schmid, Blätter für Heimatkunde, I, p. 12 seg.; E. Schröder, Brautlauf und Tanz, in Zeitschr. für deutsche Altertum, LXI, p. 17 seg.; J. Schroll, Sautaz, in Blätter für Heimatkunde, I, nn. 9-10, p. 15 seg.; O. Kostka, Vom Cumber und dem Tanzbär, in Oberschlesien in Bilde, I, p. 50, e M. Vulpesco, op. cit., A. Minne, La manoeuvre du drapeau, in Le folklore brabançon, III, p. 163; L. Mannocchi, Feste, costumanze, superstizioni nel circondario di Fermo, Fermo 1921, p. 91; S. La Sorsa, Usi, costumi e feste del popolo pugliese, Bari 1925, p. 300; A. Prati, La festa del bangeràl in Fiemme, in Folklore trentino, Milano 1926, p. 161; I. Amades, El ball de Les Gitanes, Barcellona 1925; K. Müllenhoff, Über den Schwerttanz, in Festgaben für Gustav Homeyer, Berlino 1871; F. Pospišil, La danse d'épées chez les Tchécoslovaques et les Yougoslaves, in Congrès de l'Institut international d'anthropologie de Paris, Praga 1924; Vieilles dances guerrières des peuples européens et spécialement chez les Basques des Pyrenées, in III. Congr. de l'Institut international d'anthropologie de Paris, Amsterdam 1927; The intern. basis of the English Morris and Sword dances and their german, Romance, Basque and especially Slavonic parallels, in Folk-Lore Society Jubilee Congress, Londra 1928. Un capitolo metodico del problema della Moresca dell'Italia sett., in I° Congresso delle trad. pop. di Firenze, 1929; R. Vuja, Ursprung des Calusaren-Tanzes, in Bul. muzeului limbei române, Cluj 1922, p. 215 seg.; R. Corso, Éléments choréographiques dans quelques jeux d'enfants, in Conference de la Commission internat. des arts populaires, Roma 1929.
V. tavv. XCIX-CVII.