FERRARIS, Dante
Nacque a Viarigi (Asti) il 7 giugno 1868 da Francesco e Anna Brusa. Dopo essersi diplomato in scienze matematiche e fisiche presso l'università di Torino, frequentò la Scuola di applicazione per gli ingegneri e nel 1891 si laureò in ingegneria industriale. Cominciò la sua carriera presso le Officine già Fratelli Diatto. Il presidente della società G. B. Diatto, di cui il F. aveva sposato la figlia Giuseppina, lo nominò consigliere nel 1899, direttore tecnico nel 1902, lasciandogli infine, al momento del suo ritiro a vita privata nel 1914, la gestione dell'azienda, prima come amministratore delegato e poi come presidente.
L'ascesa del F. nel mondo industriale e finanziario, prima a livello cittadino e regionale, poi a livello nazionale, coincise con un periodo di grandi cambiamenti nel paese.
Dopo la crisi di fine secolo, caratterizzata da sommosse, scioperi e fallimenti bancari, il ritorno al governo di G. Giolitti nel 1903 rappresentò l'inizio di una ripresa economica che, favorita da una convergenza di interessi tra gli ambienti industriali, finanziari e politici, avrebbe in pochi anni portato l'Italia a svolgere un ruolo sempre più attivo sulla scena internazionale.
Il F., dotato di grandi capacità organizzative, fu uno dei protagonisti del fermento innovativo che a Torino, agli inizi del'900, era sostenuto dalla nuova politica municipale, tendente a instaurare un accordo tra forze liberali e socialisti riformisti allo scopo di favorire una crescita sociale della città e trasformarla in un centro industriale moderno. Egli fece parte dal 1905 di una commissione permanente di industriali per lo studio di programmi per lo sviluppo economico cittadino. Era inoltre consigliere della Confederazione generale piemontese fra industriali e commercianti, associazione che poi confluì nella Lega industriale di Torino, nata quest'ultima nel luglio 1906 come risposta all'attivismo delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e presieduta da L. Bonnefon Craponne.
In quegli anni id F. ricopri molte cariche in varie società: nel 1900 era sindaco effettivo della Società termotecnica e meccanica, nel 1901 consigliere nella Borsa del lavoro; dal 1905 fu presidente delle Industrie metallurgiche di Torino e consigliere nella Società anonima Giovanni Gilardini, di cui divenne vicepresidente nel 1911 e presidente dal 1912; nel 1907 fu vicepresidente della Società ossidrica italiana.
Eletto consigliere in giugno, egli fece parte, insieme con altri esponenti del mondo finanziario e industriale piemontese, del nuovo consiglio d'amministrazione della FIAT che si costituì nell'agosto 1908, subito dopo le dimissioni in blocco del precedente consiglio, avvenute in seguito allo scandalo in cui erano stati coinvolti G. Agnelli, L. Scarflotti e L. Damevino, accusati di aggiotaggio in borsa e di alterazioni dei bilanci sociali. Fu nominato vicepresidente della FIAT in settembre, entrando a far parte anche del comitato direttivo, istituito nei primi mesi del 1919. Partecipò attivamente alle sperimentazioni tecnologiche che la società portava avanti in quel periodo, in un clima di grande dinamismo e apertura verso nuovi settori di produzione, specie dopo che Agnelli fu reintegrato nella sua carica di amministratore delegato; fece parte, tra l'altro, di una commissione che doveva studiare la convenienza della fabbricazione della mitragliatrice Revelli, primo esempio della nuova strategia di diversificazione nell'attività della FIAT, che usciva così dal tradizionale settore automobilistico, e si occupò degli esperimenti sui motori ad olio pesante. Fu presidente della FIAT San Giorgio, produttrice di motori marini e diesel in generale, dal 1913, quando la società passò completamente sotto il controllo della FIAT, fino al 1916, anno in cui essa fu ceduta all'Ansaldo.
Il F. svolgeva un'importante funzione di collegamento tra le varie aziende in cui ricopriva cariche di dirigenza e che avevano stretti rapporti di collaborazione con la FIAT, come le Ferriere piemontesi, le Officine ex Diatto e le Industrie metallurgiche di Torino, che costituivano il "gruppo piemontese" e che nel 1917 furono tutte assorbite dalla società di Agnelli.
Il F. era presente all'interno delle principali organizzazioni della rappresentanza industriale che sorsero in Itafia durante il primo decennio del secolo, come la Federazione industriale piemontese, nata l'8 marzo 1908, di cui fu presidente dal 1914, e l'Associazione fra le società italiane per azioni, sorta a Roma il 22 nov. 1910 con l'adesione di 181 società anonime, che aveva lo scopo di offrire alle proprie associate assistenza e consulenza sui problemi economici e finanziari; il F. intervenne all'atto costitutivo di quest'ultima organizzazione e ne fu vicepresidente dal 1914 al 1917, quindi presidente fino al giugno 1919, rimanendovi poi come consigliere fino al 1927.
Egli faceva parte di quel gruppo di uomini che in questi anni, attraverso la partecipazione in un gran numero di società azionarie e nei consigli di amministrazione delle maggiori banche, deteneva una notevole concentrazione di potere, dominando di fatto lo sviluppo delle imprese industriali italiane. Fu infatti amministratore della Cassa di risparmio di Torino dal 1912 al 1919, consigliere di sconto nella Banca d'Italia dal 1910 e fu strettamente legato alla Banca commerciale italiana (fu consigliere dal 9 luglio 1918 al 18 luglio 1919), che era stata costituita nel 1894 con capitale in gran parte tedesco e che aveva svolto negli anni successivi un ruolo preminente nel settore degli investimenti industriali.
La crescita economica in Italia trovò un forte incentivo nella corsa agli armamenti, che fino ad allora aveva favorito la concorrenza straniera, rappresentata soprattutto da ditte tedesche come la Krupp e la Schneider. Nel 1911 il F. riuscì a costituire un consorzio di imprese metalmeccaniche in grado di produrre un nuovo pezzo di artiglieria da campo, il cannone "Déport 75", modello francese, che l'anno successivo fu adottato dal ministero della Guerra in sostituzione dei cannoni Krupp.
Il successo era stato reso possibile dall'accordo del F. con G. Orlando, dirigente delle acciaierie Vickers-Terni, e dal sostegno della Banca commerciale, e, anche se poi esso fu offuscato dalle polemiche sul ritardo nella consegna dei materiali, l'esperienza del consorzio si rivelò comunque utile negli anni seguenti: in occasione della querra di Libia P. Fenoglio, esperto di probleini industriali della Banca commerciale, si associò con il gruppo Ferraris per ottenere dal governo italiano l'appalto del materiale necessario per la costruzione della prima linea ferroviaria libica.
Nel 1912 il F. fece parte, insieme con G. B. Pirelli, G. Agnelli e G. Olivetti, di uno speciale comitato per i rapporti permanenti con la R. Commissione per gli approvvigionamenti dello Stato. Il comitato era presieduto, oltre che da C. Esterle. da L. Bonnefon Craponne, che l'anno seguente, a causa della posizione intransigente assunta dagli imprenditori durante lo sciopero dei metallurgici, fu indotto da Giolitti a dimettersi dalla presidenza della Lega industriale piemontese e fu sostituito in questa carica dal F.; questo, con la mediazione di A. Frassati, direttore de La Stampa, raggiunse un accordo con il rappresentante degli operai L. D'Aragona, e a giugno fu approvato da entrambe le parti un concordato che concedeva diverse agevolazioni ai lavoratori.
In seguito, come altri industriali, il F. si allontanò dalla pratica riformista di tipo giolittiano per avvicinarsi al movimento politico nazionalista che rispondeva meglio ai suoi personali interessi economici. È significativo che egli, dirigente di imprese produttrici di armamenti come la Società anonima italiana per la fabbricazione di proiettili, le Fonderie di acciaio riunite, la FIAT San Giorgio e la Società G. Gilardini, appoggiasse la politica protezionistica aderendo a un comitato nazionale per le tariffe doganali e i trattati di commercio e diventasse uno dei più grossi finanziatori del settimanale nazionalista L'Idea nazionale, impegnandosi anche nella campagna di sottoscrizione per la trasformazione del giornale in quotidiano (il che avvenne nel 1914) tramite la costituzione della società editrice "L'Italiana"; il F. uscì dal Consiglio d'amministrazione della società editrice, di cui era presidente, solo nell'ottobre 1915, dopo gli attacchi di M. Pantaleoni apparsi sul giornale contro la Banca commerciale.
Durante la campagna per le elezioni del giugno 1914 al collegio di Torino IV egli si associò a P. Diatto e P. Ceriana dell'Unione nazionalista torinese per appoggiare G. Bevione, rappresentante delle idee nazionaliste, che nel ballottaggio ebbe la meglio sul candidato socialista.
La crisi industriale che precedette l'inizio della guerra indusse il F. a chiedere, nella relazione della presidenza della Lega industriale del maggio 1914, un maggiore interessamento dello Stato per ampliare le disponibilità di credito a favore delle industrie. Ma con lo scoppio delle ostilità, e soprattutto con l'entrata in guerra dell'Italia, la crisi fu superata: si moltiplicarono le commesse da parte dei governi alleati e delle stesse autorità militari italiane, e si instaurò una stretta collaborazione tra i maggiori rappresentanti industriali e i ministeri economici. Nel 1915 furono costituiti il Comitato centrale di mobilitazione industriale e i comitati regionali, con il compito di coordinare l'attività produttiva e assicurare gli approvvigionamenti necessari allo svolgimento della guerra. Il F. fu il rappresentante industriale del comitato regionale del Piemonte, come capogruppo di 25 società "ausiliarie", cioè mobilitate per la produzione bellica. Entrò in seguito nel Comitato centrale e fece parte di varie commissioni, fra cui la commissione cottimi, organismo misto di industriali e operai costituito nell'agosto del 1916.
Fu inoltre presente nella Commissione centrale tecnico-amministrativa per l'aeronautica che collaborava con il Commissariato generale per l'aeronautica, aderì all'Unione industriale italo-francese, entrò nel consiglio d'amministrazione della Società cantieri navali e acciaierie, per la creazione di un porto industriale per Venezia (Porto Marghera), e si interessò della gestione di alcune imprese produttrici di materiale per le ferrovie, come le Officine meccaniche di Reggio Emilia, le Officine napoletane per materiale ferroviario e traniviario e la Società anoninia tranivie ed imprese elettriche di Roma.
Nello stesso periodo fu tra i promotori dell'Alleanza nazionale, un'organizzazione nata come reazione alla sommossa operaia di Torino dell'agosto 1917 e composta da nazionalisti, da alcuni rappresentanti dell'ambiente accademico e da ex socialisti. Nel 1918 divenne presidente, fino all'anno successivo, della Società idroelettrica Piemonte (ex Società industriale elettrochimica di Pont-Saint-Martin). Nel luglio 1918, con le sue dimissioni dalla vicepresidenza della FIAT, già annunciate in marzo, ebbe fine il sodalizio tra il F. e Agnelli che aveva caratterizzato gli anni prima e durante la guerra, anche se segnali di allontanamento tra i due si erano manifestati già con l'adesione, sebbene parziale, del primo al movimento nazionalista e con il verificarsi di un vivace dissidio in seno all'ufficio di presidenza della FIAT verso la fine del 1916.
Il 30 giugno 1918 fu costituita la Commissione centrale per lo studio e le proposte di provvedimenti occorrenti al passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace, detta Commissionissima; il F. fece parte della XXVI sezione: Smobilitazione - Utilizzazione di materiale di guerra. La lentezza dei lavori della commissione e, più in generale, il modo in cui il governo Orlando affrontava il problema del passaggio dall'economia di guerra a quella di pace, giudicato troppo incerto e burocratizzato, provocava il dissenso dei ceti imprenditoriali, desiderosi di una loro maggiore partecipazione alle questioni che più direttamente li interessavano.
Il loro punto di vista fu efficacemente espresso dal F. che, all'assemblea dell'Associazione fra le società italiane per azioni tenutasi a Roma il 9 dic. 1918, ribadi la necessità di una liberalizzazione della vita economica, che non avrebbe però dovuto escludere alcuni essenziali interventi protezionistici da parte dello Stato, e indicò tra i problemi più gravi del momento la disoccupazione operaia e l'approvvigionamento delle materie prime; ma soprattutto egli affermò il diritto degli industriali ad avere propri rappresentanti alla conferenza della pace di Parigi e auspicò l'instaurarsi di una proficua collaborazione tra lo Stato e le classi produttrici, impossibile fino ad allora per la mancanza di un vero coordinamento tra le varie organizzazioni industriali.
Il F. stava già lavorando, insieme con G. Olivetti, all'idea di un organismo che consentisse al ceto imprenditoriale una maggiore influenza nella vita politica del paese: l'8 apr. 1919, nella sede dell'Assonime, fu costituita con sede a Roma la Confederazione generale dell'industria italiana, che sostituì su base nazionale la precedente Confederazione italiana dell'industria, nata a Torino il 5 maggio 1910; il F. ne fu presidente fino al 28 luglio 1919.
Durante i primi mesi del 1919 fece parte della commissione consultiva che affiancò la delegazione economica italiana alla conferenza di pace di Parigi, e il 31 luglio fu nominato senatore. La sua nomina a ministro dell'Industria, Commercio e Lavoro e degli Approvvigionamenti e consumi alimentari nel primo governo Nitti (23 giugno 1919-21 maggio 1920), insieme alla scelta di altri necnici" posti a capo di diversi ministeri, sembrò realizzare le aspettative della maggioranza degli ambienti industriali, anche se una parte dell'opinione pubblica, che trovava espressione in alcuni giornali come La Stampa, di tendenza giolittiana, e l'Avanti!, vedeva il F. come il tipico esponente della nuova ricchezza, uno di quei "pescecani" che si erano arricchiti durante la guerra con le forniture militari.
In realtà, la sua attività di ministro non incontro il pieno favore degli industriali, sia a causa del suo appoggio alla concessione delle otto ore lavorative agli operai metallurgici, sia soprattutto per l'emanazione di un decreto sulle importazioni molto restrittivo nei confronti di numerosi prodotti industriali necessari alla ricostruzione della vita economica del Paese; nonostante si trattasse di un provvedimento transitorio che mirava essenzialmente a proteggere la produzione nazionale dalle leggi protezionistiche di altri paesi, come l'Inghilterra e la Francia, esso fu criticato non soltanto dai liberisti, ma anche da coloro che erano contrari all'eccessiva ingerenza dello Stato nell'attività economica.Cessata la sua esperienza di ministro nel maggio 1920, il F., in occasione dell'occupazione delle fabbriche nel settembre successivo, criticò aspramente il governo Giolitti, che secondo lui avrebbe dovuto intervenire subito per favorire una conciliazione tra le due parti in lotta. Egli rimase poi sempre avverso a Giolitti e vicino alle posizioni di F. S. Nitti, a cui era legato da amicizia, e di cui finanziò, insieme con l'armatore C. De Luca, il quotidiano IlPaese. L'ambasciatore francese C. Barrère definì il F. "l'âme damnée de Nitti", in quanto sostenitore della linea nittiana a favore della Germania e della Russia. Discostandosi dalle convinzioni di molti esponenti dell'Italia liberale, il F. era convinto, come scrisse nel gennaio 1922, che "solo nella collaborazione dei socialisti si Può risolvere la difficile situazione", e in agosto affermò la necessità di una conciliazione tra i socialisti e i fascisti e di un loro inserimento nella legalità. Egli fece da intermediario in un tentativo di accordo di Nitti con Mussolini ed ebbe un incontro con quest'ultimo il 14 ott. 1922. Ma la marcia su Roma fece precipitare la situazione, e l'ostilità dei fascisti contro Nitti si manifestò subito con l'occupazione dei locali de IlPaese, di cui il F. e l'armatore L. Parodi erano proprietari da aprile; a novembre il giornale fu rilevato da C. Bazzi e trasformato nel filofascista Il Nuovo Paese, che fu poi sovvenzionato dalla Società editrice La Vita d'Italia, di cui faceva parte anche il Ferraris.
Convinto che il nuovo governo, nonostante le previsioni dei giolittiani, sarebbe durato molto a lungo, nel 1923 consigliò Nitti di non occuparsi più di politica interna, ed egli stesso si ritirò dalla vita pubblica e si dedicò esclusivamente agli affari. Curò l'amministrazione di diverse aziende, fmché il dissesto della Società automobili Itala, ceduta nel 1928 dall'Istituto di liquidazione della Banca d'Italia alla Compagnia fondiaria regionale di Milano che faceva capo al F. e ad A. Pogliani, e messa in liquidazione nel 1930, segnò la fine della sua attività.
Da tempo sofferente di salute, il F. mori a Torino il 19 genn. 1931.
Tra gli altri meritano di essere segnalati i seguenti scritti del F.: Le industrie ital. dopo la guerra, in Rivista delle società commerciali, VIII (1918), 12, pp. 834-837; Per la Confederazionegenerale dell'industria ital., ibid., IX (1919), 4., pp. 286 ss.; Prefazione a G. Colonnetti, Proiettili: appunti..., Milano 1919.
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