DANTE da Maiano
Nacque presumibilmente poco prima della metà del XIII secolo. Oltre al nome della località di cui era originario, Maiano appunto, un borgo del circondario fiorentino, niente altro conosciamo di lui se non quanto ci viene dal suo stesso canzoniere, tramandatoci in un'unica redazione nei libri VII e XI della cosiddetta Giuntina di rime antiche, l'importante silloge dell'antica poesia toscana pubblicata a Firenze presso i Giunti nel 1527.
La circostanza anomala dell'assenza di testimonianze manoscritte anteriori alla succitata edizione ha fatto mettere in dubbio, soprattutto sul finire dell'Ottocento, la stessa reale esistenza del rimatore, essendosi supposto che il gruppo di rime iscritte a suo nome fosse il frutto di un'abile falsificazione umanistica. Fu il Borgognoni a impegnarsi nella dimostrazione di questa tesi, a cui si opposero dapprima il Novati poi il Bertacchi e il Debenedetti. Il Bertacchi in particolare, che fu anche il primo editore moderno del canzoniere maianesco, nel tentativo di dare consistenza storica all'autore, riuscì a produrre un documento custodito presso l'Arch. di Stato di Firenze (M 293: Prot. di Ser Matteo Biliotto da Fiesole, 1300-1314, c. 22r), da cui risulta che nel 1301 in Firenze un tal Dante, detto Magalante, figlio di ser Ugone da Maiano e abitante nel popolo di S. Benedetto, fu richiesto in mundualdum, cioè come tutore, da una Lapa sua cognata, vedova di Vanni di Chello Davizzi. Che questo Dante, detto Magalante, fosse la stessa persona del Dante dei componimenti della Giuntina non poteva dirsi con certezza; se tuttavia quell'identità fosse stata riconosciuta, la data del 1301, come quella in cui era caduta la richiesta di tutorato, e quindi la deduzione che una siffatta richiesta non avrebbe potuto essere rivolta a persona di età non matura lasciavano intravedere una collocazione di D. compresa tra la seconda metà del sec. XIII e il primo decennio del successivo: dunque se non proprio coincidente in termini anagrafici con quella dell'Alighieri, con il quale sempre secondo la testimonianza della Giuntina D. avrebbe scambiato dei sonetti in tenzone, di poco anticipata. La scoperta del Bertacchi valeva comunque a dimostrare che un Dante da Maiano era realmente vissuto a Firenze proprio negli anni in cui la lingua e lo stile del canzoniere tramandatoci dalla silloge giuntina suggerivano la collocazione biografica del rimatore.
La questione dell'esistenza di D. fu poi risolta definitivamente, e in senso positivo, dal Debenedetti, mediante l'accertamento dei caratteri originali, assolutamente non falsificabili, delle componenti grafiche e linguistiche dei testi maianeschi; risoluzione confortata dal reperimento di due sonetti in lingua provenzale ascritti a D. in un ms. del sec. XV (Firenze, Bibl. Medicea-Laurenziana, Laur. Plut. XCinf. 26, c. 138v), risalente dunque ad anni che in nessun modo potevano esser giudicati sospetti.
Di D. restano sconosciuti anche l'anno e il luogo della morte.
Il posto occupato da D. nel panorama della poesia toscana tardoduecentesca è per molte circostanze singolare. Infatti, se le referenze cronologiche, per quanto incerte, ne suggeriscono l'apparentamento a quel nutrito gruppo di rimatori toscani attivi tra il 1260 e il 1280, come Monte Andrea, Guido Orlandi, Compiuta Donzella, Rustico di Filippo e altri, impegnati per un verso a continuare i modi dell'antica poesia provenzaleggiante, per un altro a recepire i segnali del rinnovamento poetico lanciati dal nascente Stilnovo, le rime di D. (quarantotto sonetti, di cui nove in tenzone, cinque ballate e due canzoni; più un altro gruppetto di rime di dubbia attribuzione), proprio nel momento in cui era più acuta la tensione per il passaggio dalla vecchia alla nuova maniera, si dimostrano del tutto sbilanciate nel senso della tradizione. Avendo D. un'idea della poesia come esclusivo esercizio retorico, perciò al di qua di ogni impegno umano e personale, impegno che rappresentava una delle novità sostanziali dello Stilnovo, il suo metodo compositivo finisce per essere soltanto centonistico. Le fonti si allargano a ventaglio da Bernard di Ventadorn a Chiaro Davanzati, attraverso i siciliani (soprattutto il Notaro) e Guittone; ma la loro utilizzazione coincide con un gioco esasperante di scomposizione e ricomposizione, condotto fino a sazietà su materiali poetici declassati alla funzione di comodo trovarobato. Quindi non più che documentaria l'importanza che riveste il canzoniere maianesco, sia che lo si voglia definire con la Bettarini "un pastiche didattico formulato verso la fine del sec. XIII per congelare una cultura che andava scomparendo" (p. XXII), sia che lo si dica con le parole del Quaglio "una silloge archeologica della produzione anteriore e contemporanea" (p. 329). Del resto questa tendenza arcaizzante è anche documentata dai due sonetti in lingua provenzale, un provenzale molto approssimativo, che tuttavia richiama esperimenti consimili praticati nello stesso periodo in Toscana, per es. dal pistoiese Paolo Lanfranchi.
Ma la ragione principale della notorietà di D. consiste probabilmente nel fatto che ben sei dei suoi sonetti sono in tenzone con sonetti di Dante Alighieri. La tenzone, una pratica diffusa soprattutto nel sec. XIII, consisteva in una disputa in versi (sonetti o canzoni) tra chi proponeva una questione, generalmente di argomento amoroso, e chi ad essa rispondeva, conservando per lo più le stesse rime del componimento di proposta. Sono ben quattro le tenzoni oggi documentate tra D. e l'Alighieri. L'unica avviata dall'Alighieri, con il son. "A ciascun' alma presa e gentil core", a cui oltre a D. rispondono Guido Cavalcanti e come pare Terino da Castelfiorentino (il sonetto di proposta diventerà poi quello d'apertura della Vita nova), è probabilmente anche la più tarda delle quattro; le restanti sono tutte promosse da Dante da Maiano. Di queste, una muove dal son. "Provedi, saggio, ad esta visione" e concerne appunto la spiegazione di una visione: a cui risponderanno anche Chiaro Davanzati, Guido Orlandi, ser Cione, Salvino Doni e Ricco da Varlungo. Un'altra si distende per ben cinque sonetti (tre di D., due dell'Alighieri), ed è quella che dal Pellegrini in poi è stata chiamata la tenzone del "Duol d'amore", essendo oggetto del discutere quale sia il maggior dolore amoroso. In un'altra ancora, D. chiede con il son. "Amor mi fa sì fedelmente amare" se sia vero che contro Amore non valga alcun riparo, opinione su cui l'Alighieri sostanzialmente concorda con il son. "Savere e cortesia, ingegno e arte". Tuttavia, al di là della convenzionalità che questi scambi comportavano, le tenzoni in questione suggeriscono qualche elemento utile a formulare delle ipotesi sulla biografia del nostro rimatore: anzitutto il fatto che l'Alighieri dimostra di non conoscere D., al quale egli si rivolge con tono apparentemente ossequioso; quindi la maggior età di D. tra i due, che si desume anche da un certo atteggiamento di superiorità da lui esibito nei confronti del futuro autore della Commedia. E ciò rimanda evidentemente agli esordi dell'attività poetica dell'Alighieri, iscrivendosi dunque questa corrispondenza in versi negli anni iniziali del penultimo decennio del XIII secolo.
Non più che una curiosità risultano infine i tre sonetti scambiati da D. e da una monna Nina, detta senza alcun fondamento "siciliana" dall'Allacci, che rappresentano secondo la Bettarini (p. 168 n.) "un contrasto fittizio tra madonna e messere", ma che nei secoli scorsi fecero addirittura favoleggiare di un'amante lontana del poeta.
Le rime di D. si possono oggi leggere nell'edizione critica di Rosanna Bettarini (Dante da Maiano, Rime, a cura di R. Bettarini, Firenze 1969), che è fondata unicamente sul testo della Giuntina. I testimoni manoscritti delle rime volgari, che pure esistono, si dimostrano infatti tutti dipendenti da quello.
Edizioni: Sonetti e canzoni di diversi autori toscani, Firenze, per li heredi di Philippo Giunta, 1527 (le rime di D. sono comprese nelle pp. 71b-80a, 133b, 137b-141a), che è l'unica edizione completa delle rime, anteriormente a quella Bettarini; Le Rime di Dante da Maiano, a cura di G. Bertacchi, Bergamo 1896; edizioni parziali in D. Alighieri, Rime, a cura di G. Contini, Torino 1965, pp. 3-19 (1 ed., 1946) e in Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, Milano-Napoli 1960, pp. 477 ss.
Bibl.: L. Allacci, Poeti antichi, Napoli 1661, lett. dedicat.; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, I, Venezia 1731, p. 29;P.-L. Ginguené, Histoire littér. d'Italie, I, Milano 1820, pp. 357-358;G. Perticari, Opere, a cura di F. Petruzzelli, I, Bari 1841, p. 125;A. Borgognoni, Studi d'erud. e d'arte, Bologna 1878, pp. 89-105; Id., D. da M.,Ravenna 1882;F. Novati, D. da M. e Adolfo Borgognoni, Ancona 1883; L.Volpe Rinonapoli, Di D. da M. e di una recente monogr. del prof. Borgognoni, Milano 1883; A.Borgognoni, La questione maianesca o D. da M.,Città di Castello 1885; G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1913, p. 83; S.Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello 1912, pp. 9-46; F. Pellegrini, La tenzone del "Duol d'amore" tra D. Alighieri e D. da M., in Bull. d. Società dantesca ital., n. s., XXIV (1917), pp. 160-68; V.Crescini, I sonetti del "Duol d'amore", ibid., XXV (1918), pp. 78-85;S. Santangelo, D. Alighieri e D. da M., ibid., XXVII (1920), pp. 61-75; A.Tartaro, Guittone e i rimatori siculotoscani, in Storia d. letteratura ital.,diretta da E. Cecchi-N. Sapegno, I, Milano 1965, pp. 423 s.; A. E. Quaglio, I poeti siculo-toscani, in Letter. ital. Storia e testi, a cura di C. Muscetta, I, 1, Bari 1970, pp. 329-31; Encicl. dantesca, II, s.v.