BARTOLI, Daniello
Nato a Ferrara il 12 febbraio 1608, entrò quindicenne nella Compagnia di Gesù. Si dice che al termine del suo noviziato avesse chiesto d'esser mandato a predicare il Vangelo in quelle Indie che doveva poi descrivere con tanta ricchezza di colori e curiosa abbondanza di particolari pur non avendole viste che attraverso le relazioni dei suoi confratelli missionarî. I suoi superiori lo vollero invece maestro di lettere, e fu mandato a insegnare nel collegio di Parma, quindi a predicare qua e là per l'Italia. Sul pulpito destò molta ammirazione, a volte entusiasmo, e pare che nella riforma dell'oratoria sacra abbia precorso, come si può anche desumere da quel ch'egli scrive della predicazione in più d'un luogo delle sue opere, il suo più giovane confratello Paolo Segneri: ma il quaresimale manoscritto, ch'egli era venuto elaborando via via dopo averlo recitato la prima volta nella sua città natale, gli si perdette in un naufragio mentre si recava a Palermo per predicarvi. Professo nel 1643, fu in seguito (1650) stabilmente a Roma, dove dal 1671 al 1673 fu anche rettore del Collegio Romano e dove morì il 13 gennaio 1685. Nei lunghi anni vissuti a Roma compose la maggior parte delle sue opere, che a Roma furono tutte primamente stampate. Esse sono numerosissime e di vario argomento: storiche, morali, scientifiche, retoriche e grammaticali. La più importante e più nota è la Istoria della Compagnia di Gesù, divisa in sezioni secondo un criterio geografico consigliatogli dalla grande ramificazione dell'istituto di cui narrava le vicende, e adottato anche dalla recente storiografia gesuitica: Asia (otto libri, 1650: a parte fu pubblicata la Missione al gran Mogor del padre Rodolfo Aquaviva, 1653); Giappone (cinque libri, 1660); Cina (quattro. libri, 1661); Europa (suddivisi in due parti: Inghilterra, sei libri, 1667, e Italia, quattro libri, 1673). Di solito si parla del B. storico come di scrittore poco veridico o almeno povero di critica, ragguardevole soltanto per la magnificenza stilistica ch'egli sfoggia nella rievocazione delle gesta del suo ordine e nella descrizione, specie per quel che riguarda la natura e l'arte, dei paesi in cui ci trasporta. Studî recenti han dimostrato per contro ch'egli ebbe sott'occhio documenti di prima mano: oggi i sinologi e gli yamatologi considerano opere di capitale importanza, per la copia di notizie autentiche e precise che contengono, il Giappone e la Cina, nella cui stesura il B. si giovò largamente delle relazioni e delle lettere del celebre missionario gesuita Matteo Ricci, solo in questi ultimi anni rese di pubblica ragione. Alla monumentale Istoria si ricollegano la Vita e Istituto di Santo Ignazio (1650-1653) e l'opera postuma Degli uomini e de' fatti della Compagnia di Gesù (Torino 1847). Nelle opere di carattere morale e apologetico, come La povertà contenta descritta e dedicata ai ricchi non mai contenti (1650), La ricreazione del savio in discorso con la natura e con Dio (1659), l'eternità consigliera (1660), La geografia trasportata al morale (1664, De' simboli trasportati al morale (1680), Pensieri sacri (1685), il B. si rivela un ottimista convinto, inteso a stimolare le migliori energie dell'uomo e che a tempo e luogo, al modo di un amabile, ingegnoso e persuasivo precettore, sa trarre argomenti apologetici così dalla natura come dall'arte e dalla scienza di cui egli si dilettò con pari competenza e trasporto. In fatto di scienze positive cercò di conciliare il metodo speculativo scolastico con quello sperimentale instaurato da Galileo, che ebbe il coraggio di lodare anche dopo la condanna. Si hanno di lui in questo campo i trattati Della tensione e della pressione (1677), Del suono, de' tremori armonici e dell'udito (1679), Del ghiaccio e della coagulazione (1681). Anteriore ad essi, anzi la sua prima opera a stampa, è il trattato di retorica L'uomo di lettere difeso ed emendato (1645), in cui raccolse il frutto della sua esperienza d'insegnante: il fine che qui e altrove egli persegue è quello di richiamare i letterati alla, com'egli dice, "pratica del vivere", cioè alla funzione dell'arte, che per lui non può essere se non morale e insegnativa, di preservarli da quelle che oggi si direbbero deformazioni professionali e di allontanarli dalle vane questioni accademiche, così letterarie come filosofiche, contro cui non risparmia i motti satirici. Non meno spregiudicato si dimostra nell'operetta Il torto e il diritto del non si può dato in giudizio sopra molte regole della lingua italiana (1655, pubblicato sotto lo pseudonimo di Ferrante Longobardi) e nel Trattato dell'ortografia italiana (1670): nell'uno e nell'altro scritto difende la libertà dell'ingegno creativo e rintuzza argutamente ed elegantemente l'intransigenza grammaticale e linguistica della Crusca, giovandosi delle sue sterminate letture per opporre gli esempî degli scrittori alle regole degli accademci.
Il B. è stato considerato per molto tempo come uno dei più grandi prosatori italiani. Si ammiravano in lui la ricchezza stupefacente del lessico, la sapiente e varia orchestrazione del periodo, le felici risorse di un'immaginazione ubertosa e colorita. Quest'ammirazione culminò nelle lodi ditirambiche che gli tributò il Giordani, pur con gravi riserve circa l'efficacia morale dello scrittore. Il Leopardi, il Tommaseo, il Carducci ne sentiron da giovani in diverso modo il fascino. La reazione incominciò con la critica romantica e raggiunse il più alto grado col Bonghi e col Settembrini, che null'altro videro nel B. se non vacuità e freddezza malamente nascoste sotto il fraseggiare fucato. Il De Sanctis lo definì, e non per lodarlo, "il Marino della prosa" e gli negò ogni sincerità di sentimento religioso. Oggi alcune pagine del B., scelte tra i suoi molti "pezzi di bravura", si rivedono circolare nelle antologie e tra le mani dei critici. Contribuisce senza dubbio a questo ritorno di fortuna il gusto ora così diffuso per le opere dei pittori e architetti del Seicento, ai quali il B. somiglia per tante ragioni. Ma vederlo soltanto sotto questo aspetto non sarebbe giusto. Egli è essenzialmente, checché si dica, uno scrittore religioso: la sua religiosità non è certo quella dei grandi mistici o degl'ingenui primitivi, ma non è per ciò meno viva e sincera. Il posto che gli compete è tra i migliori rappresentanti di quel movimento che altri ha chiamato dell'umanesimo devoto: il quale si contrappone al giansenismo meno nella controversia dogmatica che nella visione ottimistica della vita, nell'entusiasmo dinanzi alle maraviglie della creazione e nell'esaltare senza vani scrupoli, anzi per la maggior gloria di Dio, l'opera dell'uomo in questo mondo.
Le Opere, in 39 volumi, sono state ripubblicate a Torino nel 1825-26.
Bibl.: Per la biografia: G. Mazzuchelli, Gli scritt. d'Italia, II, i, p. 435 segg.; G. Boero, Pref. alle lettere edite ed inedite di D. B., Bologna 1865. - Per le varie edizioni delle opere: C. Sommervogel, Bibl. des écrivains de la Compagnie de Jésus, I, pp. 975-985. - Per la bibliogr. relativa alle lettere: G. Campori, Quattro lettere inedite di D. B., Bologna 1868. - Sul B. storico: P. Tacchi Venturi, Opere storiche del P. Matteo Ricci, Macerata 1911-13, voll. 2 (cfr. recensione di C. Puini, in Archivio storico italiano, s. 5ª, L, 1912, p. 155 segg.); G. Vacca, recensione di H. Hackmann, Laien-Buddhismus in China, in Studi e mat. di storia delle rel., II (1926), p. 115, segg. - Sul metodo nella scienza: B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 65-66. - Sugli scritti di retorica e di grammatica: F. Zambaldi, Delle teorie ortografiche in Italia, Venezia 1892, pp. 22-24; V. Vivaldi, Le controversie intorno alla nostra lingua, Catanzaro 1894, pp. 228-35; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1909, pp. 339-43; G. Gronchi, La "poetica" di D. B., Pisa 1912; E. Santini, L'eloquenza italiana dal Concilio tridentino ai nostri giorni: gli oratori sacri, Palermo 1923, pp. 109-111. - Per i varî giudizî: A. Avetta, Di alcuni giudizi letterari sul p. D. B., in Rivista d'Italia, marzo-aprile 1903; P. P. Trompeo, D. B. poeta della creazione, in C. Trabalza, E. Allodoli, P. P. Trompeo, Esempî di analisi letteraria, Torino [1925-26], II, pp. 333-347.