Manin, Daniele
Politico (Venezia 1804-Parigi 1857). Figlio di un avvocato ebreo, che, convertendosi, aveva lasciato il cognome Medina per quello del suo padrino Ludovico Manin, si laureò in legge a Padova e attese alla sua professione e agli studi, interessandosi contemporaneamente alla politica. Contrario alla pratica cospirativa della Carboneria e delle altre società segrete, dalla metà degli anni Quaranta M. preferì impegnarsi in un’opposizione «legale» all’amministrazione austriaca; questo tipo di lotta culminò nella presentazione all’imperatore di una petizione per rivendicare il rispetto della nazionalità italiana nel Veneto e la concessione dell’autogoverno. Imprigionato dalle autorità austriache con N. Tommaseo nel genn. 1848, M. fu liberato dal popolo, sollevatosi alla notizia dell’insurrezione di Vienna del 13 marzo. Cacciati gli austriaci (22 marzo), fu costituito un governo provvisorio, di cui M. divenne presidente. Di sentimenti repubblicani, lasciò il potere perché contrario alla fusione di Venezia con il regno di Sardegna, deliberata il 5 luglio. Dopo la sconfitta di Custoza, e il conseguente richiamo da Venezia dei commissari piemontesi, M. tornò al potere proclamando la Repubblica e decidendo la prosecuzione delle ostilità. L’eroica resistenza della città, assediata dagli austriaci, proseguì sotto la sua guida, nonostante la disfatta di Novara (23 marzo 1849) avesse posto fine a ogni speranza di un’affermazione militare del Piemonte. Dopo la capitolazione di Venezia (22 ag. 1849) fu in esilio in Francia, dove si prodigò per guadagnare simpatie alla causa italiana. Negli ultimi anni della sua vita rinunciò agli ideali repubblicani in nome del superiore interesse dell’unità d’Italia; la sua adesione al programma unitario-monarchico di Cavour si sostanziò nella nascita, per iniziativa sua, di D. Pallavicino e G. La Farina, della Società nazionale.