DALLA TORRE DEL TEMPIO DI SANGUINETO, Giuseppe
Nacque a Padova il 19 marzo 1885 dal conte Paolo e da Elisabetta Soranzo. Educato nell'ambiente profondamente religioso della sua famiglia (originaria di Treviso), visse, da giovane, il clima delle battaglie giornalistiche e politiche dell'intransigentismo cattolico veneto, animato da personaggi quali G. Sacchetti e A. De Besi (il cui figlio maggiore aveva sposato una sorella del D., Teresa). Nel 1903 ebbe le sue prime esperienze giornalistiche, come corrispondente dell'Unità cattolica di Firenze (diretta dal Sacchetti) e come collaboratore del giornale cattolico Vicentino IlBerico. Stimato dal vescovo di Padova, mons. Pellizzo, il D. fu attivo anche in seno alle organizzazioni cattoliche padovane, quali il Circolo di S. Antonio e la Federazione cattolica giovanile, di cui fu eletto presidente nel 1905. Il 9 luglio 1909 si laureò in giurisprudenza presso l'ateneo padovano discutendo, per la prima volta in Italia, una tesi sul diritto aereo. Consigliere comunale di Padova, fu assessore alla Beneficenza e all'Arte dal 1910 al 1912.
Nel dicembre 1909, in collaborazione con mons. R. Cecconelli, segretario del vescovo, fondò a Padova il quotidiano LaLibertà, assumendonela direzione.
La Libertà rappresentò una svolta importante nel panorama della stampa cattolica veneta, uscendo dai toni aspri della polemica intransigente per assumere un atteggiamento meno rigido, abbandonando gli anatemi contro lo Stato liberale e i toni temporalistici attorno alla questione romana. Il D. imboccò la strada della moderazione. pur mantenendosi fermo nella difesa dei valori religiosi, contro la legislazione laicista e a favore di una più matura coscienza cattolica in seno alla società civile.
Nel 1911 fu chiamato alla presidenza della direzione diocesana dell'Azione cattolica padovana. Pio X lo nominò il 2 ott. 1912 presidente dell'Unione popolare, la maggiore organizzazione del laicato cattolico, dopo lo scioglimento dell'Opera dei congressi (1904).
Nel suo primo discorso quale presidente dell'Unione popolare, pronunciato a Venezia il 27 genn. 1911indicò la nuova linea dell'organizzazione. Precisò che doveva essere lasciato alla S. Sede il giudizio sulla soluzione della questione romana, abbandonando vecchie e logore dispute fra cattolici. Respinse qualsiasi forma di "paziente servilismo" di fronte allo Stato liberale: "dobbiamo sentire - disse - tutta la fierezza che ci proviene dalla causa per la quale combattiamo e dalla onestà delle nostre intenzioni" (I cattolici e la vita pubblica italiana, Roma 1962, 1, p. 206). Rivendicò l'impegno diretto dei cattolici nella società civile, nella scuola, nel mondo del lavoro. Ribadì questi concetti nel successivo discorso del 6 nov. 1913,in occasione della VIII Settimana sociale tenutasi a Milano, precisando che i cattolici attendevano la soluzione della questione romana "per costituzionale volontà del paese, da parte dello Stato, senza che la sua sovranità ne sia compromessa".
Nel 1915 venne nominato presidente della giunta direttiva dell'Azione cattolica, organo superiore istituito da Benedetto XV per coordinare l'attività delle varie organizzazioni cattoliche.
Di fronte alla prima guerra mondiale chiarì, in un discorso del 5 genn. 1915, che i cattolici, come cittadini, pur non assumendo responsabilità per un intervento in guerra dell'Italia, avrebbero accettato le decisioni delle autorità. Precisò, tuttavia, che non gli sembrava che fossero minacciati "interessi diretti o indiretti, prossime o remote ragioni di giustizia pei nostri diritti". Insomma, una posizione di "neutralità condizionata", che non impedì al D. di porsi, come cattolico, su una posizione di incondizionato appoggio alla linea pacifista di papa Benedetto XV.
Nell'agosto 1917, quando il Sonnino dichiarò alla Camera che la Nota di Benedetto XV alle potenze belligeranti appariva "di ispirazione germanica" e mirava "a scusare o attenuare la criminosità dell'invasione, perpetrata all'inizio della guerra", il D. replicò al ministro degli Esteri con un telegramma nel quale sostenne che quelle affermazioni suonavano offesa nei confronti delle ragioni di "giustizia, carità, civile sovrana indipendenza, serena obiettività" del "documento nobilissimo".
Il D. partecipò anche, sia pure per breve tempo, alla guerra come volontario. Fu ufficiale di artiglieria in zona di operazioni e addetto al Comando supremo. Esonerato dal servizio dopo..qualche mese, per motivi di salute, tornò alla vita civile. In questi anni il suo impegno in seno all'Azione cattolica va inquadrato in quel processo che porta i cattolici ad una più chiara distinzione tra partecipazione alla vita politica e sociale e apostolato religioso, secondo una linea che fu anche di Benedetto XV. Questa nuova posizione fu chiaramente espressa dal D. ancor prima della nascita del partito popolare, in un convegno di dirigenti cattolici tenutosi a Roma il 23 nov. 1918.
Come ha osservato G. De Rosa, in quella occasione "si compì un esame di coscienza e un atto di chiarificazione necessaria, che aprì la via alle successive consultazioni ufficiali, orientate da Sturzo verso la fondazione di un partito dalla linea democratica, portatore di una concezione pluralistica e decentrata dello Stato" (G. De Rosa, Introd. a Dalla Torre, I cattolici..., I, p. XXII).
La sanzione ufficiale della nuova posizione dell'Azione cattolica si ebbe l'8 febbr. 1919, con un preciso richiamo da parte della giunta centrale dell'Azione cattolica a limitare i compiti dell'organizzazione "alla preparazione delle coscienze per la restaurazione cristiana della società al di fuori e al di sopra dell'azione politica". Tuttavia, secondo l'opinione di Sturzo, il D. non fu entusiasta del Partito popolare italiano "perché temeva che esso portasse via i quadri dell'Azione cattolica" (G. De Rosa, Sturzo mi disse, Brescia 1982, p. 30). Tornò sul tema dei rapporti tra impegno politico e azione religiosa nella relazione da lui svolta alla Settimana sociale di Napoli nel settembre 1925, sul tema "I circoli organizzati e le associazioni cattoliche in ordine all'attività politica", nella quale ribadì l'estraneità dell'Azione cattolica dalle competizioni politiche, rivendicando però ad essa un compito di formazione e di guida per i cattolici militanti sul piano religioso e morale.
Nel 1918 Benedetto XV lo aveva nominato presidente del Consiglio d'amministrazione de L'Osservatore romano. Il papa aumentò il capitale della società editrice, acquistò una tipografia che consentisse una maggiore autonomia al giornale e, il 10 luglio 1920, chiamò il D. alla direzione del quotidiano, in sostituzione di Giuseppe Angelini.
Per quaranta anni, dal 1920 al. 1960, il D. rimase alla guida de L'Osservatore romano, in anni aspri e difficili, carichi di tensioni e di scontri ideologici, riscuotendo la fiducia di ben quattro pontefici (Benedetto XV, Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII). La sua direzione fu caratterizzata da grande professionalità, da una attenta selezione dei collaboratori, da una vigile attenzione per mantenere il quotidiano al di fuori da interventi diretti nelle competizioni politiche, ma non assente di fronte ai problemi della convive a civile.
Secondo il pensiero del D., la stampa cattolica aveva il compito di non "circoscrivere l'orizzonte onde guarda come da un osservatorio, quanto illuminarlo tutto alla calda fiamma della fede" (G. Dalla Torre, I caratteri e la missione del giornale cattolico, in L'Osservatore romano, 16 genn. 1926). Doveva mirare "ad imprimere all'attività pubblica dei cattolici quello schietto carattere di sana intransigenza di pensiero e indipendenza di azione, che sole contribuiscono a prospettare alla coscienza del popolo, senza attenuazioni e confusioni pericolose, la pura bellezza dei nostri principi, l'efficacia integrale della loro applicazione" (Id., Il giornale cattolico, ibid., 28 genn. 1926).
Il D. mantenne sempre il giornale su questa linea, volle farne il fedele interprete del magistero pontificio, mai cedendo di fronte alle questioni di principio. Naturalmente, con l'affermarsi del regime fascista, la posizione de L'Osservatore divenne più delicata: occorreva prudenza senza però offrire il fianco a compiacenze o complicità. Ma, nonostante l'equilibrio e la misura che l'organo vaticano offrì, la posizione del D. fu spesso al centro di riserve e sospetti da parte degli organi del regime.
Dopo i patti lateranensi il D. non aveva mancato di polemizzare, in una serie di articoli, poi raccolti in volume (Date a Dio, Città del Vaticano 1930), nei confronti di Mario Missiroli, che aveva sottolineato i rischi di una eccessiva ingerenza della Chiesa nella vita pubblica, cercando di rassicurare quegli ambienti laici dell'opinione pubblica italiana che non avevano gradito il concordato e le concessioni che lo Stato aveva fatto alla Chiesa (Date a Cesare, Roma 1929). Ma la posizione del direttore le L'Osservatore divenne delicata soprattutto dopo gli attacchi fascisti ai circoli dell'Azione cattolica, nel maggio 1931.
All'Azione cattolica il D. era legato da vecchia militanza, ne era stato ai vertici, ponendo le basi del suo sviluppo organizzativo. I fatti del '31 lo videro in prima linea nella difesa dell'autonomia e del diritto all'esistenza dell'organizzazione. Le violenze fasciste lo turbarono profondamente. Scrisse più tardi, ricordando quei giorni: "Furono sopraffazioni spesso sanguinose, devastazioni che giunsero a sacrileghe profanazioni di crocifissi spezzati, di immagini pie sfregiate, di ritratti del papa stracciati e calpestati fra le grida di abbasso e di morte all'Azione cattolica e al Sommo Pontefice, e canzoni blasfeme ed oscene, ed offese ai sacerdoti .... E tutto e ovunque senza che le forze di polizia intervenissero in modo tempestivo ed efficace" (I cattolici..., II, pp. 325 s.).
La posizione del D. non passò inosservata: il 26 maggio 1931 partì l'ordine di Mussolini al capo della polizia di procedere all'arresto dei direttore de L'Osservatore. Il 27 maggio, mentre si apprestava ad entrare in Vaticano, fu fermato da un sottufficiale di Pubblica Sicurezza. Con prontezza di spirito riuscì ad allontanarsi rifugiandosi nel cortile degli Svizzeri, in territorio vaticano. Dopo gli accordi del settembre 1931, che stabilivano i compiti dell'Azione cattolica, venne revocato il provvedimento nei suoi confronti, ma è indubbio che il direttore de L'Osservatore venne attentamente seguito come personaggio ostile al regime.
Egli non si fece, però, condizionare nel suo lavoro giornalistico. Si circondò di collaboratori giovani e preparati, tra i quali G. Gonella, al quale affidò, nel 1933, la rubrica Acta diurna, di informazione e commento di politica internazionale. Strinse rapporti di amicizia e di collaborazione con A. De Gasperi, cui affidò nel 1933 la rubrica "La quindicina internazionale" nella rivista L'Illustrazione vaticana, da lui stesso diretta.
Nel 1936, in occasione del 65° anniversario de L'Osservatore romano, volle organizzare una grande Esposizione mondiale della stampa cattolica, allestita in Vaticano nel cortile della Pigna. Ebbe in De Gasperi uno dei maggiori collaboratori all'iniziativa. In questi anni il nome del D. assunse risonanza e prestigio anche sul piano internazionale. Dal 1934 al 1960 fu presidente dell'Union internationale de la Presse catholique. Numerosi i suoi viaggi all'estero, in Francia, Austria, Cecoslovacchia. Conobbe il card. Verdier, arcivescovo di Parigi, mons. Seipel, Dollfüss, Beneš ed altre personalità straniere; fu amico di Charles-Roux, ambasciatore francese presso la S. Sede dal 1932 al 1940. Dopo la seconda guerra mondiale fu nominato membro dell'Accademia francese di scienze morali e politiche.
Negli anni che precedono la seconda guerra mondiale accentuò, nel suo giornale, gli atteggiamenti critici nei confronti dei regimi totalitari, delle ideologie neopagane e razziste del nazismo; stigmatizzò la politica hitleriana contro la Chiesa in Gcrmania; riaffermò le condanne della Chiesa contro l'ateismo bolscevico; difese, nei suoi articoli, i diritti della persona umana e mise in guardia contro i rischi della guerra; si schierò in difesa dei diritti dei popoli minacciati dall'espansionismo nazista. I suoi richiami alla pace e la denuncia delle atrocità della guerra sono ricorrenti dal 1939 in poi. Gli appelli, i messaggi e i documenti di Pio XII a favore di una soluzione pacifica della guerra e per un nuovo ordine cristiano trovarono ampio risalto e adeguati commenti nelle pagine de L'Osservatore romano. Nel maggio 1940 la distribuzione del quotidiano fu impedita da atti di violenza, da parte fascista. Attolico, ambasciatore italiano presso la S. Sede, spiegò al sostituto alla segreteria di Stato, mons. Montini che "il governo italiano, deciso ad entrare in guerra", non poteva "ammettere qualsiasi voce difforme" dell'organo vaticano rispetto all'"altra stampa italiana" (Actes et documents du Saintsiège relatifs à la seconde guerre mondiale, I, Città del Vaticano 1970, p. 463).
Le autorità fasciste continuavano a seguire con attenzione gli atteggiamenti pubblici e privati del D., ma erano impossibilitate ad intervenire in quanto il direttore de L'Osservatore e la sua famiglia alloggiavano nella Città del Vaticano ed erano cittadini vaticani.
In un rapporto, dei questore di Roma del 17 ag. 1941, silegge che il D. e suo figlio Paolo nutrivano sentimenti di avversione per il regime e per la Germania nazista: "Dati i sentimenti dei predetti e l'avversione che nutrono per la Germania Nazista, è da ritenere che nell'ambiente vaticano, in private conversazioni, i Dalla Torre si abbandonino ad apprezzamenti sfavorevoli alla alleanza italo-tedesca e sulla situazione economica della nuova Spagna nazionale. D'altra parte l'atteggiamento politico del conte Dalla Torre e la sua posizione di fronte all'Italia e alla Germania nazista si manifesta chiaramente attraverso gli articoli che pubblica su L'Osservatore romano e che denotano altresi la sua simpatia verso le democrazie. È ritenuto, pertanto, un deciso avversario del Regime e della politica dell'Asse" (Arch. centr. dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. P. S., Div. Polizia Politica, fasc. "Dalla Torre Giuseppe").
Nel novembre 1942 inviò al dipartimento di Stato degli Stati Uniti un memorandum sulla situazione politica italiana e i suoi possibili sviluppi, redatto in collaborazione con De Gasperi. Anche nei duri mesi dell'occupazione nazista mantenne inalterate le posizioni del quotidiano vaticano. Ma il suo impegno non si limitò alla sola attività giornalistica. Intensa fu la sua azione per proteggere personalità antifasciste, ebrei, perseguitati politici. Entrò in rapporti, nel periodo dell'occupazione nazista, con il gen. Bentivegna, I. Bonomi, A. Casati, P. Nenni, A. Theodoli, T. Gallarati Scotti, N. Carandini, il gen. R. Cadorna, M. Soleri ed altri. Al termine del conflitto, il corpo d'armata di Roma lo decorò con una croce di guerra per i suoi meriti patriottici durante la Resistenza.
La vita politica e sociale del secondo dopoguerra venne da lui interpretata nella prospettiva di un nuovo assetto basato sui valori del cristianesimo sia sul piano interno che internazionale. Nella sua visione, il cristianesimo doveva essere il respiro della democrazia e la democrazia il volto sociale del cristianesimo (Democrazia e cristianesimo, in L'Osservatore romano, 19nov. 1943). Seguì e sostenne l'impegno dei cattolici sul piano politico e sindacale, riallacciandosi alle tradizioni della scuola sociale cristiana e ponendosi, comunque, nella prospettiva pacelliana di ferma opposizione alle ideologie materialistiche, di rinnovamento religioso e di risveglio della cristianità come base della convivenza civile. Non mancarono, comunque, alcuni spunti polemici e rilievi critici rispetto a momenti e situazioni della vita politica e sociale italiana. Dal 1950 al 1954 fu presidente del Circolo romano, un centro fondato da V. Veronese per realizzare iniziative e incontri culturali di ispirazione cattolica a livello internazionale.
Nel 1960, dopo l'avvento di Giovanni XXIII e la nomina di mons. Tardini a segretario di Stato, abbandonò la direzione de L'Osservatore romano. Con il Tardini non erano mancate negli anni precedenti alcune divergenze, per cui il D. ritenne opportuno non creare imbarazzi al nuovo segretario di Stato. Gli successe alla direzione del giornale Raimondo Manzini. Il Tardini lo nominò direttore emerito e il papa gli conferì l'onorificenza di cavaliere di gran croce dell'Ordine piano. Continuò a frequentare il giornale mantenendo i rapporti di amicizia con la redazione. Su invito di p. Gemelli collaborò alla rivista Vita e pensiero.
Morì il 17 ott. 1967, nella sua casa in Vaticano, all'età di ottantadue anni.
Opere: Per gli scritti del D. si vedano i suoi articoli su La Libertà di Padova (1909-12), su L'Osservatore romano (1920-60) e i seguenti volumi: I caratteri fondamentali dell'Azione cattolica, Milano 1928; Postille (dopo gli accordi dei Laterano), Firenze 1929; Date a Dio, Città del Vaticano 1930; I cattolici e la vita pubblica italiana (1866-1920), ibid. 1944; Azione cattolica e fascismo, Roma 1945. Queste ultime tre opere sono state ripubblicate nella raccolta di scritti I cattolici e la vita pubblica italiana, a cura di G. De Rosa, Roma 1962, ove compaiono anche articoli apparsi su La Libertà, su, altri quotidiani e riviste e alcuni discorsi del D.; il memorandum del D. al dipartimento di Stato del novembre 1942 è riprodotio in E. Aga Rossi, La politica del Vaticano durante la seconda guerra mondiale. Indicazioni di ricerca e documenti inediti sulla missione Myron Taylor, in Storia contemporanea, IV (1975), pp. 916 s.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi al D. si trovano nell'Archivio della Curia vescovile di Padova, Arch. di Stato di Padova, Gabinetto di Prefettura; Roma, Archivio centrale dello Stato, Min. Interni, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia politica, fascicolo "Dalla Torre Giuseppe". Per un quadro ampio e completo della biografia del D. si vedano le sue Memorie, Milano 1965. Si veda inoltre: F. Magri, L'Azione cattolica in Italia, Milano 1953, passim. F. Alessandrini, A difesa dell'uomo, in L'Osserv. romano, numero del centenario, 1° luglio 1961; P. G. Colombi, Sette direttori per un secolo, ibidem; Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Roma 1953, passim; G. De Rosa, Storia del movim. cattolico in Italia, Bari 1966, ad Ind.; G. Rossini, Il movim. cattolico nel periodo fascista, Roma 1966, pp. 24, 27 s., 33 s., 120 s., 191; Spiritualità e azione del laicato cattolico in Italia, Padova 1969, passim; De Gasperi scrive, a cura di M. R. Catti De Gasperi, Brescia 1974, I, pp. 131 s.; A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature. 1922-1945, Milano 1975, pp. 48, 58, 79, 247, 254;O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, Roma 1977, II, pp. 528-34; A. Lazzarini, Vita sociale e religiosa nel Padovano agli inizi del Novecento, Roma 1978, passim; Chiesa, Azione cattolica e fascismo nell'Italia settentr. durante il pontificato di Pio XI, Milano 1979, passim; S. Magister, La politica vaticana e l'Italia. 1943-78, Roma 1979, adInd.; F. Alessandrini, Tra cronaca e storia, in L'Osserv. romano, numero speciale "120 anni di storia della Chiesa nel mondo", 13 dic. 1981, p. 103; R. Moro, Azione cattol., clero e laicato di fronte al fascismo. in Storia del movim. cattolico in Italia, IV, Roma 1981, passim; F. Alessandrini, D. G., in Diz. stor. del movimento catt. in Italia, II, Casale Monferrato 1982, pp. 150-53;G. De Rosa, Sturzo mi disse, Brescia 1982, passim. Si vedano anche i necrologi in L'Osserv. romano, 18-19 ott. 1967e Corriere della sera, 19 ott. 1967.