PALAZZO, da
PALAZZO, da. – Cospicua famiglia dell’aristocrazia veronese di età comunale, discendente da Gandolfo, conte di Piacenza e poi di Verona in età ottoniana (Bougard, 1999).
I Gandolfingi si radicarono tra X e XI secolo nel territorio della Marca veronese, inizialmente senza recidere del tutto i legami con l’area di origine ed esercitando a intermittenza la funzione comitale nella città veneta. Tra gli altri coprì la carica, agli inizi del XII secolo, Riprando figlio di Arduino. Egli disponeva all’epoca di importanti basi fondiarie e signorili nella bassa pianura veronese, a Ostiglia (San Romano) e a Isola della Scala (allora Insula Comitum); fu vicino a Matilde di Canossa e combatté contro i conti di San Bonifacio e in particolare contro Alberto di San Bonifacio.
Alla sua morte (1139 circa), i due figli Arduino e Guiberto si divisero terre, diritti e clientele vassallatiche, redigendo un’importante cartula divisionis, che assegnò al primo i beni di Casaleone e Ravagnana e al secondo quelli di Isola della Scala. Fu questa la generazione dei Gandolfingi che impresse una svolta decisiva alla politica ‘familiare’, stringendo maggiormente i legami con le istituzioni ecclesiastiche cittadine e risiedendo più frequentemente a Verona (ove si avviava ormai la trasformazione comunale). Nel 1159 Riprando di Guiberto e sua moglie Garscenda assistono a un atto testamentario stando nella propria casa («in palacio comitis Riprandi»: Castagnetti, 1981, p. 81).
Nei decenni successivi, la casata assunse progressivamente un profilo più riconoscibile: c’era bisogno di un nome, di una ‘etichetta’ collettiva, proprio perché i due rami si venivano ormai distinguendo. I notai cominciarono a usare appunto la denominazione «de Palatio», riferendosi con essa alla residenza di tradizione pubblica (sin dall’età gota e longobarda) del quartiere del castrum, a sinistra dell’Adige (ibid., p. 83).
Nel 1171 un rappresentante per ciascuno dei rami – Bartolomeo di Riprando di Guiberto e Corradino di Arduino – è menzionato tra i milites più influenti della città: i due sono infatti nominativamente indicati tra coloro cui il vescovo della città Ognibene vieta di cedere diritti utili nel quartiere dell’Isolo, allora in via di urbanizzazione.
Agli inizi del Duecento il cognome «de Palatio» appare ormai stabilizzato ed è portato dai due rami della famiglia.
Come per molte famiglie dell’aristocrazia veronese di età comunale, non fu necessario per i da Palazzo scegliere tra la campagna e la città, tra un profilo più nettamente signorile/rurale e un radicamento francamente urbano. Il peculiare assetto politico veronese, caratterizzato da una forte concentrazione delle prerogative pubbliche sul centro urbano e sulle sue istituzioni ecclesiastiche, consentì loro per un verso di gestire i cospicui beni fondiari posseduti nella pianura (particolarmente preziosi in quella congiuntura di forte espansione insediativa) e i diritti signorili; e per altro verso di essere attivamente presenti sulla scena politica cittadina, in fermento e segnata dalle prime lotte di fazione.
Nel primo ambito, i due rami dei da Palazzo furono coinvolti nella spartizione, con le comunità rurali, delle grandi estensioni boschive tra i fiumi Tartaro e Menago, nella bassa pianura (nei territori di Insula Comitum e di Cerea); non molto più avanti nel tempo (1220 circa) Bartolomeo e suo figlio Giovanni (del ramo di Guiberto) cedettero al comune di Isola della Scala i diritti giurisdizionali. Sull’altro versante, gli esponenti di questo stesso ramo (in quel momento il più in vista) furono tra i protagonisti della vita politica cittadina in una fase cruciale della storia del Comune. Bartolomeo fu infatti nel 1185 procuratore per la fondazione di Villafranca Veronese, nel 1195 console dei mercanti, nel 1202 tra gli esperti chiamati a dirimere le questioni di confine con Mantova e fu numerose volte consigliere del Comune. Giovanni fu console durante la podesteria di Azzo VI d’Este del 1207, si schierò col marchese quando fu espulso e giurò nell’agosto 1207 l’alleanza con Mantova insieme a tutta la pars Comitum (che prendeva nome dai San Bonifacio, l’altra famiglia comitale).
Anche i discendenti del ramo di Arduino appaiono ancora in evidenza. Nel 1186 Arduino figlio di Corradino ottiene infatti dal vescovo Riprando la conferma dell’investitura di metà della arimannia di Azzago e della «turis retunda de ripa Atesis» (Varanini, 2011, p. 413), che fiancheggiava una delle antichissime porte delle mura romane (nonché dei collegati diritti daziari). Tuttavia nel corso del Duecento la documentazione concernente questo ramo si rarefà sino a quasi annullarsi, e sono soprattutto i discendenti di Guiberto a partecipare alla agitata vita politica cittadina (mentre le basi fondiarie e signorili della pianura venivano via via erose dalla pressione dei Comuni rurali, in particolare quello di Isola della Scala).
Bartolomeo da Palazzo fu tra i capi della pars Comitum, la fazione alleata degli Estensi e più contigua ai valori dell’aristocrazia. Fu infatti console del Comune nel 1210 e podestà nel 1212, durante gli anni del predominio di Azzo VI in Verona; in tale veste, alla guida dell’esercito cittadino, fu sconfitto da Ezzelino II da Romano in una battaglia alle porte di Vicenza. Ancora nel 1227 suo figlio Giovanni era tra i leader del partito, ma la progressiva affermazione della pars Monticulorum (cui si collegò poi Ezzelino III da Romano) mise i da Palazzo in difficoltà: sì che nel 1230 padre e figlio furono messi «in gabiis» e le loro case e torri distrutte. Dopo alterne vicende, nel 1247 Giovanni da Palazzo fu costretto a vendere beni e vassalli al trionfante Ezzelino III, e con i suoi discendenti fu costretto all’esilio.
Rientrati in città in occasione della precaria pacificazione seguita alla morte di Ezzelino (1259-60) e poi nuovamente esiliati, i da Palazzo (a capo dei quali era allora Bartolomeo di Giovanni) appaiono a Este nel 1263. Ma nella pax della quale Alberto I della Scala fu abile regista nell’ultimo quarto del Duecento, centellinando rientri in città e così sfilacciando la pars Comitum ormai definitivamente bandita, fu possibile per loro tornare nuovamente a Verona e la famiglia si avviò a un onorevole crepuscolo. Emblematicamente, nel 1298 Giovanni di Bartolomeo da Palazzo fu armato cavaliere da Alberto I e nel 1299 presenziò al matrimonio tra Costanza della Scala e Guido Bonacolsi.
Risale probabilmente a questi decenni la redazione di quel testo degli Annales veronenses antiqui che narra come nel 1245 furono trovate le «ossa Alboini regis Lombardorum in cassa una ligni, in muro scale palacii Iohannis de Palacio de supra portam» (Cipolla, 1908, p. 73). Una scala e il nome Alboino: palesemente materiale prezioso per una ‘invenzione della tradizione’ da parte degli Scaligeri al potere, visto che Alberto I proprio allora diede al suo secondogenito l’impegnativo nome del re dei Longobardi.
Ma le antiche identità politiche, inscritte nel DNA familiare, non si cancellano facilmente e un altro Bartolomeo di Giovanni nel 1312, durante la spedizione di Enrico VII, si accostò al nocciolo duro dei guelfi veronesi fuorusciti (San Bonifacio, Lendinara ecc.); combatté con i Padovani contro Verona a Longare presso Vicenza, e secondo Ferreto Ferreti fu preso prigioniero e morì in carcere.
Su questo sfondo cronologico va collocato un episodio riferito dal commentatore dantesco Benvenuto da Imola, che annotando Purg. XVIII afferma che Giuseppe della Scala, abate di S. Zeno nel primo Trecento, insofferente della pusillanimitas del fratellastro Alboino, avrebbe fatto sterminare alcuni esponenti dei conti di San Bonifacio a Isola della Scala, «villa eorum» (cioè soggetta a loro in quanto signori): evidentemente confondendo le due famiglie comitali veronesi, comprensibilmente, vista la ben maggiore notorietà sovracittadina dei San Bonifacio. Nonostante le imprecisioni, la testimonianza è dunque attendibile e lo conferma la documentazione trecentesca (cfr. Sancassani, 1980-81, p. 97; Varanini, 2011, p. 405) che mostra nel 1371 un estremo membro dei da Palazzo presentare una supplica agli Scaligeri a nome dei rustici di Isola della Scala, suoi antichi sudditi.
Fonti e Bibl.: C. Cipolla, «Annales veronenses antiqui» pubblicati da un manoscritto sarzanese del secolo XIII, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, XXIX (1908), pp. 23, 73; A. Castagnetti, La pianura veronese nel medioevo. La conquista del suolo e la regolamentazione delle acque, in Una città e il suo fiume. Verona e l’Adige, a cura di G. Borelli, I, Verona 1977, pp. 68-70; G. Sancassani, I Da Palazzo nella Bassa Veronese nel medioevo, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, s. 6, XXXII (1980-81), pp. 87-97; A. Castagnetti, Le due famiglie comitali veronesi: i San Bonifacio e i Gandolfingi/Di Palazzo, in G. Cracco - A. Castagnetti - S. Collodo, Torino 1981, pp. 59, 64 s., 81-85; Id., I veronesi Da Moratica: prestatori di denaro, signori rurali, esponenti della pars Comitum, in Studi in onore di Gino Barbieri, I, Milano 1983, p. 433: Id., La società veronese nel medioevo. II. Ceti e famiglie dominanti nella prima età comunale, Verona 1987, pp. 12-13; G.M. Varanini, Della Scala, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXVIII, Roma 1989, p. 435; F. Bougard, Gandolfo, ibid., LII, Roma 1999, pp. 183 s.; G.M. Varanini, Il patrimonio di una famiglia comitale. Terra e potere dei Da Palazzo a Casaleone e Ravagnana nel secolo XII, in Casaleone. Territorio e società rurale nella bassa pianura veronese, a cura di B. Chiappa, Vago di Lavagno 2000, pp. 65-78; Isola della Scala. Territorio e società rurale nella media pianura veronese, Vago di Lavagno 2002, pp. 42-51 [schede di G.M. Varanini e di B. Chiappa - G.M. Varanini]; G.M. Varanini, Nuovi documenti sulla famiglia dei conti da Palazzo di Verona (secc. XII-XIV), in Studi sul medioevo per Andrea Castagnetti, Bologna 2011, pp. 383-414 (tavola genealogica, p. 406).