CASTELLO, da
Famiglia signorile del Novarese, attestata con sicurezza dal XII secolo; fu una delle più importanti del Piemonte settentrionale dopo i conti di Biandrate e i marchesi di Romagnano almeno fino alla metà del XIII secolo, quando ebbe inizio la sua dispersione in vari rami minori.
La denominazione “de Castello” è comune a stirpi signorili di altre zone, con cui i Castello non devono essere confusi. Il castello da cui la famiglia traeva il nome era con ogni probabilità quello di S. Angelo, annesso alla corte di Pallanza, nel possesso del quale fu formalmente confermata da Federico I nel 1152: costituì anche in seguito il principale punto di radicamento del vasto gruppo parentale. I Castello furono presenti nelle zone circostanti il lago Maggiore, ma non trova conferma l’opinione del Guasco di Bisio secondo cui discendevano da un titolare del comitato di Stazzona.
La prima notizia documentaria su un Castello lascia ampi margini di dubbio. In una donazione del 19 marzo 1075 al capitolo canonicale di S. Giuliano di Gozzano, si legge che poco tempo prima possessori dei beni donati nella località di Termagna erano i figli di un Adalberto “qui dicitur de Castello”: potrebbe trattarsi di un’indicazione generica. La prima notizia sicura è del 18 genn. 1145: dominus Alberto, figlio di un defunto Guido, fa una donazione in favore dei canonici di S. Maria di Novara. È una carta importante per ricostruire la fisionomia del patrimonio della famiglia, perché risultano donate la chiesa di S. Maria di Lupiate e varie terre nell’Ossola e nella Valle Intrasca, con esclusione di quanto essa possedeva a Intra, Pallanza e Suno.
Su queste e su altre zone di espansione informa il diploma di Federico I del 30 luglio 1152 in favore dei suoi fedeli “comites de Castello” Manfredo, Cavalcasella, Ardizzone figlio di Guglielmo e Crollamonte figlio di Guido. I beni confermati furono il castrum di S. Angelo con la corte di Pallanza, il castrum di Cerro, diritti sul fiume Strona, sul Tosa e su tutte le acque provenienti dalla Val d’Ossola, i castelli di Cavallo, di Ghemme, di Marano, le località di Gattico, di Revessate e di Caron, beni in Pombia, il mercato di Scozola e il porto di Sesto: tutti i possedimenti dei Castello erano dichiarati immuni da ogni autorità superiore e alla famiglia si affidava su di essi la “potestas legem faciendi et lites diffiniendi”.
Il diploma fa riferimento a concessioni che i Castello avrebbero ottenuto da precedenti imperatori, ma nessuno di questi diplomi ci è giunto: l’erudizione locale ha talora supposto l’esistenza di un diploma di Carlomagno, datato 811, ma l’ipotesi è basata su una notizia incontrollabile di una carta del XVII secolo. Nel diploma di Federico I i Castello sono definiti conti, e così anche in conferme successive di Enrico VI e di Ottone IV: sono i soli documenti che non si limitino ad attribuire il titolo di domini ai membri della famiglia. Se si considera che le due conferme recepiscono la terminologia dell’atto del 1152 e che il titolo non ricorre nelle carte private, che di solito gratificano le famiglie signorili di titoli non dovuti, sembra corretto ritenere che la presenza del termine “comites” nel diploma di Federico valga soltanto a testimoniare la dequalificazione del titolo e non sia traccia di un’antica gestione di funzioni pubbliche da parte di membri della famiglia.
Le presenze patrimoniali attestate dal diploma federiciano sono confermate dal cronista trecentesco Azario, che ne aggiunge altre per il XIII secolo, riferendosi al momento in cui la maggior parte dei beni della famiglia fu acquisita dal Comune di Novara. La “domus nobilium de Castello” è dall’Azario suddivisa in tre “domus”, che risultano dalla documentazione essere effettivamente i tre principali rami della famiglia: i Barbavara, i Cavalcasella, i Crollamonte. Di ciascuno di questi rami risultano dall’Azario e da altri documenti le zone di influenza: i Barbavara erano signori dell’area più centrale, cioè di Pallanza, di Intra, di Stresa e di Gravellona; i Cavalcasella erano signori di Omegna, di Crusinallo, della Valle Strona, di Mesima, di Gattico, di Ghemme; i Crollamonte della bassa Val d’Ossola. Il diploma di Federico è per un verso da collegare con i buoni rapporti personali che l’imperatore aveva con la famiglia, per l’altro con la solida affermazione su cui i Castello potevano contare a vari livelli della vita civile ed ecclesiastica della regione. Un Castello in particolare fu in rapporti con Federico I, Martino: è fra i sottoscrittori di carte dell’imperatore nel 1175 e nel 1186. Per quanto riguarda la diffusione e la qualità dei poteri della famiglia, la conclusione di una lite fra i Castello e il monastero pavese di S. Pietro in Ciel d’Oro, documentata da due atti dell’8 febbraio e dell’8 marzo 1164, dimostra che i Castello avevano ampi poteri in Val d’Ossola e in Valle Intrasca, tant’è vero che si rese necessario dichiarare i beni del monastero immuni dai signori Castello, ai quali per altro rimase affidata l’alta giustizia: questa convenzione fu sottoscritta, per i Castello, da Martino, Cavalcasella, Olrigazio, Alberto Barbavara, Alberto Gritta e, nel secondo documento, anche da Martino e Guglielmo fratelli di Cavalcasella e da Ardizzone fratello di Olrigazio.
Quando Pallanza si organizzò in Comune, i Castello non rinunciarono ad avere nella località un ruolo egemone; il 1° ott. 1182 (0 1188) Pietro ha funzioni podestarili nel piccolo Comune. Pallanza non fu il solo Comune rurale in cui la famiglia si inserì con funzioni di responsabilità. Un altro Pietro, più volte attestato nell’ultimo decennio del XII secolo in connessione con Lumellogno, il 5 febbr. 1196 risulta ricoprire la carica di console di quella Comunità; Anselmo è credenziario di Cerredano il 23 marzo 1202, Guglielmo Testa è console di Ghemme il 9 ott. 1203. Contemporaneamente la famiglia stabilì rapporti con le comunità religiose più influenti, e ne approfittò o per ricavarne vantaggi in zone dov’era già presente – il 30 sett. 1178 Gugliemo fu investito di molte decime dell’Ossola dai canonici di Novara o per inserire propri membri con funzioni di rilievo in quelle comunità. Cavalcasella, probabilmente lo stesso ricordato nelle carte precedenti, il 29 ott. 1164 risulta membro della curia del vescovo novarese Guglielmo; nei primi due decenni del secolo XIII Abate, canonico di Novara, fu anche preposito di S. Giulio d’Orta. Si noti ancora che il Pietro di Lumellogno prima ricordato il 4 maggio 1194 fu fideiussor per la chiesa vescovile novarese e nel 1201 giurò fedeltà al vescovo con gli altri uomini della sua Comunità. In generale, da donazioni e da presenze meno significative all’interno delle comunità religiose, appaiono molto buoni i rapporti dei Castello con i canonici di S. Maria di Novara e con quelli di S. Giulio d’Orta.
I Castello, al pari dei Biandrate, furono tra le famiglie più coinvolte nella complessa situazione apertasi in Piemonte nella seconda metà del secolo XII in conseguenza dell’azione svolta in Italia da Federico I, nonché, in particolare, nei conflitti che contrapposero il Comune di Vercelli a quello di Novara, che durarono con fasi alteme dalla fine del secolo XII alla seconda metà dei XIII. Sotto il primo profilo si può affermare che i Castello si schierarono in posizione sostanzialmente filoimperiale: lo indica, ad esempio, l’atto del 1170 circa, con il quale gli abitanti di Pavia aderirono alla Lega lombarda e giurarono di combattere Federico I e i suoi fiancheggiatori, cioè i conti di Biandrate, il marchese del Monferrato e i figli di Malparlerio Castello. Buoni rapporti con l’imperatore i Castello mantennero anche successivamente: il 2 dic. 1191 Enrico VI rilasciò un’ampia conferma di tutti i beni ad Ardizzone, a Uberto di Crollamonte, a Guglielmo di Malparlerio, a Olrico figlio del defunto Martino, a Pietro figlio del defunto Cavalcasella, ad Abate, ad Alberto Gritta, ai figli di Olrigazio, a Guido di Barbavara, a Simone, ognuno in rappresentanza dei suoi più stretti consanguinei. All’atto della conferma presenziarono sia il vescovo di Novara sia quello di Vercelli, con i quali i Castello avevano buoni rapporti.
Nel conflitto tra i Comuni di Novara e Vercelli, poi, i Castello si schierarono costantemente per Vercelli, anche se nei periodi di pace tra le due città cercarono di inserirsi nella vita politica di Novara. Guido, Manfredo, Riccardo e Bonifacio Castello si allearono il 18 marzo 1190 con Vercelli per far guerra a Novara e ai marchesi di Romagnano. Tutta la famiglia fu coinvolta in questo schieramento, e se ne ebbe una conferma nel 1192, quando, oltre a Guido e a Bonifacio, anche Filippo rinunciò a chiedere il risarcimento di certi danni subiti dai Vercellesi. Una prima pace fra Novara e Vercelli, conclusa nel 1194, non fa menzione dei Castello, ma questi dovettero indursi a migliorare i loro rapporti con Novara. Nel marzo del 1200 un trattato politico-commerciale tra Novara, i Castello e i signori di Crusinallo – ritenuti talora, anche se questo documento li considera separatamente, apparentati con i Castello – riconobbe la giurisdizione dei Castello a nord di Gozzano e di Arona, cioè sul territorio compreso tra il lago Maggiore e il lago d’Orta, ed essi si impegnarono perché il borgo di Pallanza fosse aperto ai commercianti novaresi: rappresentarono la famiglia Ardizzone Pettenato, Giacomo di Gattico, Uberto di Crollamonte, Guido, Manfredo, Riccardo, Filippo, Bonifacio, Guglielmo Testa, Giacomo, Simone, Ardizzone, Martino Andreotto, Obizzone e Uberto. Presumibilmente nei primi anni del XIII secolo i membri del ramo Barbavara, per primi. giurarono il cittadinatico nel Comune di Novara, e questo àtteggiamento giovò non poco ai Barbavara per raggiungere una posizione non subalterna nelle istituzioni comunali: nel 1209 Guido Barbavara fu podestà di Novara.
In quegli anni di pace sono attestati due Castello: Guglielmo, che il 22 apr. 1202 risarcì al Comune di Vercelli alcuni danni procuratigli costruendo un ponte presso Saluggia, e il figlio di Manfredo, Nicolino, che il 16 febbr. 1204 venne messo al bando dal Comune di Novara per aver recato offesa al Comune di Vercelli.
Il 15 apr. 1210 Ottone IV confermò i beni ai “comites” Castello: destinatari furono Corrado, figlio di Uberto Crollamonte, Andreotto Barbavara e Martino Abate. Anche un atto di concordia del 13 ag. 1218 fra Novara e Gvido di Biandrate.informa sulla solidità di certi diritti dei Castello: Guido rivendicava per sé, sulle zone di sua competenza, una giurisdizione come quella che i Castello esercitavano in Marano, in Pombia, in Gattico e nelle altre località ad essi sottoposte. Sembra dunque che in questo periodo venga raggiunto un certo equilibrio tra l’affermazione territoriale del Comune di Novara e il mantenimento di posizioni di rilievo nelle istituzioni cittadine da parte dei Castello: il che appare confermato dal fatto che Ardizzone Barbavara fu console di Novara nel 1219 e Desiderato fu podestà novarese nel 1221. L’accordo però non era stabile: il 2 genn. 1233 i fratelli Albertazzo e Crollamonte si impegnarono, insieme con gli uomini di Pallanza, di Intra, della Valle Intrasca e dell’Ossola inferiore, a combattere a fianco di Vercelli contro Novara. Durante la guerra i Novaresi, secondo una tarda testimonianza di Tristano Calco, occuparono Pallanza. Novara uscì vittoriosa dal conflitto con la pace del 23 nov. 1223, riconobbe comunque che i Castello avevano negli anni precedenti fatto abbondanti cessioni al Comune e si impegnò a liberare da tutti i bandi due Castello, Andreotto Barbavara e Martino Abate. Il 16 dicembre dello stesso anno Vercelli liberò gli uomini di Intra, della Valle Intrasca e di Pallanza dal giuramento che avevano prestato allo inizio dell’anno, e fra i rappresentanti di Pallanza c’era Martino Cavalcasella de Castello. Si può ritenere a ragione che, seguendo una prassi consueta, i Castello avessero ripreso in feudo dal Comune di Novara i beni che gli avevano ceduto.
Tuttavia la vittoria di Novara aveva indebolito la posizione dei Castello: lo sta a dimostrare il fatto che il 29 ott. 1224 l’arcivescovo di Milano li prese sotto la sua protezione, garantendo loro rifugio sulle terre a destra del Ticino, terre che per altro il Comune di Vercelli si impegnava a difendere da qualunque attacco. In- questo accordo c’era di nuovo in nuce un’alleanza antinovarese, che però ebbe conseguenze belliche soltanto molti anni dopo, nel periodo febbraio-marzo 1232: la pace che ne seguì, il 15 giugno 1232, per i Castello prevedeva le stesse condizioni del 1223, e così fu negli altri atti di pace che si succedettero fino a quella, che pare definitiva, del 1259.
Da questo momento gran parte del gruppo parentale dovette rinunciare alla rivendicazione di poteri politici autonomi e mirare piuttosto ad una posizione di prestigio nella costruzione territoriale che faceva capo al Comune di Novara. Gli statuti della fine del XIII secolo fanno frequenti riferimenti alla famiglia: un capitolo invita alla concordia i Castello da una parte e i Tornielli e i Cavallazzi dall’altra, un altro ancora fa divieto ai signori di Barbavara e di Ornavasso di cedere liberamente ad altri i loro diritti. Nello stesso periodo Guido Barbavara fu tra gli “statutores et emendatores” degli statuti della città, Manfredo Abate rappresentò Novara nella risoluzione di un debito con il marchese del Monferrato il 7 giugno 1285, Guglielmo Barbavara ottenne diritti sulle acque comunali nel 1296, e la famiglia di quest’ultimo mantenne un peso notevole nella vita del Comune anche negli anni successivi (ad esempio Ardicino Barbavara era sapiente del Comune il 5 ag. 1312). La dispersione dei vari rami dei Castello collocò, tuttavia, alcuni di essi in una dimensione non novarese: Ioncelmo è attestato come titolare di molti diritti in Valsesia tra il 1247 e il 1273, un Filippo Barbavara pare fosse pervenuto alla carica podestarile in Pavia nel 1251.
Dalla seconda metà del secolo XIII la famiglia sembra aver perso quell’unitarietà di intenti politici e quella convergenza di interessi territoriali che l’avevano caratterizzata fino ai primi decenni del secolo. Tuttavia le Consignationes del 1347 segnalano ancora non pochi Castello fra i proprietari fondiari nel territorio circostante Novara: Antioco, Guiberto, Guibertino e Guidotto avevano beni in Cerredano, Enrico in Ponzane, Gilberto in Oleggio, Franceschino in Conturbia, Pietro nella zona di Romagnano. È menzionata una casa dei Castello in Novara, e in altra parte della fonte sono citati come proprietari di una casa, forse la stessa, Manfredo e Ubertino.
Lo stato delle ricerche e dell’edizione dei documenti non consente di seguire in modo soddisfacente le vicende dei rami della famiglia che non si integrarono nella vita comunale di Novara. Dai Barbavara derivò un ramo minore, detto di Ornavasso, che nel corso del XIV secolo ebbe posizioni di primo piano nel Vallese. Il Gingins la Sarraz fa risalire alla metà del XIII secolo l’espansione dei Castello in quella regione, attraverso il matrimonio fra una discendente dei signori di Viège e Pietro, già signore delle valli d’Antigorio e di Formazza. Dal Bianchetti si ricava un certo numero di inforzioni, peraltro non sempre verificabili, circa la presenza oltralpe dei Castello di Ornavasso: il 28 genn. 1348 un Iatermo di Ornavasso rappresentò le Comunità di Cauches e di Aragnon in una concordia fra Amedeo di Savoia e il vescovo di Sion; nel 1361 Nicolao di Aragnon (così tendeva ormai a chiamarsi la famiglia) compare tra i sindaci delle Comunità montane del Vallese, mentre nel 1365 Michele di Ornavasso è castellano a Naters, altro centro di potere, oltre Aragnon, degli Ornavasso. L’interesse per questa zona determinò il disimpegno degli Ornavasso dalla regione di provenienza e il 28 apr. 1379, nello stesso anno cioè in cui Antonio di Aragnon fu investito dal vescovo di Sion del luogo di Matisberg, Rodolfa di Ornavasso vendette appunto Ornavasso a Gian Galeazzo Visconti. Altri rami minori sono stati spesso menzionati, talora con collegamenti discutibili – in particolare ad opera del Guasco di Bisio e dello Scagica della Silva –, pochi di essi studiati. Come discendenti dal ramo Cavalcasella sono stati considerati dalla Virgili i Crusinallo – di cui si è qui fatto cenno e il cui collegamento con i Castello lascia forse spazio a qualche dubbio – e i signori di Gattico, abbastanza attivi dalla fine del secolo XIII in poi e sicuramente discendenti dai Castello.
L’ipotesi del Bianchetti, secondo cui anche una famiglia “de Salatis” presente nell’Ossola dalla fine del XIII secolo in poi deriverebbe dai Castello, potrebbe trovare ulteriore conforto nell’onomastica: nomi come Iacopino e Ioncelmo sono comuni infatti ai Castello e ai de Salatis. Ma la famiglia che mantenne maggior vigore, conseguendo cariche comunali in Novara e diritti signorili in altre zone, fu senza dubbio quella dei Barbavara.
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