CURSUS HONORUM
. È la successione ordinata delle diverse magistrature o delle diverse cariche, politiche, municipali, o collegiali, rivestite da personaggi dell'età romana. Risponde, per le magistrature, al certus ordo magistratuum, di cui discorrono Cicerone (De lege agr., II, 9, 24) e Callistrato (Dig., L, 4, 14, 5) o all'honorum gradus, di cui discorre Livio (XXXII, 7, 10).
Sebbene, in qualsiasi epoca, alle cariche più importanti si salisse dî regola dopo aver rivestito le meno importanti, alcune delle quali anzi costituivano una specie di assistentato delle prime, pure un ordine fisso e tale da conferire alle cariche inferiori valore di qualifica indispensabile per aspirare alle più alte, fu stabilito solo tardi, e, poiché sino al primo decennio del sec. II a. C. si hanno casi di personaggi eletti al consolato senza aver prima rivestito la pretura, è molto probabile che quel certus ordo sia stato introdotto nel 180 a. C. dalla stessa lex Villia, che stabilì il minimo di età per le candidature; e pare certo che la scala costituita da questa legge contemplasse soltanto le tre cariche della questura, della pretura e del consolato. Tuttavia, pur nel periodo repubblicano, fu consuetudine che l'edilità curule s'inserisse prima della pretura e che si considerassero come cariche iniziali della carriera quelle del vigintisexvirato (poi vigintivirato) ed il servizio d'ufficiale, ma senza valore di qualifiche indispensabili per la questura. Fu Augusto che, forse nella sua riorganizzazione statale del 27 a. C., ai tre gradini obbligatorî della questura, della pretura e del consolato premise l'obbligo di una delle cariche del vigintivirato, e in pari tempo introdusse tra la questura e la pretura un altro gradino, obbligatorio per i plebei, e dal quale invece i patrizî erano esentati, costituito dal tribunato della plebe e dall'edilità, sia plebea, sia curule. (Se si pensa che dieci erano i posti dei tribuni detti plebei e sei quelli degli edili, dei quali quattro plebei e due curuli, si capirà facilmente perché Augusto esentasse i patrizî da questo gradino, abbandonando ai plebei anche l'edilità curule). La censura, sin da tempi assai antichi, si rivestì dopo il consolato, in forza soltanto di consuetudine, come in forza di consuetudine e non di legge, il dittatore e il maestro dei cavalieri, prima scelti con la massima libertà, si scelsero poi, a cominciare dalla metà del sec. III a. C., il primo tra gli ex-consoli e il secondo tra gli ex-pretori. Al tempo del principato, del resto, queste ultime due cariche erano già scomparse e presto scomparve anche la censura. Sicché nell'età del principato i gradini obbligatorî della carriera senatoria per i plebei furono: 1. Vigintivirato; 2. Tribunato di legione (dapprima l'ordine reciproco di queste due cariche fu variabile, poi si consolidò nel modo detto); 3. Questura; 4. Tribunato o edilità; 5. Pretura; 6. Consolato. Per i patrizî il cursus fu il medesimo, detrattone il numero 4.
Edilità e tribunato della plebe non sono più registrati nei cursus ufficiali di singoli personaggi dopo Alessandro Severo, ed è da credere che questo imperatore appunto ne abbia cancellata l'obbligatorietà. Dal servizio di ufficiale, obbligatorio sino a Gordiano, probabilmente Gallieno escluse gli aspiranti al Senato, nel momento stesso in cui precluse ai senatori le magistrature legate coi comandi militari e perfino la permanenza nel campo. Per le singole magistrature vi erano limiti minimi d'età e d'intervallo tra le une e le altre, e in questi intervalli il personaggio di ordine senatorio poteva essere chiamato a numerosi uffici amministrativi attinenti a Roma, all'Italia o alle provincie, e a comandi militari. Tutte queste numerosissime funzioni, riservate all'ordine senatorio, erano sottomesse ad una rigorosa gerarchia, onde vi erano uffici riservati agli ex-questori e altri agli ex-pretori, altri agli ex-consoli. Non vi era invece nessuna categoria riservata agli ex-tribuni e agli ex-edili, in quanto che tribunato ed edilità erano limitati, come si è detto, ai plebei. Le iscrizioni, specialmente quelle onorarie, registrano spesso tutte le magistrature e le cariche rivestite dal personaggio d'ordine senatorio, cui si riferiscono, e generalmente o secondo l'ordine cronologico col quale furono rivestite (ordine diretto), o secondo l'ordine di dignità, inverso alla successione cronologica (ordine inverso). Il consolato e le cariche sacerdotali sono generalmente però in testa alla serie anche nel caso di ordine diretto.
Anche per gli appartenenti all'ordine equestre la carriera cominciava con uffici militari (militiae equestres: prefettura o tribunato di coorte ausiliaria, tribunato legionario angusticlavo, prefettura di un'ala di cavalleria, tribunato in uno dei tre corpi urbani), e si svolgeva poi attraverso i numerosi e svariati uffici di procuratores esistenti in Roma, nell'Italia e nelle provincie, per sboccare infine nelle diverse prefetture di carattere amministrativo o militare. Al sommo della carriera stavano le prefetture della flotta di Ravenna o di Miseno, dei vigili, dell'annona, dell'Egitto, del pretorio; ma non è possibile di tanti e così diversi uffici ristabilire con precisione l'intera scala gerarchica, tanto più che l'importanza di essi andò variando col tempo. A partire da Antonino Pio i procuratori dell'ordine equestre portano il titolo di vir egregius, e i più elevati tra loro anche quello di vir perfectissimus, che spetta inoltre a parecchie prefetture, mentre il prefetto del pretorio è vir eminentissimus.
A cominciare già da Vespasiano spesso i procuratori di un certo grado furono ammessi nella carriera senatoria con l'adlectio inter tribunicios o, più spesso, inter praetorios, di rado mercé l'effettivo esercizio della questura, del tribunato o della pretura. In tale guisa l'ordine equestre diventava una specie di semenzaio per quello senatorio, secondo l'espressione dell'Hist. Aug. (vita Alex., 19). Così non di rado si veggono celebrati nelle inscrizioni personaggi che iniziano la loro carriera con cariche dell'ordine equestre e la proseguono con cariche dell'ordine senatorio: sono questi i cursus honorum che gli epigrafisti chiamano misti.
Dopo Costantino l'ordine equestre scomparve assorbito da quello senatorio, e allora rinveniamo nelle iscrizioni un unico cursus che, per i figli di senatori, comincia con la questura, spesso pretermessa, o con la pretura. Restò però sempre la possialità che a questa unica carriera superiore fossero ammessi individui di condizione inferiore, mercé l'aggregazione al Senato, che ora si chiamò adlectio inter consulares, ove consularis è sinonimo non già di ex-console, ma di senatore effettivo. E in questo periodo la carriera senatoria ebbe a svolgersi tra una quantità d'uffici distinti nelle tre classi di viri clarissimi, clarissimi et spectabiles, clarissimi et inlustres, con una gerarchia non precisabile in tutto e per tutto, date anche le variazioni d'importanza delle diverse cariche col volgere del tempo.
Nella classe della cittadinanza esclusa dall'ordine senatorio e da quello equestre, per difetto di nascita o di censo, si reclutavano i subalterni di tutte le amministrazioni pubbliche, i sottufficiali e i soldati. Pure a loro si offrivano carriere gerarchicamente ordinate, e anche di queste troviamo larghe indicazioni nelle epigrafi, in cursus honorum redatti nei consueti tipi ascendenti o discendenti. Come i cavalieri potevano essere ammessi in Senato, così i cittadini di queste classi inferiori potevano essere elevati alla carriera equestre, sia che ottenessero, per favore speciale, l'equus publicus, sia che esercitassero certi uffici intermedî, come per esempio, nel terzo secolo, il primipilato; quando poi l'ordine equestre scomparve, fu loro accessibile addirittura, come già vedemmo, la carriera senatoria. Ordinate in serie gerarchica erano pure le magistrature municipali e gli uffici delle numerosissime corporazioni: ne troviamo tracce altrettanto numerose in epigrafi che le registrano, cominciando, anche in questi casi, dalla più elevata o dalla più umile.
Bibl.: G. Marini, Gli Atti e monumenti dei fratelli Arvali, Roma 1795, II, p. 754; B. Borghesi, Oeuvres complètes, IV, Parigi 1865, p. 101 segg.; Th. Mommsen, Zur Lebensgeschichte des jüngeren Plinius, in Hermes, III (1869), p. 79 segg. (Gesammelte Schriften, IV, p. 412 segg.); id., De C. Caelii Saturnini titulo, in Memorie dell'Instituto di corrispondenza archeologica, II (1865), p. 299 sgg.; id., De titulis C. Octavii Sabini consulis a. p. Chr. 214, in Ephemeris Epigraphica, I, p. 130 segg. (Gesammelte Schriften, VIII, p. 229 segg.); id., Römisches Staatsrecht, Lipsia 1887, I, 3ª ed., p. 536 segg.; II, ii, 3ª ed., p. 937 segg.; III, i, p. 552 segg.; O. Hirschfeld, Die Rangtitel der römischen Kaiserzeit, in Sitzungsberichte der Akademie zu Berlin, 1901, p. 576 segg. (Kleine Schriften, Berlino 1913, p. 646 segg.); R. Cagnat, Cours d'épigraph. latine, 4ª ed., Parigi 1914, p. 88 segg.; J. E. Sandys, Latin Epigraphy, 2ª ed., Cambridge 1927, p. 110 segg.