CROMATOGRAFIA (App. II, 1, p. 734)
I metodi cromatografici per adsorbimento che presentano notevole interesse, sia analitico che tecnico, sono stati largamente affinati in questi ultimi anni; sono stati introdotti numerosi accorgimenti, specie per la rivelazione di sostanze incolori o comunque non rivelabili a occhio nudo e per la determinazione quantitativa della distribuzione dei componenti (introduzione di indicatori, misure continue della costante dielettrica, scelta di supporti dotati di attività ottica per ottenere la separazione di composti otticamente attivi, ecc.).
I metodi per adsorbimento presentano alcune limitazioni di impiego, per es. a causa dell'azione catalitica di adsorbenti (allumina, silice, ecc.) su qualche classe di sostanze.
L'adozione di adsorbenti costituiti da resine scambiatrici ha consentito la realizzazione di determinazioni quantitative di miscele di numerosi componenti, per es. amminoacidi.
A questo scopo si pone nell'alto di una colonna ripiena di resina finemente macinata la miscela da separare e si eluisce con successive frazioni di solventi a pH variabile. L'eluito è raccolto a piccole frazioni (i cm3, ecc.) alle quali si aggiunge come rivelatore per es. della ninidrina, che produce una colorazione proporzionale alla quantità di amminoacido presente. Riportando in un grafico, in ascisse il volume dell'eluito (o il numero delle frazioni raccolte, ecc.) e in ordinate le intensità della colorazione o la concentrazione del componente presente, si ottengono diagrammi che presentano tante cuspidi, quanti sono gli amminoacidi componenti (più o meno distanziate fra loro a seconda del grado di separazione realizzato), l'area compresa sotto ciascuna cuspide essendo proporzionale alla quantità della sostanza che l'ha prodotta. Metodi del genere sono applicabili a miscele di zuccheri, di acidi, di basi, ecc. con opportuna scelta del supporto e dell'eluente.
Se la c. di adsorbimento ha acquistato notevole interesse per determinazioni di carattere quantitativo di miscele a più componenti o per la loro separazione su larga scala, la c. di ripartizione, in particolare quella su carta, si è dimostrata uno strumento importantissimo tanto da essere considerata oggi una delle tecniche analitiche fondamentali non solo in chimica, ma in medicina, in biologia, in quasi tutti i rami della scienza, consentendo di risolvere problemi analitici e di ricerca anche molto complessi e delicati grazie alla sua sensibilità e semplicità.
Essa si basa sul fatto che i varî composti presentano coefficienti di ripartizione fra acqua e solventi organici per lo più sensibilmente diversi. Il sistema si realizza fissando uno dei due liquidi, di solito l'acqua, ad un supporto mentre l'altro si fa scorrere lentamente su di esso; si sceglie della carta da filtro, porosa, che si immerge per un'estremità in una vaschetta contenente un liquido organico, praticamente immiscibile coll'acqua, lasciando scendere liberamente la rimanente parte del foglio, mantenendo il tutto in un ambiente saturo di umidità, così da averne un velo continuo all'interno della carta. Per capillarità il liquido organico migrerà lungo il foglio di carta; se in un punto di questo si pone una goccia del liquido o della soluzione contenente i componenti da esaminare, questi verranno a trovarsi a contatto dell'acqua e del liquido organico e si ripartiranno tra di essi in funzione del rispettivo coefficiente di distribuzione; naturalmente le sostanze più solubili nel solvente organico che nell'acqua si sposteranno più delle altre, il contrario si verificherà per quelle più solubili in acqua. Trascorso un certo tempo, asciugando il foglio di carta, se i diversi componenti della miscela avevano un colore proprio si noteranno sul foglio diverse macchie in posizioni differenti, caratteristiche e perfettamente ripetibili, se le condizioni di operazione vengono esattamente standardizzate (tipo di carta, temperatura ambiente, ecc.). La posizione di sostanze incolori può essere localizzata mediante impiego di reattivi caratteristici, di indicatori, di illuminazione con luce ultravioletta, ecc. Per realizzare una migliore separazione dei varî componenti, terminata l'operazione, questa può essere ripetuta ruotando il foglio di 90° e cambiando il tipo del solvente; si hanno in questo caso cromatogrammi bidimensionali capaci di una notevole risoluzione di miscugli anche molto complessi.
Numerosissime le varianti apportate al primitivo sistema al quale abbiamo accennato, allo scopo di adattarlo ai diversi casi da risolvere; così, invece di tener fisso il velo di acque facendo scorrere il solvente organico, si può fare l'inverso scegliendo supporti idrofobi; impregnando opportunamente la carta o adottando eluenti otticamente attivi si possono frazionare isomeri ottici anziché fare scendere il solvente si può farlo salire lungo il foglio mantenendolo verticale ed immergendone l'estremità inferiore, ecc. (cromatografia ascendente anziché discendente).
Il metodo si presta anche a determinazioni quantitative misurando p. es. l'ampiezza e l'intensità delle singole macchie.
Si può favorire lo spostamento di sostanze elettricamente cariche sfruttando la loro diversa mobilità in un campo elettrico. Tale possibilità fu approfondita da A. J. P. Martin e coll., quando nel 1946 realizzarono la separazione di amminoacidi e di peptidi su di uno strato di gelo di silice. In queste prime esperienze l'apparecchio era costituito da quattro strisce di vetro sovrapposte, distanziate, a perfetta tenuta, così da formare, a coppie, due camere nelle quali poteva circolare acqua di raffreddamento; fra la seconda e la terza lastra di vetro era lasciato uno spazio occupato dagli elettrodi e dal gelo imbevuto di soluzione tampone. Al centro di questo strato di materiale erano posti gli amminoacidi da separare. Applicando agli elettrodi una differenza di potenziale di qualche centinaia di volts, si realizzava la migrazione dei singoli componenti per alcuni centimetri: nel caso specifico la loro posizione poteva essere rivelata ponendo alla fine della prova sul gelo di silice un foglio di carta da filtro imbevuta di ninidrina. La differenza di mobilità causata dalla diversa carica dei singoli amminoacidi permetteva una loro buona separazione.
Tale tecnica successivamente è stata molto semplificata ed ha subito numerose varianti. Si sono usati apparecchi costituiti da tubi cilindrici, da camere a forma di parallelepipedi, o da una semplice striscia di carta racchiusa fra lastre di vetro con le estremità immerse in due vaschette contenenti il liquido tampone e gli elettrodi.
Come materiali di supporto per riempire le varie camere, oltre al gelo di silice, si sono usati l'agar, la cellulosa sfibrata, l'amido; particolarmente adatta in moltissimi casi si è dimostrata la carta da filtro. Con questo sistema si sono separati amminoacidi, proteine, nucleotidi, alcaloidi, basi organiche, ecc. Tale tecnica è stata anche estesa a sostanze prive di carica elettrica, purché però capaci di formare, ad es. col tampone, dei complessi dotati di una forte conduttività. Talora queste tecniche elettrocromatografiche sono state adattate, con buon successo, anche a determinazioni quantitative.
Nel I952 il Martin e A. T. James effettuarono la separazione cromatografica di sostanze volatili mediante separazione realizzata fra una fase gassosa mobile ed una liquida stazionaria, fissata ad es. su di un supporto solido inerte: ciò si realizza distribuendo un liquido ad alto punto di ebollizione, sotto forma di velo sottile, su di una massa di un solido inerte ad elevato sviluppo di superficie (farina fossile e simili) contenuto entro una lunga e sottile canna; le sostanze da separare si introducono in piccolissima quantità ad una estremità della canna e dalla stessa parte si immette poi un gas permanente (azoto, idrogeno o elio) che sposta i varî componenti della miscela in funzione della diversa tensione di vapore della loro soluzione nel liquido stazionario, cioè della loro volatilità. Perciò nella corrente di gas effluente i varî componenti della miscela da analizzare usciranno uno dopo l'altro in funzione della loro volatilità, e, se le condizioni di lavoro sono ben standardizzate, il fenomeno sarà perfettamente ripetibile. In particolare, usando sempre la stessa massa di riempimento della colonna portante, la stessa quantità della stessa fase liquida stazionaria, cioè usando sempre una stessa colonna, occorrerà che per tutta la durata della operazione la velocità con cui circola il gas sia sempre mantenuta costante e così pure la temperatura della colonna, ciò che si ottiene mediante l'uso di manostati, di flussimetri e mediante un'accurata termostatazione. Naturalmente occorre poter poi determinare nel gas uscente la natura e la quantità dei vapori delle singole sostanze eluite. Le prime esperienze di Martin e James furono fatte separando miscele di sostanze basiche o acide, quali miscugli di ammine alifatiche, aromatiche e di acidi alifatici. In questi casi il principio del metodo era quello di far passare il gas in una cella di titolazione automatica dove era contenuto un solvente con un indicatore. Appena alla cella giungevano gli acidi o le basi, l'indicatore cambiava colore; allora una sensibile cella fotoelettrica azionava, attraverso un amplificatore, una buretta che lasciava cadere tanto acido o tanto alcali, segnando contemporaneamente su di un diagramma i quantitativi di acido o di base occorrenti per la neutralizzazione. Il diagramma finale risultava formato da una serie di tratti rettilinei e da una serie di gradini, corrispondenti questi alla quantità di ciascuno degli acidi o basi presenti nell'effluente e i primi alle frazioni dell'effluente costituito solo dal gas inerte.
L'applicabilità del metodo non si limita al caso di sostanze facilmente titolabili ma è stato esteso anche a quelle neutre facendo uso, ad es., di due flussi gassosi perfettamente uguali, dei quali solo uno attraversa la sostanza in esame e si carica quindi dei varî componenti, mentre l'altro costituisce il gas di riferimento. Le piccole percentuali di componenti asportate dalla corrente gassosa si possono rivelare basandosi sulla misura della differenza di conduttività termica fra gas di riferimento e gas contenente i componenti eluiti. Si può evitare l'impiego della corrente di riferimento usando come gas di trascinamento un gas raro (argo) che all'uscita della colonna è fatto passare in una camera ove è posta una sorgente di radiazioni ionizzanti; i composti organici trascinati si ionizzano facilmente e dopo opportune amplificazioni si possono registrare le variazioni indotte dalla presenza di molecole organiche nella corrente di ionizzazione dovuta all'argo.
Il rapido evolversi di questa nuova tecnica ed il suo continuo espandersi in molteplici forme testimoniano l'interesse suscitato nei varî campi della scienza. Vedi tav. f. t.
Bibl.: E. Lederer e M. Lederer, Chromatography, Amsterdam 1957; M. Lederer, Chromatographic review, Amsterdam 1959 (vol. I), 1960 (vol. II); E. Bayer, Gaschromatographie, Berlino 1959.