SORTE, Cristoforo
‒ Nacque a Verona tra il 1506 e il 1510 da Giovanni Antonio, ingegnere. Non è noto l’atto di battesimo: la prima data si ricava dal fatto che egli stesso scrisse di «essere vecchio di ottantotto anni» nella seconda edizione delle Osservazioni nella pittura stampata nel 1594, mentre la seconda deriva da una registrazione anagrafica del 1544, quando nella contrada di San Paolo a Verona fu annotato in età di 34 anni (la stessa età tuttavia è riportata anche in un estimo del 1545; Salgaro 2012a, p. 204). Come egli stesso ricorda nel Trattato dell’origine dei fiumi, trascorse parte della sua giovinezza a Trento, dove il padre fu chiamato a lavorare per Bernardo Cles: «mio padre buona memoria ha servito per suo ingeniero l’ill.mo monsignor Bernardo da Cles cardinale di Trento buona memoria da anni vinticinque fino alla sua morte» (p. 93). A Trento ricevette forse i primi rudimenti nella pittura, a contatto con gli artisti nordici specialisti di paesaggio. Il periodo trentino si protrasse probabilmente fino al 1539, anno della morte di Cles.
Sul finire dello stesso anno o con qualche millesimo di anticipo, verosimilmente grazie ai rapporti instaurati a Trento, e secondo Giuseppe Conforti (1988, p. 177) su raccomandazione di Cristoforo Madruzzo, Sorte venne chiamato a Mantova, dove proseguì la sua carriera di pittore. Risultando «provisionato dell’eccellentissimo sig. Federico Gonzaga duca di Mantova» (Sorte, 1580, p. 16), venne incaricato di dipingere autonomamente una stanza in palazzo Te, individuata da Amedeo Belluzzi (in Giulio Romano, 1989, p. 387) nella zona della Rustica. Si tratta di anni cruciali nei quali Sorte entrò in contatto con Giulio Romano e la cerchia di artisti che gravitavano attorno a lui.
Rientrato a Verona, ancora memore dell’arte fiamminga, a seguito del rogo avvenuto il 22 gennaio 1541 dipinse un perduto Incendio di Palazzo della Ragione a Verona (Sorte, 1580, pp. 11 s.; Sandri, 1944). Negli anni successivi, secondo una plausibile ipotesi di Alessandra Zamperini (2012, pp. 432-437), si affiancò alla bottega pittorica di Francesco Badile, specializzandosi gradualmente nella cartografia. Nel 1543 figura in un documento assieme al pittore Niccolò Crollalanza, mentre nel 1544 era presente in qualità di testimone come «pictore de Sancta Maria in Organo» al testamento di Francesco Badile (p. 436). Lo stesso anno nella già citata anagrafe veronese di San Paolo veniva qualificato come «pictor», professione che svolgeva, stando alla registrazione nell’estimo, anche l’anno successivo. Il 29 maggio 1549 si trovava a Brescia, dove Giulio Campi – «pittore eccellentissimo […] e grandissimo amico» (Sorte, 1594, p. 295) – firmò una procura in suo favore (Salgaro, 2012a, pp. 215 s.). Sempre a Brescia il capitano Marino di Cavalli gli affidò il compito di eseguire una perduta mappa del territorio intorno alla città. Forse al 1554 risale la medaglia, anonima e di controversa datazione (Id, 2012b; Zavatta, 2017, pp. 101, 109 s., nota 46), dove è dichiarato «pictor et chorographus».
A partire da questi anni si intensificano le mansioni ingegneristiche e cartografiche: nel febbraio del 1556 Lorenzo Priuli gli commissionò un primo studio sulla possibilità di irrigare la campagna di Verona (Salgaro, 2012c), progetto che lo impegnò in più fasi e che fu motivo di contenziosi con alcuni colleghi, specialmente Antonio Glisenti e Teodoro da Monte. Nello stesso anno venne istituita la magistratura sopra i Beni Inculti, e Sorte, raccomandato tra i migliori cartografi da Domenico Gradenigo podestà di Brescia (Sorte, 1593, pp. 17 s.), iniziò una duratura collaborazione con la nuova istituzione, vantando il ruolo di «primo perito ordinario» (Vantini, 2012, p. 291); fu impegnato in terraferma per molti anni (per un regesto delle località rilevate: Salgaro, 2012a, pp. 223 s.). Tra il 1557 e il 1558 si impegnò nella realizzazione di una carta del Tirolo, consegnata nel 1568. Nel 1560 dedicò a Sforza Pallavicino il proemio del suo Trattato dell’origine dei fiumi conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia. Già dai primi anni nella mansione di perito allacciò una serie considerevole di rapporti con la committenza palladiana: nel 1558 lavorò a istanza di Marcantonio Serego, nel 1561 era a Marocco su richiesta di Leonardo Mocenigo, e la professione contribuì ad allargare i suoi orizzonti e a metterlo in contatto con la nobiltà non solo veronese, ma anche vicentina (Trevisan, 2012) e veneziana.
Tra il 1560 e il 1562 fu a Fumane e lavorò per i Della Torre (Brugnoli, 2013): qui realizzò il disegno della villa turriana reso noto da Maria Simonetta Tisato (1976, pp. 45-47) ed è stato recentemente ipotizzato il suo coinvolgimento nella progettazione del giardino e dei sistemi idraulici (Zavatta, 2017). Nello stesso 1562 rilevò per Giambattista della Torre il sito del palazzo palladiano ai portoni della Brà a Verona, documento pubblicato da Giuseppe Turrini (1941) e correlato con un precedente foglio di studio dell’Archivio di Stato di Venezia individuato da Conforti (1992, p. 173).
Nel settimo decennio il suo ruolo di perito e ingegnere fu ai vertici, e presso gli archivi di Venezia e Verona sono attestate decine di mappe, spesso connotate da una straordinaria perizia disegnativa. Nelle sue carte risulta in molti casi un particolare interesse per i giardini, che lo ha portato a essere definito da Lionello Puppi (2006 e 2018) «giardiniere di Palladio»; oltre al succitato caso di Fumane è stato ipotizzato il suo coinvolgimento progettuale per il giardino della villa palladiana di Santa Sofia (p. 56). Manuela Morresi (1986; Ead., 1988) ha inoltre documentato un intervento di Sorte per la costruzione di grotte e fontane a villa Porto Colleoni a Thiene tra il 1580 e il 1581. Le implicazioni aristoteliche delle sue teorie, espresse nel trattato sull’origine dei fiumi, e la presenza di figure mitologiche o simboliche vòlte a sostenere la sua idea hanno recentemente consentito di mettere in connessione i suoi apparati per giardini, in particolare quelli di Fumane e Thiene, con analoghe soluzioni adottate nei più importanti parchi dell’Italia centrale, da Tivoli a Bomarzo (Zavatta, 2017), dove già Maurizio Calvesi (1998) aveva individuato singolari coincidenze con alcuni giardini veronesi.
Il progredire nella professione lo portò ad assumere anche commissioni pubbliche con competenze idrauliche, cartografiche e militari, come la livellazione di Valeggio (1565), la commissione per una carta del dominio di terraferma (1565), rilevamenti a Vicenza (1566), un parere sulla fortezza di Legnago (1567), un nuovo progetto per la bonifica della campagna di Verona (Salgaro, 2012d). Entrò inoltre in polemica col collega Francesco Malacreda, con il quale aveva questionato anche a Legnago, sulle soluzioni da attuarsi intorno alle mura di Verona nel 1574-75 (Conforti, 1987).
Nel 1566 fu testimone in un processo di eresia a Venezia (Franzoni, 1981), un frangente nel quale mostrò il lato competitivo del suo carattere, che lo portò alcuni anni dopo a un incarico conferitogli dal podestà di Bergamo per una perizia sulla livellazione del Brembo: nell’occasione espresse critiche sull’operato del collega Dalli Pontoni. Nello stesso anno rinunciò alla carica di perito ordinario rifiutando di trasferirsi nella Serenissima: «per molti miei negocij non venni a stanciar a Venetia» (Sorte, 1593, p. 86). Sempre nel territorio tra Bergamo e Brescia fu incaricato nel 1569 di risolvere la contesa tra i confini di Scalve e Borno, lavoro che ricevette le critiche di Silvio Belli nel 1571 e Giovanni Antonio Rusconi nel 1572 (Tisato, 2012).
La rinuncia alla carica di perito ordinario allargò per certi aspetti i confini delle sue attività: nel 1571 progettò l’allestimento degli apparati per celebrare il passaggio dei principi d’Austria a Bussolengo, e nel 1572 nell’estimo di San Vitale a Verona fu registrato, come notò Tisato (1978, p. 13), con la qualifica di «architectus». In un codice manoscritto (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori sopraintendenti alla camera dei confini, Atti, b. 262), oltre alle bozze per le mappe risultano effettivamente molti appunti, ancorché assai sommari, con piante e facciate di palazzi o case di campagna, tra i quali una planimetria di villa Mocenigo a Marrocco (Conforti, 2012, p. 357), ritenuta da Howard Burns (1975) un autografo di Palladio inserito tra le carte di Sorte.
Nel 1574 propose un nuovo progetto per l’irrigazione della campagna di Verona, per il quale tuttavia faticò a trovare i finanziamenti dopo il disimpegno di Pio Turco. Imputò il fallimento a una vendetta di Dalli Pontoni per il diverbio del 1569: il collega, a detta di Sorte, scrisse una lettera ai magistrati, «la quale li ha fatto conoser la sua malignità et ognorantia di alcune opposizione che lui metteva» (Zavatta, 2012, p. 450). Anche rivolgendosi ai Serego, non ottenne tuttavia lo sperato successo.
Il rovinoso incendio di palazzo ducale a Venezia nel 1577 fu l’occasione per un rilancio nella città lagunare. In quello stesso anno cercò di subentrare al rivale Silvio Belli nel ruolo di proto ai Savi, ma non riuscì nell’intento.
Nel 1578 fu coinvolto assieme ad altri architetti nella perizia dei danni in vista della ricostruzione di palazzo ducale, negando fosse conveniente procedere a un restauro e parteggiando, con Palladio e Marcantonio Barbaro, per l’idea della riedificazione ex novo (Conforti, 2012, pp. 360 s.). Contestualmente realizzò il disegno per il soffitto del Senato conservato a Londra (Victoria & Albert Museum, inv. E.509-1937), per il quale progettò anche fregio e partimenti; Wolfgang Wolters (1968, pp. 276-278) ha proposto di attribuire a Sorte anche i soffitti delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio. Nel 1581 fu chiamato a rilevare il sito delle Procuratie Nuove. Durante questo periodo di intensa attività nel ruolo di architetto, nel 1580 diede alle stampe a Venezia per l’editore Zenaro le Osservazioni nella pittura (Molteni, 2012).
Il 27 luglio 1578 gli venne commissionata una grande corografia di tutti i territori della Serenissima Repubblica da collocarsi a palazzo ducale: «mi hanno dato commissione ch’io faccia il disegno della corografia di tutto lo stato di Terra ferma […] la qual corografia si doveva far per ponerla nel luogo di Pregadi dalla parte verso il Collegio et Relogio» (Sorte, 1593, p. 78); nel 1585 si impegnò a consegnare quattro tavole in un solo anno, ma in realtà portò a termine la corografia del Friuli e quella del territorio veronese e vicentino tra il 1590 e il 1591, terminando solo nel 1594 la carta del territorio padovano.
Nel 1583 venne riammesso, in deroga ovvero in soprannumero, nel ruolo di perito ordinario presso la magistratura dei Beni Inculti. L’attività di rilievo speditivo riprese con un’intensità sorprendente, considerata la sua età, almeno fino al 1593, quando firmò la sua ultima deposizione, mentre alcune sue mappe vennero ultimate dal collaboratore e allievo Ottavio Fabbri. In questo frangente, e anche in precedenza, Sorte collaborò con quasi tutti i principali «inzegneri» veneti (per un panorama sulle sue collaborazioni: Zavatta, 2014, p. 304).
Nel 1588 presentò i suoi pareri sui quesiti postigli circa i progetti realtini, esprimendo critiche al disegno di Antonio da Ponte e dimostrando ancora una volta una particolare vicinanza con gli esponenti filo-palladiani (Calabi - Morachiello, 1987), in particolare con Marcantonio Barbaro. Sostenne quindi, insieme a Vincenzo Scamozzi, l’idea del ponte con tre arcate progettato da Palladio. Abbandonata la cartografia, ormai ultraottantenne dedicò gli ultimi anni a progetti editoriali. Nel 1593 pubblicò nella stamperia veronese di Girolamo Discepolo il Modo di irrigare la campagna di Verona e d’introdur più navigationi per lo corpo del felicissimo Stato di Venetia, in aperta polemica con il rivale Antonio Glisenti detto il Magro (Salgaro, 2012d, pp. 388-392), il quale diede alle stampe l’anno successivo una Risposta di Antonio Glisenti al modo d’irrigare la campagna di Verona, d’introdurre più navigationi per lo corpo del felicissimo Stato di Venetia, di m. Chrisoforo Sorte. Nel 1594 curò la seconda edizione delle Osservazioni nella pittura con l’aggiunta di una cronichetta sulle origini di Verona dedicata ad Agostino Giusti, proprietario dell’omonimo e celebre giardino veronese. Dello stesso anno è il volume Per la magnifica città di Verona sopra il trattato ultimo del magnifico signor Theodoro da Monte, stampato a Venezia presso Rampazzetto, nel quale ribatté ancora una volta alle controdeduzioni dei rivali, in particolare Teodoro da Monte (ibid., pp. 395-403). L’ultima parte della sua vita fu dunque dedicata alla teorizzazione di quanto realizzato o anche solo progettato nel corso della sua attività di pittore e ingegnere (Volpato, 2012), spesso in polemica con i rivali.
Non si hanno più notizie su Sorte dopo il 1594; non sono noti il testamento e la data certa della sua morte.
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