MAMELI (dei Mannelli), Cristoforo
Nacque il 5 febbr. 1795 a Lanusei (oggi in provincia di Nuoro), da Giovanni Antonio Basilio, appartenente a una famiglia della piccola nobiltà isolana, e da Monserrata Pisano. Compì i suoi studi prima al collegio dei nobili e poi all'Università di Cagliari, dove si laureò in giurisprudenza nel 1817, raggiungendo in pochi anni una posizione di rilievo tra i professionisti della città sarda per la sua specializzazione in diritto ecclesiastico, che gli consentì di divenire assessore della curia vescovile cittadina. Si aprì così per lui la strada per l'accesso alla pubblica amministrazione: tra il 1841 e il 1847 esercitò le funzioni di vicario e sovrintendente generale di Politica e Polizia; infine, nel 1848 venne nominato presidente del consiglio universitario di Cagliari.
Intanto, nella sua qualità di esperto di diritto, il M. era divenuto membro, e poi vicepresidente, della R. Società agraria ed economica, un'accademia agricola fondata nel 1804 per "studiare e promuovere quegli interventi che potessero giovare allo sviluppo dell'agricoltura isolana" (Accardo, p. 15); in primo piano, già dalla fondazione della società, c'era il problema della difesa degli interessi della Sardegna nel non facile rapporto con il governo di Torino, che il M. avvertì come essenziale per lo sviluppo dell'economia regionale.
Tanto era da lui sentita la questione della soggezione degli interessi della Sardegna al governo centrale che, nel 1840, pubblicò negli Annali di giurisprudenza sarda (da lui fondati nel 1838) un articolo di rivendicazione dei privilegi e diritti della Chiesa cagliaritana nel settore delle opere pie: la sua tesi fu però giudicata in contrasto con le prerogative regie, cosa che determinò il sequestro della pubblicazione.
Nella seconda metà degli anni Quaranta, in coincidenza con l'inizio della politica riformatrice della monarchia sarda, anche a Cagliari si ebbero le prime manifestazioni di liberalismo, incoraggiate dalla diffusione della ideologia giobertiana e dai suoi contenuti indipendentistici. Prese avvio da qui un rapporto di collaborazione tra borghesia isolana e potere monarchico, e il M. ne fu uno dei protagonisti quando, come esponente di punta del ceto medio cittadino, il 24 nov. 1847 fu chiamato a far parte della commissione incaricata di portare a Carlo Alberto i voti che esprimevano il sostegno della popolazione sarda alla sua politica di modernizzazione e l'auspicio che anche all'isola, integrandola a pieno titolo nel Regno, si applicassero le riforme messe in atto in Piemonte. La "fusione", come fu definito il regime di pieno inserimento della Sardegna nel Regno, fu sancita il 20 dicembre, e il ruolo che vi aveva avuto il M., non privo di qualche punta polemica verso la nobiltà sarda più conservatrice, diede i suoi frutti quando il 26 giugno 1848, nelle prime elezioni per il Parlamento subalpino, egli risultò eletto, oltre che nel III collegio di Cagliari per il quale poi optò, anche a Lanusei e ad Alghero. Da allora, e fino alla V legislatura (1854) fu sempre confermato alla Camera, l'ultima volta in rappresentanza di Lanusei.
Le prime esperienze da deputato lo misero in particolare evidenza come abile seppure prolisso oratore. Di conseguenza, alla formazione del primo governo dopo l'abdicazione di Carlo Alberto, il presidente incaricato G. de Launay, che del M. aveva apprezzato la profonda preparazione giuridica durante un incontro in Sardegna, gli affidò il ministero della Pubblica Istruzione (27 marzo 1849). Conservando tale incarico anche con il successivo governo d'Azeglio, il M. restò al potere fino al 10 nov. 1850: un periodo di venti mesi nel corso del quale lo Stato sabaudo, pur chiuso in una politica di pura salvaguardia delle istituzioni rappresentative, cercò di migliorare i suoi ordinamenti interni nei comparti che meglio ne avrebbero segnalato la volontà di svecchiarsi; il M. in particolare prese alcuni provvedimenti intesi a favorire la diffusione dell'istruzione in Sardegna e a mettere ordine nell'insegnamento primario e secondario (riforma degli esami di magistero; disposizioni organiche per le scuole secondarie; apertura di scuole serali; istituzione di due cattedre di commercio nel convitto nazionale di Genova). In genere, la sua attività fu orientata a tentare di conservare alla Chiesa un ruolo di primo piano nell'insegnamento: per farlo, dovette resistere alle pressioni della Sinistra, ma non mancò di qualche apertura verso le istanze di rinnovamento e, per esempio, fu lui a proporre e fare adottare l'istituzione di una cattedra di diritto internazionale nell'ateneo torinese. Ciò, tuttavia, non modificò di molto il suo profilo politico, delineato con maggior precisione dalla sua opposizione al progetto di legge (presentato il 27 sett. 1850) che sopprimeva le decime alle diocesi. Nel complesso la linea da lui seguita non tardò a rivelarsi incompatibile con le direttive del governo in fatto di secolarizzazione.
A dire di Cavour, fu una divergenza con i colleghi del ministero su una "question électorale de peu d'importance" a spingere alle dimissioni un ministro che come il M. "était devenu un véritable embarras" (C. Cavour, Epistolario, VII, 1850, a cura di R. Roccia, Firenze 1982, pp. 264 s.); in realtà, il licenziamento del M. era appunto la condizione che Cavour - considerandolo troppo disposto a subire le pressioni della Chiesa - aveva posto per il proprio ingresso nel governo come ministro dell'Agricoltura.
Per compensare il M. della brusca uscita di scena e valorizzarne il ruolo di giureconsulto, Vittorio Emanuele II, che già aveva in lui un consulente giuridico ufficioso, lo designò a far parte del Consiglio di Stato (11 nov. 1850). Il 26 nov. 1854 il M. fu nominato senatore per la V categoria, quella degli ex ministri: considerato uno fra i maggiori giuristi e molto ammirato per la sua "erudizione immensa nel diritto canonico" (Diario politico di Margherita Provana di Collegno 1852-1856, a cura di A. Malvezzi, Milano 1926, p. 256), il M. fu inserito in un gran numero di commissioni per l'esame di progetti di legge e, dopo l'Unità, per la stesura dei nuovi codici, distinguendosi soprattutto per le posizioni critiche espresse nella discussione di quelle norme di stampo liberale che avessero per oggetto la legislazione ecclesiastica. In questo settore, malgrado i collaudati legami con le diocesi sarde, egli, dopo essersi opposto alla legge sul matrimonio civile (opposizione che avrebbe mantenuto anche nel 1865), cercò non di rado il compromesso, e quando, nel 1855, si discusse la legge sui conventi, si disse favorevole al principio, ma votò gli emendamenti della minoranza che puntavano comunque a conservare un ruolo alla Chiesa nel campo assistenziale e caritativo.
Analogamente, quando si giunse alla fase finale della questione romana, il M., pur accettando in linea di principio la fine del potere temporale, prese nettamente posizione contro il trasferimento della capitale a Roma, atto che giudicava inaccettabile perché imposto al Papato con una vera lesione del diritto internazionale.
L'opposizione della Sinistra non apprezzò mai molto una certa attitudine del M. alle oscillazioni e ai rinvii, quale quella che aveva manifestato nella IX legislatura quando si era discussa la proroga della legge sugli ademprivi (una forma, in uso in Sardegna, di godimento collettivo gratuito della terra): nella tornata dell'8 maggio 1866, pur sostenendo che i suoi conterranei sapevano "bene apprezzare i vantaggi della libera proprietà", il M. aveva proposto che si dilazionasse di sei mesi il termine per l'applicazione della legge. Ma fu soprattutto la sua difesa degli interessi della Chiesa - per esempio, con un lungo discorso contro l'abolizione degli ordini religiosi - a renderlo inviso alla Sinistra: in particolare al suo conterraneo G. Asproni, che un tempo lo aveva definito "clericale per istinto e per antichi affetti" (Asproni, I, p. 350), e che nel 1861 lo sospettò di voler favorire in qualche modo la cessione della Sardegna alla Francia.
Aveva intanto ricevuto altri importanti incarichi istituzionali: nel 1858 era infatti stato nominato membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, dove rimase fino all'agosto del 1860; e il 18 dic. 1859 era stato promosso al grado di presidente di sezione del Consiglio di Stato. Né gli mancarono le onorificenze, prime tra tutte quelle dell'Ordine Mauriziano, di cui fu gran cordone dal 3 ott. 1872, e quelle dell'Ordine della Corona d'Italia, in cui il 9 febbr. 1870 era stato promosso grand'ufficiale.
Il M. morì a Roma il 18 ott. 1872.
Fonti e Bibl.: Atti del Parlamento subalpino, poi del Regno d'Italia, Camera, legislature I-V, e Senato, legislature V-XI, Discussioni (per la consultazione si vedano gli indici nominativi posti nell'ultimo volume delle singole legislature); L'Opinione, 19 e 20 ott. 1872; A. Romizi, Storia del ministero della Pubblica Istruzione, Milano 1902, pp. 90-110; S. Jacini, La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, Bari 1938, ad ind.; A. Moscati, I ministri del Piemonte dopo Novara (1849-60), Napoli 1952, pp. 37-39; Storia del Parlamento italiano, I, Le Assemblee elettive del '48, a cura di G. Sardo, Palermo 1963, pp. 297 s.; Storia del Parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, II, Palermo 1964, pp. 201 s., 236, 313, 324 s., 417; G. Asproni, Diario politico, 1855-1876, I-III, Milano 1974-80, ad indices; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II, (1842-1854), 1, Roma-Bari 1977, ad ind.; La Sardegna, a cura di M. Brigaglia, Cagliari 1988, p. 374; A. Accardo, Cagliari, Roma-Bari 1996, ad ind.; Storia d'Italia (Einaudi), Le Regioni dall'Unità ad oggi, La Sardegna, a cura di L. Berlinguer - A. Mattone, Torino 1998, pp. 94 s.; Repertorio biografico dei senatori dell'Italia liberale. Il Senato subalpino, a cura di F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, Napoli 2005, pp. 589-591.