Landino, Cristoforo
Umanista fiorentino (1424 - 1498), autore di un commento della Commedia che per la sua importanza e per la sua fortuna editoriale prevale su ogni altro contributo agli studi danteschi della cultura italiana del Rinascimento. Il commento, apparso a stampa in Firenze il 30 agosto 1481, era stato steso dal L. con mirabile rapidità immediatamente prima, come dimostrano i riferimenti precisi al 1480 (If I) e al 1481 (If XXIV e XXVIII, Pd XXV), che non possono credersi aggiunti a un testo preesistente. Opera senile dunque, ma di un uomo che aveva serbato intatte le sue energie e che aveva differito lo sforzo conclusivo ai suoi tardi anni. Infatti il commento ha radici che affondano nella prima, giovanile esperienza letteraria del Landino.
Già nella famiglia sua, illustrata nel tardo Trecento da Francesco Landini musicista e poeta, è probabile che egli fin dalla fanciullezza s'iniziasse al culto della tradizione poetica toscana e di D. in ispecie. Indi era passato adolescente nella cerchia degli Alberti, e nel grande Leon Battista aveva riconosciuto il suo maestro. Onde, a 17 anni, la sua prima apparizione in pubblico, accanto al patrono Francesco d'Altobianco e al maestro L.B. Alberti, nel Certame Coronario. In questo ambiente la nuova disciplina umanistica non escludeva la tradizione volgare, anzi mirava risolutamente a un accordo con quella tradizione. Si spiega che il ventenne L. scegliesse la via nuova non la vecchia, la poesia latina non quella volgare, ma anche si spiega che nella sua impresa, rappresentata dalla Xandra, raccolta di carmi composti fra il 1443 e il 1459, pur affermando la sua scelta (Il 4 " Tusce carmina nulla cano "), attingesse largamente e si riferisse con esplicita devozione alla letteratura volgare del Trecento, al Petrarca e a D. in ispecie. Già nella composizione di questa raccolta di carmi è insistente il motivo nazionalistico del primato letterario e civile di Firenze. Su questa linea nazionalistica, avvalorata di lì a qualche anno dall'iniziativa insieme politica e letteraria del giovane Lorenzo de' Medici, allievo del L., ancora sta il commento dantesco del 1481. Ma fra i carmi della Xandra e il commento troppa è la distanza, non soltanto cronologica, perché si possa supporre una pacifica, graduale maturazione.
Abile versificatore, il L. non aveva però stoffa di poeta. Ebbe il merito di non insistere su quella via, contentandosi della cattedra nello Studio di Firenze che, grazie alla poesia e non senza forti opposizioni, aveva conseguito nel 1458. Era suo compito leggere testi latini, ma ci restano le prolusioni di due corsi che egli tenne sulle Rime del Petrarca e sulla Commedia. Mancano purtroppo elementi per datare i due corsi: è improbabile che fossero tenuti nei primi anni dell'insegnamento ufficiale; è probabile che il corso sul Petrarca precedesse quello su D.; e che il primo fosse tenuto entro il 1471, non oltre, essendo nella prolusione nominato Leonardo Dati come vivo. La prolusione dantesca non basta da sola a un giudizio sulla prima interpretazione che il L. fece della Commedia. Ed è chiaro che, come il corso petrarchesco, così quello dantesco avrebbe potuto esaurire la sua funzione nell'ambito della scuola, e che imparagonabile resta un corso universitario con l'impresa, unica in quel secolo, di un commento destinato alla stampa e non soltanto dedicato, ma ufficialmente presentato alla Signoria di Firenze con un'orazione che il L. tenne all'atto della consegna e che anche fu stampata a parte. Maggior luce sull'itinerario del L. gettano le sue opere, De Anima e Disputationes Camaldulenses, entrambe, la seconda in ispecie, frequentemente citate nel commento dantesco. Da esse risulta che, abbandonata la poesia, il L. si era gradualmente convertito agli studi scientifici e filosofici e che, dopo un lungo periodo di silenzio, vicino ormai ai cinquant'anni, era finalmente giunto, per influsso diretto del suo amico Marsilio Ficino, alla prepotente rivelazione di una filosofica giustificazione della poesia, intesa come allegorico e mitologico travestimento della sapienza. Di questa conversione e rivelazione, che attraverso la filosofia consentiva il recupero della poesia, e perciò anche favoriva un interesse nuovo e più urgente per l'opera di D., testimonia l'opera maggiore del L., Disputationes Camaldulenses, rapidamente stesa dopo la morte di L.B. Alberti (aprile 1472) e non oltre l'inverno 1473-74. Qui, dopo aver discusso nei primi due libri della vita attiva e contemplativa e del sommo bene, il L. negli altri due sottopone l'Eneide allo stesso procedimento d'interpretazione allegorica normalmente usato per la Commedia. Il parallelismo diventa esplicito nel quarto libro, dove naturalmente sono rovesciati i termini, quasi che le allegorie di D. risultassero dalla lezione del maestro Virgilio e la scoperta delle allegorie virgiliane venisse a gettare nuova luce sul testo di D.; senza dubbio è qui il seme del commento dantesco. Non è però da credere che il seme dovesse a ogni modo svilupparsi in quella forma, né che si sviluppasse subito. Infatti il commento virgiliano del L. apparve solo nel 1488, preceduto e quasi imposto da quello dantesco e da quello oraziano immediatamente successivo (agosto 1482). È probabile che il L. fosse stimolato a un'impresa, che egli sentì e propose come d'interesse pubblico, dall'esaltazione patriottica suscitata in Firenze dalla congiura dei Pazzi e dalla conseguente guerra contro Roma e Napoli, e subordinatamente dalla pubblicazione a Milano nel 1478 della Commedia col vecchio commento di Iacopo della Lana bolognese (romagnolo, secondo il L., per un dispregio tradizionale che le note a If XXXIII illustrano) a cura del novarese Martino da Nebbia (Nidobeatus). A Firenze la Commedia ancora non era stata stampata, né era più stata autorevolmente commentata dopo la rinuncia e scomparsa del Boccaccio. L'esilio e le roventi invettive dell'autore, e il crescente successo dell'opera in tutta Italia, ultimamente confermato dalle stampe di Foligno, Venezia, Mantova, Napoli e Milano, favorivano nel clima polemico di quegli anni la presunzione di un distacco incolmabile dell'autore e dell'opera da Firenze. Di qui la reazione del L., intesa a rivendicare con D. e per D. la tradizione letteraria e civile di Firenze: onde la solenne e insieme risentita dedica ai Signori, la premessa al testo e commento di un'eccezionalmente lunga e in apparenza aberrante " Apologia nella quale si difende Danthe et Florentia da falsi calumniatori " e in cui, sulle orme remote di un Filippo Villani, s'illustrano i Fiorentini eccellenti in dottrina, eloquenza, musica, pittura e scultura, giurisprudenza, mercatura; finalmente, per maggior pregio della stampa, l'aggiunta di tavole disegnate da uno dei maggiori artisti contemporanei, Sandro Botticelli (v.). Significativa per contro, non però eccezionale, la noncuranza per il testo proprio della Commedia, che risulta non soltanto diverso nella stampa da quello che il L. aveva tenuto sott'occhio e presupponeva nel suo commento, ma anche deturpato da frequenti lacune e generalmente scorretto.
Nel commento il L. registra a volte le varianti lezioni di altri testi (per es. If III 31, IV 68, X 4, XIII 9, XX 3, XXIV 3 e 6; Pg I 133, XI 36, XVIII 68; Pd VII 4, VIII 124, XIV 103), e in breve le giustifica, ma è chiaro il suo disinteresse per la critica testuale. Spontaneo e sempre vivace è l'interesse del L. per la lingua; non naturalmente per i nodi già allora stretti o insolubili, dei quali, come per l'appunto delle questioni testuali, si sbrigava leggermente, tirando a indovinare e spropositando a volte in modo anche allora scandaloso. La testimonianza del L. vale anche per questi spropositi, dubbi e difficoltà, perché ci consente di misurare il processo d'invecchiamento linguistico subito dal testo di D. in poco più di un secolo. Ma la testimonianza soprattutto vale, all'opposto, per l'adattabilità del testo al linguaggio normale di Firenze nel tardo Quattrocento (indipendentemente da D., il commento del L. resta una miniera linguistica fra le più ricche e pure di quell'età).
Importanti anche sono, e non lontane da D., le spontanee reazioni, linguistiche e politiche insieme, del L. a ogni voce che non suoni fiorentina al suo orecchio (per dialetti toscani, cfr. If II 24, VII 30 e 120, Pg XXIV 55, Pd VII 31; per il romano If IV 33; per il romagnolo e bolognese If V 95, IX 133, XXVI 14; per i lombardismi If I 69, IX 18, XX 76, XXI 20, XXIII 7, XXXIV 97, Pg XXVII 119, XXIX 147, Pd XIX 137; per i gallicismi If IV 113, VII 111, X 135, XI 73, XXIII 95, Pg XV 97, Pd XIV 96). Alla vivacità dell'illustrazione linguistica, che non vien meno neppure là dove il linguaggio dantesco è più basso (dove non c'è rimedio, come in If XXVIII 27, soccorre l'allegoria), contribuisce e corrisponde l'apprezzamento, che distingue l'umanista L. dai suoi predecessori, dello stile di D., in ispecie della ovidiana, piuttosto che virgiliana, varietà, e della straordinaria evidenza e mobilità rappresentativa della Commedia.
Più stento e opaco resta l'apprezzamento del contenuto. Il L. ancora era, quanto i suoi predecessori, scolasticamente bene addestrato a intendere la dottrina di D.: forte in ispecie era, fino al limite dell'eterodossia, la sua preparazione astrologica. Ed era fin troppo incline a riconoscere ovunque e dischiudere il velo dell'allegoria. Ma con tutto ciò poco gli riusciva di mutare, a lume di buon senso, e pochissimo aggiungere a quanto leggeva nelle sue fonti, cioè nei commenti da lui spesso citati di Pietro, di Benvenuto e del Buti e in quello parziale del Boccaccio.
Passando dalla dottrina alla storia, alle persone e agli eventi che tanta parte hanno nella Commedia, il L. non soltanto si ritrovava disarmato ma anche, per il carattere estemporaneo e tendenzialmente moderno del suo commento, disinteressato e restio a imparare dalle fonti che aveva sotto mano. Il paragone col sanguigno commento di Benvenuto è schiacciante. Il disinteresse del L. si estendeva alle opere minori di D.: una volta (Pg VI) ricorda la Monarchia; una volta (Pg II) il Convivio; e la canzone Voi che 'ntendendo, oltre che in Pd VIII, è ricordata per If VII 74. Ma per quanto è della Vita Nuova e delle Rime, eccezion fatta per Pg XXIV 51, solo è ricordata la canzone Tre donne (Pg XXIV 104). Di contro, ed è paragone necessario, una quarantina almeno di citazioni petrarchesche. Per quanto è della letteratura predantesca, basti dire che il Guinizzelli è presentato come " nostro cittadino ", cioè fiorentino.
Per quanto è delle idee e sentimenti politici di D., il L. condivideva misuratamente la polemica antipapale, e rispettosamente ma risolutamente respingeva l'ideologia imperiale e cesarea, d'accordo in ciò con la tradizione repubblicana e umanistica di Firenze. Lo scopo del suo commento era di ristabilire un postumo ma pieno accordo fra D. e Firenze. Perciò al disinteresse per quel mondo ormai remoto si aggiungeva la tendenza a scartare o per lo meno attenuare i motivi di contrasto inestricabili da quel mondo. La stessa rievocazione dell'antica Firenze in Pd XVI si avviva nel commento del L. per i raffronti con la Firenze in cui egli viveva, per i richiami a conoscenti e amici suoi.
In quest'aderenza lieve e spesso fallace ma sempre animosa e schietta al presente, a un presente che, data l'ormai lunga esperienza di vita del L. abbracciava anche il primo e medio Quattrocento, accomunava il Salutati, il Bruni, l'Alberti, Antonio Manetti e il Ficino, e fuori di Firenze s. Bernardino e Biondo da Forlì e Sigismondo Malatesta, insomma nella presentazione cordiale, vivace, moderna della Commedia sta l'importanza storica del commento del Landino. Si spiega così anche il successo immediato che esso ebbe. Dal 1484 al 1497 fu ristampato cinque volte a Venezia e una a Brescia, né vi fu altra edizione della Commedia nello stesso periodo. Il commento era diventato inscindibile dal testo. Il nesso fu rotto dall'edizione aldina del 1502 curata dal Bembo, e la rottura fu confermata proprio a Firenze dall'edizione giuntina del 1506 curata dal Benivieni. Ma non esistendo altro commento, quello del L. fu ancora ristampato a Venezia cinque volte dal 1507 al 1536. Parve poi essere precipitato nell'oblio, ma a dargli il crollo non potevano bastare i commenti del Vellutello e più tardi del Daniello. Infatti un abile editore, il Sansovino, lo riesumò, intrecciandolo con quello del Vellutello, nel 1564, e questa edizione ebbe due ristampe, nel 1578 e nel 1596. L'ultimo crollo al commento del L. fu così dato, più di un secolo dopo la prima stampa, da quel rivolgimento linguistico, letterario e civile per cui la Commedia stessa durante il Seicento precipitò nell'oblio.
Bibl. - A.M. Bandini, Specimen literaturae florentine, Firenze 1748-1751; A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica, ibid. 1902; D. Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca S. Casciano 1910; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933; P.O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, Firenze 1937; E. Garin, La filosofia, Milano 1947; ID., Testi inediti e rari di C. Landino e F. Filelfo, Firenze 1949; ID., Prosatori latini del Quattrocento, Milano-Napoli 1952; ID., La letteratura degli umanisti, in Storia della letteratura italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, III, Milano 1966, 290-294, 350-351; M. Martelli, Studi laurenziani, Firenze 1965; e gli ultimi ma fondamentali studi di R. Cardini, in " Rinascimento " XVIII (1967) 177-234 e in " Rass. Lett. Ital. " LXXII (1968) 267-269; LXXIV (1970) 273-297.
Del L., oltre ai testi editi o ristampati dal Garin e dal Cardini, sono stati editi i libri De Nobilitate animae da A. Paoli e G. Gentile, Pisa 1915-1917, e Carmina omnia da A. Perosa, Firenze 1939, edizione fondamentale.
Per il commento dantesco: Batines, Bibliografia; Mambelli, Annali; Mostra di codici ed edizioni dantesche, Firenze 1965, n. 227. Si vedano inoltre: M. Barbi, Della fortuna di D. nel sec. XVI, Pisa 1890, 150-179; J. Camus, in " Giorn. stor. " XXXVII (1901) 73-74; V. Rossi, Scritti di critica letteraria, Firenze 1930, I 330-332; C. Dionisotti, D. nel Quattrocento, in Atti del congresso internaz. di studi danteschi, I, ibid. 1965, 360-378. Per l'orazione dedicatoria del commento e per la prolusione dantesca: M. Lentzen, in " Romanische Forschungen " LXXX (1968) 530-539, LXXXI (1969) 60-88 (ma cfr. R. Cardini, in " Rass. Lett. Ital. " LXXIV [1970] 274 n.). Per il rapporto Virgilio-D. nelle Disputationes e nei commenti del L.: V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano, I, Bologna 1921, 194-202. Notevoli riferimenti a D., posteriori al commento, nel proemio del commento oraziano del L. e nel proemio all'Eneide in quello virgiliano. Fra i due commenti s'inseriscono l'epitafio metrico e una lettera a B. Bembo per il restauro della tomba di D. a Ravenna: entrambi in Carmina, ediz. Perosa. L'augurio che le ossa di D. fossero restituite a Firenze nel commento a If XXVII: per la questione nell'età del L., G. Zippel, in Il Trentino a D.A., Trento 1896, 55-71.