CARADOSSO, Cristoforo Foppa
Orafo e medaglista, nato a Mondonico, tra Lecco e Como, dall'orefice Gian Maffeo Foppa di Milano verso l'anno 1452, morto poco prima dell'aprile 1527. Dal nome del luogo di nascita si chiamò Caradosso del Mundo. Sino al 1480, non si trovano notizie di lui; ma si suppone che l'orafo, così erudito nelle forme classiche, fosse a Roma nel 1477, e desse compimento alle porte in bronzo del reliquiario delle Catene di San Pietro, sotto l'altare in mezzo al coro di San Pietro in Vincoli, con le armi di Sisto IV e del card. Giuliano della Rovere. Il fogliame, che adorna i riquadri delle portelle, con le borchie a foggia di ghiande, ornamento allusivo alla quercia dello stemma dei Della Rovere, si ritrova ripetuto nella porta in bronzo di San Giovanni Laterano, probabile opera del Caradosso, del tempo stesso delle portelle di San Pietro in Vincoli. In queste si mostra l'orafo che s'ispira ai rilievi dell'arco trionfale di Marc'Aurelio, e che, invasato dall'antichità classica, orna gli edifici di statuette dei Dioscuri, fa reggere da sfingi la cattedra imperiale, richiama di continuo e sparge nell'opera classici ricordi. Due busti entro tondi, nella scena di San Pietro condotto in carcere, identici a un altro d'uno stipo generalmente attribuito al Caradosso, del quale si hanno molti esemplari in bronzo nei musei, aggiungono probabilità all'attribuzione a lui delle portelle, ov'è tanto ritmo di atteggiamenti e di spazî da annunciare il classico medaglista.
Ai servizî del duca di Milano sin dal 1480, l'orafo venne incaricato d'acquisti d'antichità e di pietre incise; nel 1490, chiamò a Milano Francesco di Giorgio Martini di Siena, perché desse consigli alla fabbrica del duomo sull'elevazione del tiburio; e nell'anno stesso, fu delegato da Ludovico il Moro a portare insieme con altri un Bacco e donativi a Mattia Corvino; nel 1493, visitò Ferrara; nel 1495, Parma, Firenze, Viterbo e Roma; nel 1496 e nel 1497, Piacenza e Venezia. Nel 1503 era a Milano, ove gli fu chiesto consiglio circa gli abbozzi d'una porta del duomo; nel 1504 e nell'anno seguente stette in rapporto con Isabella d'Este, per venderle un vaso composto di quarantanove pezzi di cristallo legati in argento dorato, smaltato e intagliato, e un calamaio d'argento, che lo scultore Gian Cristoforo Romano dichiarava "il più bel calamaro che sia a l'età nostra", forse lo stesso esaltato da Ambrogio Leone da Nola come se, dopo quello, non fosse possibile andar oltre per finezza d'arte. Il medico nolano ne descrive le parti, con il Ratto di Ganimede, la Pugna dei Centauri coi Lapiti, Ercole che soffoca Caco, Ercole che squarcia il leone nemeo; e dice che dai bassorilievi si ricavarono stampe, così che "per totam Italiam opus summa cum admiratione spectatum est". Rimangono alcune stampe in bronzo, o placchette, descritte dal Molinier: il Ratto di Ganimede (collezione Dreyfuss), la Pugna dei Centauri con i Lapiti (collezione Dreyfuss e Piot). Qui, sopra un fondo d'architettura ornata e lieve, si svolge incatenato nella lotta il gruppo dei combattenti; e tutto quel rotear di corpi muscolosi, erculei, s'accorda in ritmo mirabile con gli archi che festonano il fondo. Non solo qui nel Caradosso appare il medaglista perfetto, nella profonda misura della composizione, ma anche uno scultore degno di rivaleggiare con i grandi maestri fiorentini per la forma energetica del modellato: un vigore eroico dilata i corpi atletici nell'ansito della battaglia. Altre placchette con Sileno battuto dalle Baccanti e una cosiddetta Scena marittima sono tra i maggiori esempî dell'arte del Caradosso. In quest'ultima le due figure che si spogliano richiamano per energia plastica e spirito drammatico la grande arte di Luca Signorelli.
Nel 1505 l'orafo risiedette in Roma, ove fece monete e medaglie, una commemorativa di Donato Bramante, al tempo dei pontefici Giulio II, Leone X, Adriano VI, Clemente VII. Visitò nel 1510 Loreto, ove s'incontrò con Gian Cristoforo Romano, già da lui veduto a Milano, in casa di monsignor Francesco della Torre, e con Sabba da Castiglione, che scrisse: "il mio Caradosso, il qual otre la cognizione grande delle gioie, in lavorare di metallo, in oro et in argento, o di tutto, o di basso rilievo, all'età nostra è stato senza paro, come si può vedere nella città di Milano per un suo calamaro d'argento di basso rilievo, fatica d'anni ventisei, ma certo divina". Oltre Sabba da Castiglione anche Baldassare Castiglione l'ebbe in onore, e gli allogò per Federico Gonzaga un'impresa, forse per cappello. Pomponio Saurizio e Benvenuto Cellini largirono lodi all'orafo principe.
Bibl.: B. Cellini, Trattato dell'oreficeria, Firenze 1857; E. Piot, Les artistes milanais, in Cabinet de l'amateur, Parigi 1862-1863; M. Caffi, Arte antica lombarda, in Arch. lombardo, VII (1880); E. Müntz, L'Atelier monétaire de Rome, in Revue numismatique, II (1884), p. 313 segg.; id., L'orfèvrerie romaine, in Gaz. des beaux-arts, I (1883), pp. 411-24, 491-504; E. Molinier, Les plaquettes, I, Parigi 1886, p. 99 segg.; A. Venturi, Le primizie del Caradosso in Roma, in L'Arte, VI (1903), pp. 1-6.