CRISTIANESIMO
. Scopo del presente articolo non è ripetere, sia pure in breve, quanto intorno al dogma, al rito e all'organizzazione della Chiesa è detto altrove (v. chiesa e le voci dedicate alle singole chiese e sette cristiane, ai diversi rami della teologia, ecc.); bensì soltanto esporre obiettivamente alcuni problemi posti dallo sviluppo delle ricerche storiche nel corso del sec. XIX e del nostro, e le principali posizioni prese di fronte ad essi dalla critica indipendente di ogni tipo. Per la soluzione cattolica, v. gesù cristo.
Lo storicismo ha infatti, da una parte, indotto la scienza a considerare anche il cristianesimo come un fatto storico e, dall'altra, ha messo l'apologetica e la coscienza cristiana di fronte al compito di rivendicarne il carattere soprannaturale; da una parte, ha preteso che il cristianesimo venisse considerato alla stessa stregua delle altre religioni, come una tra le manifestazioni storiche del sentimento religioso, e dall'altra ha reso più che mai necessario affermare l'assoluta superiorità della religione cristiana, anzi il suo carattere di unica vera e legittima, per il fatto stesso della sua origine divina. In particolare, poi, gli storici si sono trovati di fronte al fatto, che il cristianesimo storico presenta una varietà di forme, ciascuna delle quali si afferma unica autentica depositaria e interprete della rivelazione compiuta da Gesù: agli storici incombeva il dovere di spiegarle tutte, mentre per contro nemmeno essi rimanevano (né forse potevano rimanere) insensibili a motivi confessionali. Anzi, questi stessi motivi si aggiungevano agli altri nel rendere sempre più vivo e attuale l'interesse per le origini del cristianesimo, alle quali i fondatori di sette hanno sempre affermato di voler fare ritorno. Ma la mentalità storicistica ha nello stesso tempo distolto lo scienziato dall'identificare senz'altro il cosiddetto "cristianesimo di Gesù" con quello praticato nel seno della sua particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in questo stesso senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione delle idee di tolleranza e di libertà religiosa. Onde la ricerca di un nucleo fondamentale di credenze e di concezioni religiose, comune a tutti i gruppi che si professano cristiani, e in cui consisterebbe quella che fu detta l'"essenza" del cristianesimo. In questa si cercarono le ragioni vere della superiorità della religione cristiana di fronte alle altre: la capacità cioè per il cristianesimo di soddisfare a tutte le più elevate esigenze della coscienza religiosa, insomma ciò che, secondo tali concezioni, faceva del cristianesimo la religione definitiva; sia che lo si considerasse semplicemente come un'ultima e insuperabile tappa nello svolgimento progressivo della religiosità umana, sia che si continuasse ad affermare che la differenza tra il cristianesimo e le altre religioni non è quantitativa, ma qualitativa, anzi è nell'essenza stessa di questa religione, unica vera e perciò da porre su un piano assolutamente diverso da tutte le altre, non già imperfette, ma false. Prescindiamo qui, come si vede, dal problema più generale che riguarda la religione (v.) stessa, inteso il termine nel suo senso più lato.
Non pochi, per estetismo, o per motivi politico-sentimentali (anticlericalismo, nazionalismo, persuasione di una superiorità naturale di una "razza" - in particolare la cosiddetta "indogermanica" - sulle altre), hanno creduto di poter affermare addirittura la superiorità sul cristianesimo del paganesimo antico, sia germanico, sia classico. Il cristianesimo fu ritenuto da parecchi la causa precipua della decadenza e della caduta dell'Impero romano e della rovina della civiltà classica e della cultura in genere, perita nell'"oscuro" o "tenebroso" Medioevo cristiano e tornata a fiorire con il Rinascimento, pagano nello spirito; taluno giunse ad esaltare, contro il protestantesimo, la Chiesa cattolica in quanto romana", cioè per quello che essa aveva ereditato da Roma antica, per quello che di pagano essa avrebbe, secondo costoro, assorbito. Ma l'esaltazione dell'anima umana "serena de l'Ilisso in riva e "intera e dritta ai lidi almi del Tebro" dipendeva anch'essa da una concezione particolare dell'essenza del cristianesimo, scorta nel detto (imperfettamente inteso) cupio dissolvi; identificato con un ascetismo e un anarchismo orientale, aspiranti a perdersi nel nulla; salvatosi solo, secondo alcuni, nel cattolicismo, appunto per via di quell'eredità romana. Onde altri poterono affermare che solo per merito dell'unificazione politica e culturale del mondo, compiuta da Roma, il cristianesimo avrebbe evitato la fine fatta dalle altre religioni orientali; che solo Roma avrebbe conferito universalità e durevolezza alla religione della piccola e oscura setta palestinese dei seguaci di Gesù. Giudizî, questi, storicamente criticabili come troppo imprecisi e unilaterali; né accettabili da quel cattolicismo che vorrebbero esaltare, in quanto non solo negano ogni azione soprannaturale nella storia della Chiesa (come la Chiesa stessa invece insegna), ma vengono a stabilire uno iato - se non addirittura un contrasto - tra la religione insegnata da Gesù e il cattolicismo. Ma al disotto di queste affermazioni - che vennero spesso ripetute e provocarono ogni volta vivaci e appassionate discussioni - al disotto delle contrastanti asserzioni polemiche, era per lo storico un grave, appassionante e complesso problema: quello dei rapporti reali tra la cultura antica e il cristianesimo, entrambi fattori costitutivi della civiltà moderna.
È istruttivo paragonare con quei giudizi e con quell'identificazione del cristianesimo all'ascetismo ciò che si diceva invece, dai rappresentanti del protestantesimo liberale, in Germania, e da qualche studioso isolato, come E. Renan, in paesi cattolici. Per questa corrente ideale, essenziale nel Vangelo sarebbe l'idea che Gesù ebbe del suo rapporto di figliolanza a Dio, la quale avrebbe preceduto in lui anche la coscienza della sua qualità di Messia; il concetto del Regno di Dio in Gesù sarebbe tutto spirituale, affatto indipendente e diverso dalle concezioni correnti nell'escatologia del giudaismo; e parte più importante del suo insegnamento, la morale. Perciò gli elementi essenziali del cristianesimo erano ridotti da A. von Harnack a tre: il riconoscimento del valore infinito dell'anima umana; l'annuncio dell'avvento di questo Regno di Dio tutto spirituale; la legge dell'amore, manifestazione d'una giustizia più alta, per cui gli uomini si sentono fratelli, come figli di Dio: e nel riconoscimento di questo vincolo consisterebbe l'attuazione del Regno di Dio. Con ciò il cristianesimo era la "religione senza preti e senza pratiche esteriori" di cui parlava il Renan, e anche una religione senza dogmi e senza organizzazione. Tutto ciò era presentato come effetto d'una ulteriore evoluzione, puramente umana. Era, il cristianesimo, una religione tutta spirituale, in assoluta antitesi con il "legalismo" e il "sacerdotalismo" l'del giudaismo e, anche, del cattolicismo (gli stessi motivi soggiacciono anche alla valutazione che la critica protestante fa, in genere, del profetismo israelitico interpretato prevalentemente come una ribellione dell'individualismo religioso al culto e al sacerdotalismo); era la religione del rapporto immediato tra l'uomo e Dio, Dio d'amore anziché di giustizia: insomma, modernizzato, il Dio buono che Marcione aveva contrapposto al Creatore. Cosi il Harnack, pur relegando in seconda linea l'elemento soteriologico (e più ancora quello escatologico), pur negando qualche elemento essenziale della teologia luterana, si manteneva nondimeno aderente alle tradizioni del protestantesimo.
Ma, come si vede, il problema dell'essenza del cristianesimo s'identificava con quello della predicazione di Gesù, cioè delle origini stesse del cristianesimo. E in questo campo i progressi delle ricerche storiche e filologiche mettevano in luce una serie di fatti nuovi, dalla considerazione dei quali la maggioranza degl'indagatori era sempre più tratta a non isolare il cristianesimo primitivo dalla civiltà contemporanea. L'elemento escatologico veniva rimesso in luce dagli studî che si facevano sulla letteratura apocalittica del giudaismo e si veniva sempre più proclamando che il Regno di Dio doveva essere interpretato in senso esclusivamente escatologico, secondo il valore che l'espressione avrebbe appunto nelle Apocalissi giudaiche: manifestazione caratteristica di questa tendenza il libro (L'évangile et l'église) con cui A. Loisy credette di poter rispondere da un punto di vista cattolico al Harnack, contrapponendo altresì alla sua tesi di una continua degenerazione del messaggio evangelico, quella di uno sviluppo ininterrotto, ogni fase del quale sarebbe stata necessaria per conservare a quel messaggio la sua vitalità ed efficacia. È da ricordare che il libro del Loisy veniva tosto condannato dalla Chiesa cattolica e che i cattolici ortodossi (tranne per le polemiche suscitate da manifestazioni modernistiche, come quella del Loisy) si mantenevano estranei a questa discussione: la quale, per il modo stesso in cui erano posti i problemi e per il metodo con cui veniva condotta la ricerca, era inammissibile dal punto di vista della Chiesa cattolica. D'altra parte l'importanza accordata all'elemento escatologico apriva l'adito a scorgere nel cristianesimo primitivo un vasto movimento rivoluzionario, di carattere non soltanto religioso, ma politico (come del Regno di Dio si distinguevano una concezione prevalentemente religiosa e una piuttosto politica); Gesù, secondo alcuni, si sarebbe rivolto esclusivamente ai poveri contro i ricchi, avrebbe predicato una più alta giustizia sociale, scatenato insomma una vera e propria rivoluzione. Contribuivano a rafforzare questa tendenza (alla quale possiamo accostare, sul terreno pratico, i varî movimenti della "democrazia cristiana", del "socialismo cristiano", ecc., sorti in diversi paesi tra la fine del sec. XIX e gl'inizî del XX) il nuovo interesse per le condizioni delle classi lavoratrici (di cui era una manifestazione cospicua, nel seno della Chiesa cattolica, l'enciclica Rerum novarum di Leone XIII), il diffondersi delle dottrine marxistiche e il moltiplicarsi degli studî critici intorno ad esse, e, nel campo della storiografia, il sorgere della scuola economico-giuridica. Georges Sorel giunse a vedere nel concetto del Regno di Dio semplicemente un "mito", cioè uno di quegli ideali, per sé stessi forse irraggiungibili, che hanno però la virtù di commuovere gli uomini e di trascinarli all'azione; scorse nell'efficacia di questo mito la ragione dell'eroismo dei martiri cristiani, della conservazione del cristianesimo di fronte alle persecuzioni e alle seduzioni della cultura classica; e additò i cristiani primitivi come esempio ai lavoratori moderni, organizzati nelle formazioni sindacali e in lotta contro la borghesia. Questo stesso carattere rivoluzionario del cristianesimo primitivo era ammesso anche da chi ravvisava nella Chiesa cattolica soprattutto la rappresentante del principio d'autorità e un elemento di conservazione: onde le simpatie mostrate per essa da gruppi di politici che amarono proclamarsi cattolici, pur mostrando di fatto, se non sempre dichiarando apertamente, di considerare la religione subordinata ai valori della politica e la Chiesa solo, o precipuamente, quale instrumentum regni. Teorie che la Chiesa cattolica ha dovuto ripudiare anche di recente, p. es. a proposito dell'Action française.
Per contro, lo studio delle condizioni ambientali in cui sorse il cristianesimo condusse altri ricercatori a un'indagine comparativa: e in questo campo gli studiosi si trovarono di fronte a nuovi problemi. Da una parte, si studiò il mondo orientale, si asserì l'esistenza di rapporti fra le religioni della Babilonia e della Persia e il giudaismo e il cristianesimo; dall'altra, s'indagò l'origine e lo sviluppo dei misteri che, diffusissimi nel mondo ellenistico-romano, sono però anch'essi d'origine orientale, e si mise in luce il loro carattere di religioni soteriologiche. Da una parte cioè, attraverso lo studio dell'escatologia apocalittica, se ne studiarono le concezioni religiose, soprattutto quella del Messia celeste, o di presunti intermediarî tra Dio e l'umanità, di cui si credette (secondo altri autorevoli studiosi, come G. F. Moore, a torto) di poter asserire l'esistenza nelle dottrine del tardo giudaismo apocalittico e rabbinico; dall'altra si sottolineavano sempre più le somiglianze nella soteriologia fra cristianesimo e misteri. L'influenza di questi ultimi si sarebbe fatta sentire soprattutto attraverso l'opera di san Paolo, le cui lettere, studiate in ordine cronologico, avrebbero dimostrato chiaramente il progressivo "ellenizzarsi" del suo pensiero religioso. Era un atteggiamento polemico contro la scuola di Tubinga, di cui pure si accettava, trasformandolo, un principio fondamentale: la profonda differenza cioè tra un cristianesimo giudaizzante e un cristianesimo ellenistico. Ma neppure ciò parve sufficiente. Gli studî condotti in diverse direzioni guidavano pur sempre a postulare un sincretismo religioso precristiano, anzi probabilmente varie fasi nello sviluppo di un sincretismo, nel quale si sarebbero fusi gli stessi elementi che si venivano ritrovando sia nel tardo giudaismo, sia nei misteri: gli studî sullo gnosticismo - considerato ancora dal Harnack come un fenomeno puramente cristiano, di ellenizzazione del cristianesimo - tendevano invece a dimostrare che esso sarebbe stato un vasto movimento religioso, pagano e precristiano, d'origine orientale, e di cui lo stesso giudaismo avrebbe risentito gli effetti.
Se gli studî sulla letteratura apocalittica esaminavano soprattutto l'escatologia del cristianesimo, quelli intorno ai misteri consideravano, come si è visto, soprattutto la sua soteriologia. Ma qui si additava anche la differenza tra cristianesimo e misteri e la superiorità del primo sui secondi, ravvisata in genere, dagli studiosi indipendenti, in una serie di fatti che si potrebbero così riassumere: nel cristianesimo la persona del redentore e fondatore è storica, non mitica (i tentativi di alcuni isolati e della "scuola radicale" olandese di dimostrare l'inesistenza di Gesù non hanno mai avuto fortuna); esso è religione essenzialmente monoteistica, con un Dio personale, morale e concepito come padre, che richiede all'uomo amore e ubbidienza filiale e ha manifestato la sua volontà in un corpo di Scrittute sacre, che sono un codice etico (il redentore dei misteri è invece un personaggio mitico, divino, ma la cui esistenza è ammessa accanto a quella di altri dei; ed è semplice redentore, non rivelatore di una volontà divina); per conseguenza la soteriologia è nel cristianesimo indissolubilmente legata all'etica e, mentre tanto per il cristianesimo quanto per i misteri, la salvezza dipende dal fatto dell'iniziazione, questa nel cristianesimo consiste in una trasformazione totale dell'individuo, la quale investe soprattutto la sua moralità, gl'impone una serie di nuovi doveri, che non consistono soltanto nell'osservanza di precetti cultuali o rituali, ma investono tutta la vita dell'individuo. Il cristianesimo è redenzione dalla morte, in quanto la morte è conseguenza del peccato.
Mentre quella che possiamo chiamare la scuola escatologica insisteva nel rapporto tra escatologia ed etica (fino a raffigurare la morale del Nuovo Testamento come un'"etica interinale"), le nuove teorie intorno a un sincretismo religioso precristiano che avrebbe dato origine al cristianesimo (il cosiddetto "cristianesimo avanti Cristo") accentuavano invece soprattutto il rapporto tra escatologia e soteriologia. Coloro che tentavano di riassumere in una definizione generale l'essenza del cristianesimo e di dimostrarne la superiorità in base alla storia, cercavano di rendere giustizia a tutti e tre questi aspetti fondamentali, ma non potevano non risentire l'influenza del nuovo orientamento degli studî. E. Troeltsch contrapponeva l'una all'altra due attitudini religiose fondamentali, una occidentale, profetico-cristiano-platonico-stoica, l'altra buddhistico-orientale. Per l'una e per l'altra, dunque per la religione in sé stessa, è essenziale la contrapposizione di un mondo inferiore, mondano, a uno superiore; ma mentre l'attitudine religiosa orientale cerca la redenzione in una superesistenza o in una non-esistenza, attuata mediante uno sforzo speculativo, la prima è una forma di religiosità che conserva alla personalità umana il suo valore. Il cristianesimo rappresenterebbe pertanto la forma più perfetta di questo tipo di religiosità, quella che assomma e compendia in sé quanto è vivo nello sviluppo della religiosità umana. Esso rinuncia al mondo, e nello stesso tempo lo afferma; vi rinunzia in quanto presenta possibilità di male, lo afferma in quanto esso appartiene a Dio e tende a lui. E lo si può considerare come religione definitiva, anche se si ammettano delle rivelazioni parziali prima del cristianesimo; come l'unica redenzione, anche se in tutte le religioni vi sia una soteriologia. Esso è superiore a tutte le religioni, anche se in esso si scorgono derivazioni: perché da quando il cristianesimo è nato, la vita spirituale dell'umanità si è svolta interamente nel suo ambito. Non è difficile scorgere in questa raffigurazione del cristianesimo data dal Troeltsch l'identificazione dell'essenza del cristianesimo con quella "ascesi intramondana" (innerweltliche Askese) da lui esaltata in Lutero, che il medesimo scrittore considera a sua volta come il ripristinatore, per questo riguardo, del cristianesimo primitivo. D'altra parte, la profonda diversità di un tipo almeno di religiosità (l'induismo di Rāmānuja) da altri dell'India, e somiglianze (ma anche differenze) tra il primo e il cristianesimo sono state segnalate da R. Otto.
E. Buonaiuti (v.), pur includendo nella sua definizione tutti e tre gli elementi, etica, soteriologia ed escatologia, insisteva invece soprattutto sul primo e sull'ultimo, segnalando anch'egli come caratteristica fondamentale del cristianesimo la contrapposizione tra due mondi di valori radicalmente opposti, il "secolo presente" (ὁ ἀιὼν οὖτς) e il "secolo venturo" (ὁ αιὼν μέλλον), ma interpretando questa contrapposizione come soprattutto etica; e faceva quindi consistere la superiorità del cristianesimo in un totale rovesciamento dei valori comuni della vita, nel rinnegamento di tutte quelle che sono, secondo lui, le tendenze naturali dell'uomo. Quest'etica originale è poi, secondo il Buonaiuti, "appoggiata sulla fede profonda e incrollabile nel guiderdone di Dio, nell'avvento glorioso del suo Regno, ed è raccomandata alla comunicazione diretta, ma carismatica", con Cristo, che dà all'uomo la capacità di attuare la volontà divina da lui rivelata. È notevole, tra l'altro, in questa definizione, il valore accordato alla "conversione" o "resipiscenza" (ebr. tešubā, gr. μετάνοια), in cui storici del giudaismo rabbinico, come S. Schechter e G. F. Moore, hanno scorto l'elemento soteriologico proprio di questa religione. D'altra parte non è difficile vedere in questa definizione alcuni punti di contatto con la precedente, e la minore forza con cui è sottolineato il momento soteriologico: benché lo stesso Buonaiuti avverta di considerare il cristianesimo come la religione perfetta "quanto ha segnato la sua orma incancellabile sulle attitudini da cui è funzionalmente determinata la religiosità".
I pochi esempî forniti fin qui possono bastare a dare un'idea del problema appassionatamente discusso tra gli studiosi indipendenti, razionalisti e protestanti. È chiaro che ogni definizione dell'essenza del cristianesimo dipende dal modo in cui ciascuno studioso si raffigura le origini storiche del cristianesimo, come pure che il problema del valore assoluto del cristianesimo è collegato con quello filosofico del posto che spetta alla religione nella gerarchia delle attività spirituali. Qualche indagatore ha anche creduto di poter fissare, partendo da premesse evoluzionistiche (secondo cui le religioni nascono, prosperano e muoiono dando luogo ad altre forme, come gli organismi e le istituzioni umane), le varie fasi dello sviluppo religioso dell'umanità e di poter congetturare, in base al presente, l'avvenire. Basterà ricordare le varie "religioni dell'umanità" che sono state preconizzate come quelle in cui dovrebbe tradursi ciò che di vivo questi autori riscontrano ancora nel cristianesimo, e i nomi, per es., di A. Comte e di A. Loisy, che siffatte concezioni ha sostenuto in alcune opere recenti (La religion, Parigi 1917; Religion et humanité, ivi 1926). Si tratta sempre, in sostanza, d'un "cristianesimo senza Cristo", d'un cristianesimo cioè ridotto ad alcuni principî etici fondamentali, specialmente quello dell'amore, interpretato romanticamente e raffigurato in maniere diverse; non molto dissimile in fondo da quella "religione senza preti e senza pratiche esteriori" in cui il Renan faceva consistere il cristianesimo primitivo. Resta da vedere se questa religione si possa ancora dire veramente tale e se quei principî etici possano, senza snaturarsi, essere avulsi dalla credenza nella divinità di Cristo e nella sua opera di redentore.
Quanto all'opera degli storici, è bensì vero, da un lato, che esiste tra le diverse ricostruzioni storiche - specialmente tra quelle dei più accesi sostenitori dell'una e dell'altra tendenza - un innegabile divario. Ma è anche vero che esistono punti sui quali si è raggiunto l'accordo tra la maggioranza, almeno, degli studiosi indipendenti più autorevoli; come è vero che si tratta soprattutto di disparità di giudizio, dovute non solo alla difficoltà e complessità dei problemi, ma al fatto che ciascuno studioso (anche - forse assai più che non si creda generalmente - chi più ambisce la fama d'imparziale) li esamina alla luce delle proprie convinzioni personali, della propria fede, di presupposti cioè di carattere confessionale e dogmatico: si manifestano cioè anche in questo campo le conseguenze delle scissioni verificatesi nel corso della storia nel seno del cristianesimo stesso e un accordo tra le diverse opinioni presenta le medesime difficoltà che incontra l'attuazione d'una "unione delle Chiese" qual'è concepita da parte protestante, cioè come l'eliminazione delle ragioni di dissidio teologico, prodotte dalla storia medesima. Chi poi considera il cristianesimo come un fatto puramente umano aggiunge che la ricostruzione e il giudizio storico sono anch'essi, in quanto fatti storici, soggetti a mutare continuamente. All'estremo opposto è la Chiesa di Roma, la quale, come considera unico modo possibile per attuare l'unione tra i cristiani il ritorno dei dissidenti all'unità della Chiesa cattolica, la sola in possesso delle "note" caratteristiche della vera Chiesa, così nella disparità delle opinioni critico-storiche contrastanti alla propria dottrina ravvisa un segno della loro fallacia, e ha condannato e condanna tutti i tentativi di dare del cristianesimo una definizione difforme dal proprio insegnamento dogmatico e tradizionale.
Per un altro aspetto, questi problemi dell'essenza e dell'assolutezza del cristianesimo presentano un particolare interesse per il mondo moderno. Il sec. XIX ha segnato l'apertura alla civiltà occidentale di vasti paesi, abitati non solo da popolazioni di civiltà primitiva, ma anche da popoli che avevano dietro di sé una lunga storia: India, Cina, Giappone. Lo studio di queste civiltà e l'interesse per genti esotiche ha fatto nascere, specialmente là dove la frequenza dei rapporti economico-politici determinava un ambiente più favorevole, fenomeni religiosi che presentano una grande somiglianza con il sincretismo religioso e la diffusione dei misteri orientali nel mondo greco-romano. Gli studî attorno al buddhismo e alle filosofie religiose dell'India, in particolare, hanno destato vivissimo interesse anche fuori della cerchia degli eruditi, e un interesse che non è prevalentemente di carattere culturale. Tendenze mistiche di vario genere, assorbendo elementi da questa o quella tra le religioni dell'Asia, legandosi talvolta a dottrine o pseudodottrine di carattere o d'aspetto scientifico, hanno dato origine alla formazione di numerosissime sette, con dottrine più o meno esoteriche e tipicamente sincretistiche: sette che nell'organizzazione, nelle pratiche di vita imposte agli adepti e nelle dottrine riproducono atteggiamenti spirituali e pratici ben noti allo storico delle religioni e delle eresie. Tale fenomeno, frequentissimo nei paesi anglosassoni ma non ignoto neppure all'Europa continentale, presenta allo storico il problema della formazione di una nuova gnosi, della reazione del cristianesimo ad essa e delle ripercussioni che questa potrà avere sulle masse cristiane, in relazione, tra l'altro, anche alla vagheggiata unione delle Chiese. Nel seno di alcune confessioni protestanti non mancano, p. es., voci autorevoli che criticano lo scarso valore dato ai sacramenti, all'escatologia, alla liturgia, ecc.
Questo maggiore avvicinamento del mondo occidentale all'orientale pone poi all'osservatore dotato di mentalità storica il problema della diffusione dello stesso cristianesimo. Il sec. XIX si può ben chiamare per eccellenza il secolo delle missioni: attuate con larga preparazione scientifica e tecnica, da parte di tutte, o quasi, le confessioni cristiane di qualche importanza e non di rado favorite, non solo per sollecitudine d'interessi extraterreni, da governi e da organizzazioni svariatissime, anche industriali e commerciali, e da privati. Il missionario è stato spesso esploratore e etnologo, e, più d'una volta, anche il pioniere d'una "penetrazione" più o meno pacifica, il commesso viaggiatore, il diplomatico; ha, secondo i casi, preceduto, accompagnato o seguito le spedizioni militari e le prese di possesso; ha descritto le condizioni dei mercati e fatto sorgere i bisogni nuovi, che provocavano la domanda di nuove merci. E poche cose illuminano tanto sulle condizioni di alcune regioni quanto uno studio della diffusione in esse di certe missioni, compiuto parallelamente all'esame delle statistiche del commercio estero dei paesi dai quali provengono. Con il cristianesimo e con la cultura occidentale si sono introdotti, con maggiore o minore successo, i bisogni, le abitudini di vita dell'Occidente. Ma questa civiltà occidentale, che pur non consiste soltanto nelle macchine (o nelle armi) perfezionate, non ha senz'altro conquistato spiritualmente quei paesi. Civiltà occidentale vuol dire, essenzialmente, civiltà mediterranea: cristianesimo, erede del giudaismo, e cultura classica. Quanto, di questa tradizione storica più volte millenaria, può essere realmente assorbito da popoli, non di cultura primitiva, per cui cristianesimo e civiltà superiore sono senz'altro sinonimi (come fu, per es., per i popoli invasori dell'Impero romano), ma aventi a loro volta tradizioni di cultura non spregevole e, soprattutto, divenuti ora superbi di tale cultura, e rivendicanti fieramente la propria autonomia, spirituale e politica, di fronte all'Occidente?
Non è irragionevole il chiedersi, benché certo con qualche esitazione e titubanza, per la gravità stessa del problema, se il cristianesimo per essere accolto da questi popoli non riceva già, o non debba subire in futuro, una qualche modificazione più o meno profonda: se i neoconvertiti non trasportino nella nuova fede i vecchi abiti mentali e qualche cosa delle antiche credenze; se non si ponga cioè di nuovo al cristianesimo il medesimo problema che si presentò ai primi suoi propagandisti, usciti dalla Palestina alla conquista spirituale dell'Impero romano. Oltremodo rischioso, anche restando nel campo delle semplici ipotesi e delle probabilità, il voler dare una risposta. Esempî di adattamento sapiente, ma anche di qualche eccesso in questo senso, si trovano nella storia delle missioni cattoliche in Asia; quanto a tali problemi (qui solo accennati) sia sensibile la Chiesa cattolica è dimostrato dalla cura posta nello stabilire, ovunque e non appena ciò sia possibile, una gerarchia indigena. Nel che si rivela anche la cura di dimostrare con i fatti il carattere "universale", non soltanto "europeo", della chiesa cattolica stessa. Si può tuttavia osservare come il riaffermarsi del sentimento nazionale in molte parti dell'Estremo Oriente renda il problema della cristianizzazione di quei paesi particolarmente grave proprio ora: mentre il Giappone nega, a torto (cfr. R. Pettazzoni, La mitologia giapponese, Bologna [1929], p. 22 segg.), il carattere di religione allo "shintō puro" per presentarlo come un'istituzione nazionale, patriottica, di devozione dinastica, e per imporlo universalmente; mentre l'India agitata nega di essere, spiritualmente, debitrice di alcunché al mondo occidentale. E Gandhi afferma: "io credo al Messaggio di Gesù, quale lo comprendo nel suo Sermone del Monte; ma io vi credo senz'altro. E la mia umile interpretazione differisce notevolmente dall'interpretazione ortodossa... E soprattutto non cesso d'insistere presso i popoli d'Oriente perché non sia confuso l'insegnamento di Gesù con ciò che passa per essere la civilizzazione moderna. Non vi lasciate accecare dallo splendore che viene dall'Occidente. Esso non sarà che un lampo passeggero...". Anche in queste parole scorgiamo un tentativo di definire l'essenza del cristianesimo: ravvisata evidentemente nei precetti in cui è possibile scorgere o far entrare un contenuto ascetico di carattere orientale, in dottrine (come quella dell'assoluta non-resistenza al male) che nel mondo occidentale sono d'altronde note per essere state bandite da parecchi (ricorderemo solo, tra i più noti e recenti, Leone Tolstoi). E non mancano in Occidente coloro che proprio nel citato messaggio di Gandhi e nell'azione pratica di lui hanno scorto la più perfetta attuazione dei principî etici del cristianesimo. A costoro fu mosso l'appunto di "cercare... altrove il cristianesimo e i principî cristiani" (Osservatore romano, 11 giugno 1930). Interessanti osservazioni, tendenti a dimostrare che alcuni Indiani concepiscono il cristianesimo come una forma superiore di induismo, mentre altri lo considerano come religione assolutamente a sé, fa anche R. Otto.
Di fronte a tanta disparità di vedute e, insieme, a tanto ardore di studî, non può sfuggire come la ricerca dell'essenza del cristianesimo", compiuta da tante parti e seguita con interesse da tante persone, è anch'essa manifestazione e conseguenza d'uno stato di disagio e di turbamento di molte coscienze contemporanee, per le quali, anziché rimanere fine a sé stessa, diviene uno dei mezzi di soddisfare a un bisogno spirituale.
Bibl.: A. von Harnack, Das Wesen des Christentums, Lipsia 1900 e riedizioni; A. Loisy, L'Évangile et l'Église, Parigi 1901 e successive edizioni rimaneggiate (l'ultima, Parigi 1930, riproduce la prima); E. Troeltsch, Die Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte, Tubinga 1912; id., Gesammelte Schriften, II, ivi 1913, p. 386 segg.; G. Sorel, Réflexions sur la violence, Parigi 1908 e trad. ital., Bari 1909; id., Le système hist. de Renan, Parigi 1906; A. C. Bouquet, Is Christianity the real Religion? A candid enquiry, ecc., Londra 1921; E. Buonaiuti, L'essenza del cristianesimo, Roma 1921; id., Voci cristiane, Roma 1923, pp. 163-178; A. Steinmann, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, 2ª ed., II, Tubinga 1927, coll. 1563 segg.; R. Otto, India's religion of Grace and Christianity, tr. ingl., Londra 1930. Per gli studî sulle origini cristiane: A. Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung (2ª ed. di Von Reimarus zu Wrede), Tubinga 1921; id., Geschichte der paulinischen Forschung, ivi 1911; L. Salvatorelli, Da Locke a Reitzenstein, in Riv. stor. ital., 1928 e 1929. Per il punto di vista cattolico, v. M.-J. Lagrange, Quelques remarques sur l'Orpheus (di S. Reinach), Parigi 1910; L. de Grandmaison, Jésus-Christ, Parigi 1928; H. Pinard de la Boullaye, Jésus-Christ et l'histoire, Parigi 1929 e trad. it., Torino 1931; id., J.-Chr. Messie, ivi 1930; e le opere cit. nell'art. apologetica, III, p. 696. V. anche cattolica, chiesa; gesù cristo.