fondamenti, crisi dei
fondamenti, crisi dei locuzione con la quale si intende l’insieme di problemi, discussioni e ricerche in campo matematico e logico che si verificò agli inizi del secolo xx in seguito alla individuazione, da parte del filosofo e matematico inglese B. Russell, della antinomia che ne porta il nome (→ Russell, antinomia di). Le antinomie, anche se talvolta assumono la veste di giochi o rompicapo, hanno sempre costituito il punto di partenza per riflessioni più generali sull’assetto logico della disciplina o sull’uso del linguaggio con cui essa è descritta. L’antinomia di Russell minava alle radici la teoria degli insiemi a partire dalla quale, dalla fine dell’Ottocento, si stava tentando di costruire tutto l’edificio matematico.
Il modo in cui tale antinomia fu resa pubblica è assai singolare. Il matematico tedesco F.G. Frege aveva avviato il tentativo di basare tutta la costruzione della matematica sulla logica e sui suoi concetti e aveva da poco dato alle stampe il primo volume de I fondamenti dell’aritmetica. Tale opera si basava sulla possibilità di formare indiscriminatamente gli insiemi, come estensioni concettuali di una proprietà: gli insiemi erano introdotti come “aggregati” di tutti e soli gli oggetti che godono di una data proprietà. Mentre stava per dare alle stampe il secondo volume della sua opera, Frege, nel 1902, ricevette una lettera nella quale Russell gli comunicava l’antinomia da lui scoperta. Frege pubblicò tale antinomia come epilogo del secondo volume e, confessando il suo sconforto, aprì quel periodo che successivamente fu appunto denominato crisi dei fondamenti della matematica: «Infatti – così scriveva Frege – tutti coloro che nelle loro dimostrazioni hanno fatto uso di estensioni concettuali, classi, insiemi sono nella mia stessa situazione. Qui non è in causa il mio metodo di fondazione particolare, ma la possibilità di una fondazione logica dell’aritmetica in generale». Rimaneva il problema se si trattasse di una crisi della matematica, cioè della sua possibilità di essere fondata su basi certe, incontrovertibili e che non portassero a contraddizioni, oppure soltanto della crisi di una impostazione logicista cioè della sua riduzione alla logica (→ fondamenti della matematica, → logicismo). Occorre tenere presente che tale tendenza logicista si stava affermando proprio perché l’appello all’intuizione, o comunque a una realtà sensibile da cui la matematica traesse origine per astrazione, si stava rivelando incerto o fallace: le geometrie non euclidee e la definizione dei numeri transfiniti rimettevano infatti in discussione le basi stesse della validità dei concetti tratti da un’esperienza sensibile, che è comunque legata ai limiti finiti dell’esperienza mentale umana. Da allora, nei primi vent’anni del Novecento, molte altre antinomie contribuirono a mettere in crisi l’apparato logico-concettuale che la matematica si era dato e, soprattutto, il programma di fondare la matematica su basi logiche al riparo da qualunque contraddizione. Lo stesso Russell elaborò una complessa teoria (detta teoria dei → tipi) nella quale la formazione di insiemi veniva vincolata al fatto che un insieme potesse essere elemento di un altro insieme soltanto se quest’ultimo fosse stato di un «tipo» più generale. Russell aveva infatti individuato un elemento comune a tutte le antinomie: la autoreferenzialità, il fatto cioè che in un linguaggio, in una teoria, fosse possibile affermare qualche cosa attorno al linguaggio o alla teoria stessa.
Nel corso del dibattito seguito alla scoperta delle antinomie si confrontarono diverse scuole di pensiero: c’era chi proponeva di evitare le astrazioni incondizionate che derivavano dalla teoria degli insiemi di G. Cantor e chi, invece, sottolineava la necessità di non perdere la potenza degli strumenti concettuali che la matematica era riuscita a darsi da Cantor in poi. Il maggiore esponente di quest’ultimo indirizzo di pensiero fu il matematico tedesco D. Hilbert, che così si espresse: «Nessuno potrà cacciarci dal paradiso che Cantor ha creato per noi!». Il metodo proposto da Hilbert era quello di distinguere tra la matematica e i discorsi che si svolgono attorno alla matematica stessa. «Accanto alla matematica vera e propria – disse in una conferenza del 1922 – si presenta in un certo senso una nuova matematica, una metamatematica, che è necessaria per la sicurezza dell’altra, nella quale – contrariamente al modo di inferenza puramente formale della matematica vera e propria – si applica l’inferenza contenutistica, ma unicamente per la dimostrazione della coerenza degli assiomi. In questa metamatematica si opera con le dimostrazioni della matematica vera e propria e queste ultime formano l’oggetto della ricerca contenutistica». Con i metodi della → metamatematica (nella quale si doveva evitare di far ricorso a metodi e concetti che implicassero l’infinito), si dovevano impegnare tutte le energie nella ricerca di dimostrazioni di non contraddittorietà degli assiomi delle diverse teorie matematiche, e in particolare della teoria dei numeri naturali, che sta alla base di ogni altra teoria. Il programma di Hilbert, volto a dimostrare la coerenza e la completezza almeno dell’aritmetica, si rivelò ben presto impossibile, come fu dimostrato nel 1931 dal teorema di incompletezza di → Gödel.