NIGRA, Costantino
NIGRA, Costantino (Lorenzo Annibale Costantino). – Nacque a Villa Castelnuovo, oggi Castelnuovo Nigra in provincia di Torino, l’11 giugno 1828, primogenito di Ludovico, chirurgo, e di Anna Caterina Revello.
Gli abitanti del piccolo borgo della collina canavesana vivevano quasi tutti di agricoltura, di pastorizia e di emigrazione, mentre i genitori di Nigra erano benestanti appartenenti alla borghesia delle professioni e della cultura. Il padre, nato nel 1784, aveva preso parte come sanitario alle guerre napoleoniche ed era stato parzialmente coinvolto nei moti liberali del 1821. La madre, nata nel 1793, proveniva da un’antica famiglia di notai che in quegli anni annoverava l’erudito teologo Gian Bernardo De Rossi, professore di lingue orientali all’Università di Parma.
Con un’inclinazione per la poesia e le lettere comune a gran parte dei suoi coetanei colti, Nigra nell’autunno 1845 si trasferì a Torino per seguire i corsi di legge, la laurea più prestigiosa e ambita. Poté frequentare l’università grazie a una borsa di studio del collegio delle Province, che da più di un secolo incanalava l’ascesa sociale di giovani meritevoli di modesta estrazione, rappresentando il vivaio del futuro ceto dirigente borghese. Il biennio 1846-47 fu per lui l’inizio dell’apprendistato politico, nel clima di entusiasmo liberale per l’ascesa al soglio pontificio di Pio IX, per il cauto avvio delle riforme da parte dei sovrani e per le suggestioni del giobertismo. Nel 1848, allo scoppio della guerra del regno sardo contro l’Austria si arruolò volontario. Inquadrato nella compagnia degli studenti aggregata al corpo dei bersaglieri, partecipò a quattro combattimenti e fu ferito. A campagna finita terminò gli studi conseguendo la laurea in diritto civile ed ecclesiastico, ma conservò la vocazione di poeta, caldeggiata dai suoi stessi professori. Tuttavia, la mancanza di risorse familiari lo costrinse a cercarsi un’occupazione nell’amministrazione pubblica, presentandosi al primo concorso disponibile, per applicato volontario presso il ministero degli Esteri.
Ottenne la sufficienza per l’idoneità e iniziò nel 1851 il biennio di praticantato senza retribuzione. Inappuntabile nei doveri d’ufficio, colto, pronto d’intuito, discreto, di persona bella ed elegante, amareggiato per dover continuare a vivere col sussidio della famiglia, trovò gratificazione nella frequentazione del salotto politico-letterario di Olimpia Savio, nello studio dei classici e nel nascente interesse per la filologia applicata alle tradizioni popolari, in Italia a quel tempo negletta. Quando nel novembre 1852 Camillo Benso di Cavour subentrò nella presidenza del Consiglio a Massimo d’Azeglio, quest’ultimo, nel passaggio delle consegne, gli segnalò le qualità dello sconosciuto applicato volontario.
È una invenzione degli apologeti che Cavour fosse immediatamente colpito dalla personalità del giovane. In realtà, fino alla missione a Parigi e a Londra del novembre-dicembre 1855, il conte, pur apprezzandone le qualità, continuò a servirsi dell’impiegato come addetto alla trascrizione della corrispondenza.
Concluso il volontariato, Nigra divenne dal 1° agosto 1853 applicato nel ministero degli Esteri con un modestissimo stipendio, ma il suo interesse principale rimaneva la poesia e, venticinquenne, iniziò a cimentarsi, con rigore scientifico e ampia conoscenza degli studi internazionali, nella raccolta e trascrizione dei canti popolari piemontesi.
Nel 1855 sposò Emerenziana Vegezzi Ruscalla, appartenente a una delle famiglie più in vista di Torino, dalla quale ebbe un figlio, Lionello. Il matrimonio fallì dopo una breve convivenza, ma non fu mai sciolto: i due coniugi vissero separati per il resto della loro vita. Emerenziana si chiuse nel più completo isolamento, al punto che mezza Europa credeva che il grande ambasciatore e seduttore fosse uno scapolo impenitente.
L’ora di Nigra accanto a Cavour venne dopo averlo accompagnato nel febbraio-aprile 1856 al Congresso di Parigi in seguito alla fine della guerra in Crimea, ancora con la funzione di segretario addetto alla corrispondenza. Non ebbe un ruolo attivo, ma poté imparare molto, osservando e analizzando l’operato altrui in una sorta di esame sul campo di cui Cavour fu molto soddisfatto.
Nei successivi tre anni il leader liberale gli affidò incombenze sempre più delicate, plasmandolo fino a farne un diplomatico di prima grandezza, e facendolo oggetto di affetto, fiducia, confidenza illimitata, ricambiato da una devozione infinita e con una capacità di osare superiore a quanto il carattere cauto, lucido, calcolatore predisponesse il giovane canavesano.
Promosso il 5 maggio 1856 vice console di 1a classe a disposizione del ministro degli Esteri – Cavour – come capo del gabinetto particolare, Nigra svolse per due anni al ministero incombenze di sempre maggior rilievo. Finalmente nel marzo 1858, nella delicatissima situazione creata dall’attentato di Felice Orsini a Napoleone III, fu destinato come addetto alla legazione sarda di Parigi, con l’incarico di intermediario segreto e la piena fiducia di Cavour, al fine di difendere l’intesa franco-piemontese per l’imminente guerra all’Austria, e che il 21 luglio si concretò nell’incontro fra il conte e l’imperatore a Plombières. Tra la seconda metà del 1858 e il maggio 1859, compì altre sei missioni diplomatiche segrete a Parigi, per discutere con l’imperatore e il principe-cugino Girolamo Napoleone Bonaparte i passaggi verso la guerra e gli aspetti diplomatici, militari e finanziari dell’alleanza. Seguiva le istruzioni di Cavour, al quale rendeva conto in modo dettagliatissimo, ma era lui a interloquire con intelligenza politica, intuito e duttilità. In pochi mesi conquistò la profonda e duratura fiducia degli interlocutori, confermando a Cavour la bontà dell’investimento fatto su di lui.
Non si trattò di quel turbine mondano tra lo sfarzo del Secondo Impero enfatizzato dall’oleografia successiva. Fu un’attività intensissima nella rete di relazioni dell’impero bonapartista e di continui incontri furtivi per svolgere una missione tenuta nascosta a entrambe le diplomazie, francese e sarda. E intanto non trascurava la pubblicazione a puntate a Torino della prima versione ampia delle Canzoni popolari del Piemonte.
Tornò a Parigi nel dicembre 1859, dopo la conclusione della seconda guerra d’indipendenza, questa volta in qualità ufficiale di incaricato d’affari, e quattro mesi dopo di ministro residente. In tale veste negoziò la cessione di Nizza e della Savoia. Il 1° gennaio 1861 ottenne un’ulteriore promozione a inviato straordinario e ministro plenipotenziario, raggiungendo l’apice della carriera a soli 32 anni, con 15.000 lire annue di stipendio. Fu l’inizio di un curriculum diplomatico prestigioso.
Ma il 1861 non fu per lui un anno fortunato. Iniziò con l’esperienza temporanea di segretario generale della seconda luogotenenza napoletana, tra gennaio e maggio, dopo il fallimento della prima affidata a Luigi Carlo Farini, allo scopo di guidare più in fretta possibile l’unificazione amministrativa del Mezzogiorno, delle Marche e dell’Umbria. Si rivelò inadatto e fu il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza di governo e portato più a mediare con cautela che a dirigere con decisione.
Rientrato a Torino fra molte critiche, fu investito da una nuova ondata di polemiche per l’improvvisa nomina il 1° giugno a gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Era in massoneria da più di un anno, ma l’elezione al vertice fece scalpore perché giudicata immeritata e forse suggerita dallo stesso Cavour, oltre che espressione, nella sua persona, di un troppo stretto legame con la Francia di Napoleone III. Sul finire del 1861 si dimise da gran maestro, e nel 1899 smentì persino di essere stato massone.
Il colpo più duro nel corso del 1861 lo ricevette però il 6 giugno, alla morte di Cavour, che lo mise di fronte, a soli 33 anni, alla consapevolezza di una stagione conclusa della vita, quella spesa per fare l’Italia, mentre si apriva la voragine dei problemi del dopo unificazione.
Rientrato a Parigi, vi trascorse 15 anni svolgendovi un’azione diplomatica enorme, tanto più in presenza di snodi cruciali per il neonato regno, come la questione romana e quella veneta. In Italia crescevano però le ostilità verso l’uomo e il diplomatico: del sovrano, che di lui non si era mai fidato perché intimo di Cavour; dei nuovi ministri, che lo giudicavano troppo filofrancese; in generale dell’opinione pubblica, che lo considerava uomo di punta del partito filobonapartista in Italia, quando ormai la politica di Napoleone III era divenuta il fattore frenante del completamento dell’unità e aumentava l’attenzione per la Prussia. La permanenza nella capitale francese gli permise di sviluppare una sempre più ampia rete di relazioni anche come uomo di cultura, pubblicandovi in latino testimonianze di una solida padronanza degli studi di filologia comparata, cui seguirono altre pubblicazioni in Italia e collaborazioni alla Revue celtique, a Romània e all’Archivio glottologico italiano.
Con il crollo del Secondo Impero nel 1870, assistette da Parigi alla fine di un’epoca e di un mondo a cui era molto legato, e in cui aveva operato in prima fila per l’unificazione italiana. Con realismo politico sconsigliò un intervento militare italiano a favore della Francia, che l’aveva richiesto, e sollecitò l’andata a Roma, come già faceva con prudenza da tre anni. Nella penisola amici e nemici concordavano che ormai non potesse più rimanere a Parigi, mentre in Francia era divenuto il parafulmine del rancore per il mancato aiuto italiano. Cominciò a sentirsi un sopravvissuto, a manifestare un disincanto e un pessimismo comuni ad altri personaggi risorgimentali. L’amico Emilio Visconti Venosta, ministro degli Esteri, lo convinse a restare, per non confermare con una partenza repentina di essere stato l’uomo del bonapartismo, incapace di rappresentare l’Italia sotto un altro governo. Rimase a Parigi altri cinque anni molto difficili, riempiti dagli studi di linguistica comparata e di dialettologia scientifica, con il rientro a vele spiegate nel mondo dei dotti. Finalmente il 5 maggio 1876 il nuovo governo della Sinistra storica lo trasferì come ambasciatore a San Pietroburgo.
Non era formalmente un declassamento ma in sostanza lo fu, data la modestia dei rapporti diplomatici con l’impero zarista. L’ambasciatore del Regno d’Italia in oltre sei anni non migliorò né peggiorò le relazioni bilaterali, amichevoli ma pressoché inconsistenti, stilò rapporti precisi e dettagliati sulle questioni interne di maggior rilievo, fece vita di società, partecipò a memorabili battute di caccia e proseguì i propri studi.
All’inizio del 1883 giunse nella nuova sede di Londra, di importanza fondamentale, con il titolo di conte concessogli il 21 dicembre 1882 da Umberto I. Negli anni del liberale William Gladstone, passò alla legazione di Londra come una meteora e in punta di piedi, senza lasciare tracce significative. Più congeniale gli fu il trasferimento alla sede di Vienna dal 9 novembre 1885. Ormai prevaleva in lui lo studioso, molto più sensibile alle cooptazioni nelle accademie scientifiche che non alle molte onorificenze ricevute.
Raramente mise piede in Senato dopo la nomina nel 1890, cui seguì nel 1892 il cavalierato della Ss. Annunziata. L’agone politico gli era ormai estraneo: per due volte nel 1885 e nel 1887 rifiutò la carica di ministro degli Esteri.
A Vienna visse per altri vent’anni in un mondo colto e raffinato avvolto in un tramonto dorato, più in sintonia con il suo personale tramonto. Svolse con impegno l’incarico affidatogli di consolidare la politica triplicista, ma i suoi soggiorni in Italia aumentarono, e, ormai molto ricco, tra la fine degli anni Ottanta e la metà dei Novanta pubblicò le sue opere più importanti.
A sessant’anni tornò a essere il poeta degli esordi, senza una grande vena, ma delicata e affettiva. Analoga specularità tra l’inizio e la fine si ritrova nelle traduzioni dal greco e dal latino. Il meglio di sé lo diede però come studioso di canti e tradizioni popolari, soprattutto con l’edizione definitiva nel 1888 di quei Canti popolari del Piemonte a cui aveva lavorato per 35 anni e che lo consacrarono studioso di livello internazionale. Aessi seguì la trilogia dedicata alle rappresentazioni popolari canavesane.
A riposo dal 1° febbraio 1904, trascorse gli ultimi anni a filtrare con molta parsimonia le ricostruzioni risorgimentali che in tanti gli chiedevano: fu attentissimo a che il racconto del suo operato fosse soltanto quello che intendeva consegnare ai posteri e perciò incenerì una gran quantità di carte.
Morì a Rapallo nella notte del 1° luglio 1907.
Opere: si segnalano In morte di Silvio Pellico, versi scritti nel 1854 e pubblicati in Curiosità e ricerche di storia subalpina, Torino 1875, poi ristampati in volume (Torino 1889); Canti popolari del Piemonte, in Il Cimento. Rivista di scienze, lettere ed arti, II (1854), 4, pp. 897-910; Canzoni popolari del Piemonte, in Rivista contemporanea, 1858, XII, pp. 16-64; XIII, pp. 177-206; XV, pp. 218-250; ibid., 1860, XX, pp. 52-83; ibid., 1861, XXIV, pp. 73-107; ibid., 1862, XXXI, pp. 3-33; La rassegna di Novara, composta nel 1861 e pubblicata la prima volta nel 1875 a Roma; Sopra una gondola. Barcarola, scritta nel giugno 1863, messa in musica per pianoforte da Antonio di Santa Croce e pubblicata a Milano nel 1864; Glossae hibernicae veteres codicis taurinensis, Paris 1869; Reliquie celtiche, I, Il manoscritto irlandese di San Gallo, Torino 1872; Fonetica del dialetto di Val-Soana (Canavese) con una appendice sul gergo valsoanino, in Arch. glottologico italiano, III (1874), pp. 1-60; La poesia popolare italiana, in Romània. Recueil trimestriel consacré à l’étude des langues et des littératures romanes, XX (1876), pp. 1-36; Canti popolari del Piemonte, Torino 1888; La chioma di Berenice, col testo latino di Catullo riscontrato sui codici, traduzione e commento, Milano 1891; Inni di Callimaco su Diana e sui Lavacri di Pallade, traduzione e commento, Torino 1892; Idillii, in Nuova Antologia, s. 3, 1893, XLIV, pp. 549-556; XLVIII, pp. 143-147; Rappresentazioni popolari in Piemonte. Il Natale in Canavese, pubblicato e commentato da C.N. e D. Orsi, Torino-Roma 1894; Le comte de Cavour et la comtesse de Circourt. Lettres inéditespubliées par le comte N., Torino-Roma 1894; Rappresentazioni popolari in Piemonte. La Passione in Canavese, pubblicata e commentata da C.N. e Delfino Orsi, Torino 1895; Ricordi diplomatici (1870), in Nuova Antologia, s. 3, 1895, LVI, pp. 5-25; Rappresentazioni popolari in Piemonte. Il Giudizio universale in Canavese, pubblicato e commentato da C. N. e D. Orsi, Torino 1896; Napoli nel 1861, inNuova Antologia, s. 4, XCVII (1902), 722, pp. 325-334; La visita di re Vittorio Emanuele II a Parigi e a Londra nell’autunno del 1855. Una pagina dei ricordi di C. N., in Gazzetta del Popolo, 11 novembre 1903.
Fonti e Bibl.: Nonostante le distruzioni operate dallo stesso Nigra, le fonti disponibili rimangono consistenti. Quelle inedite sono conservate presso il Museo nazionale del Risorgimento italiano di Torino, Archivio Nigra, donato dagli eredi fra il 1929 e il 1934, interamente ordinato e integrato dalle Carte Nigra, versate nel 2007 dalla famiglia De Vecchi di Val Cismon. Per l’attività diplomatica occorre inoltre fare ricorso all’Arch. storico del ministero degli Affari esteri di Roma. Le fonti edite sono: Il carteggio Cavour-N. dal 1858 al 1861, a cura della R. Commissione editrice dei carteggi cavouriani, I-IV, Bologna 1926-29, poi ripubblicato e integrato in C. Cavour, Epistolario, a cura della Commissione nazionale per la pubblicazione dei carteggi del conte di Cavour, ad annos, Firenze 1998-2011. Ulteriori fonti sono state edite in occasione del centenario della nascita nel 1928 per iniziativa di Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon: Carteggi e bibliografia di C. N., a cura di A. Colombo et al., in Il Risorgimento italiano, XXI (1929), 3-4, pp. 295-665, poi ripubblicati in volume (Torino 1930). Per altri documenti pubblicati singolarmente si rinvia a A. De Felice, Nota bibliografica, in L’opera politica di C. N. a cura di U. Levra, Bologna 2008, pp. 19-23. I necrologi più significativi furono: la commemorazione tenuta in Senato dal presidente Tancredi Canonico il 2 luglio 1907, in Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 3 luglio 1907, pp. 3977 s.; la Commemorazione dell’accademico C. N. letta dal presidente F. D’Ovidio nella seduta del 17 novembre 1907, inRendiconti della Reale Accademia dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XVI (1907), pp. 689-696; A. Luzio, La morte dell’ambasciatore N. a Rapallo e L’uomo, in Corriere della Sera, 2 luglio 1907; In morte di C. N., in La Stampa, 2 luglio 1907; La morte di C. N. a Rapallo, in Gazzetta del Popolo, 2 luglio 1907; L. Minguzzi, Di che si conversava col conte N., in Corriere della Sera, 25 luglio 1907; C. N., in Nuova Antologia, XLII (1907), 854, pp. 352 s.; Da N. a Tornielli. Dal Congresso di Parigi alla Conferenza dell’Aja, ibid., XLIII (1907), 855, pp. 510-516. Manca una ricerca complessiva sull’azione politica e diplomatica di Nigra, mentre lo studioso di linguistica e tradizioni popolari è stato ampiamente indagato. Per un elenco dettagliato degli scritti di Nigra in questi campi e una panoramica aggiornata della relativa bibliografia si veda la nuova edizione critica di Canti popolari del Piemonte, a cura di F. Castelli - E. Jona - A. Lovatto, introduzione di A.M. Cirese, Torino 2009. Le ricerche storiche sono state sollecitate dalle già ricordate celebrazioni del 1928 e da quelle del 2007-08 per il centenario della morte e i 180 anni della nascita. Fra una celebrazione e l’altra sono state pubblicate varie opere divulgative per lo più apologetiche, ricche di informazioni, ma riproponenti spesso logori stereotipi. Anche per esse si rinvia a A. De Felice, Nota bibliografica cit. e alla rassegna degli studi su Nigra di U. Levra, N. tra storia e mito, in L’opera politica di C. N., cit., pp. 25-51. Per ulteriori informazioni, tratte dalla documentazione inedita presso il Museo del Risorgimento di Torino, si rinvia a C. N. 1828-1907. Catalogo della mostra, a cura di U. Levra, Torino 2008. I rimandi essenziali per le varie fasi dell’attività di Nigra sono: per gli anni 1856-6, R. Romeo, Cavour e il suo tempo, III (1854-1861), Roma-Bari 1984, ad ind.; sulla luogotenenza napoletana, A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione (1860-1861), Milano 1963, ad ind.; F. Contaretti, L’unificazione contrastata. Farini, N. e le luogotenenze di Napoli (novembre 1860-maggio 1861), in Studi piemontesi, XV (1986), 1, pp. 83-100; sulla vicenda massonica del 1861, A. Colombo, Per la storia della Massoneria nel Risorgimento italiano. Documenti dell’Archivio Govean, in Rass. storica del Risorgimento, I (1914), 1, pp. 53-89; L. Polo Friz, La Massoneria italiana nel decennio post-unitario. Lodovico Frapolli, Milano 1998. Il più bel profilo di Nigra diplomatico rimane quello di F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Le premesse, Bari 1951, pp. 600-618. Oltre ai successivi studi generali sulla politica estera del Regno d’Italia, nello specifico si rinvia a M. Craveri, C. N. ambasciatore a Pietroburgo (1876-1882), in Clio, XXVIII (1992), 4, pp. 601-621. Sulla costruzione della memoria delle vicende storiche cui Nigra aveva concorso: U. Levra. Fare gli italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento, Torino 1992, ad indicem.