ULIVELLI, Cosimo
– Tenuto a battesimo dal letterato Vincenzo di Giovanni Giraldi, nacque a Firenze, nel popolo di S. Felice in Piazza, da Francesco di Andrea e da Maddalena di Francesco Graziani il 7 novembre 1625, a distanza di nove anni dal primogenito Andrea, venuto alla luce l’11 agosto 1616. Dalle rispettive fedi di battesimo presso l’Opera di S. Maria del Fiore si evince che negli anni intercorsi fra le due nascite la famiglia Ulivelli – accresciutasi nel frattempo o poco dopo di una figlia di cui s’ignora il nome (Baldinucci, 1725-1730 circa, 1975, p. 262) – trasferì il proprio domicilio dalla zona di S. Niccolò in Oltrarno alle immediate vicinanze di palazzo Pitti per venire incontro all’attività professionale del padre Francesco. Questi, infatti, lavorò molti anni al servizio di don Lorenzo de’ Medici, cui «fu sommamente caro» e grazie al quale suo figlio Andrea, divenuto «perito nel suono e nel canto», ottenne la carica di dispensiere del principe Mattias «ed il favore insieme della granduchessa Vittoria della Rovere» (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 3).
Della costante protezione accordata da don Lorenzo alla famiglia Ulivelli riferiscono le due biografie settecentesche dedicate a Cosimo, testimoni della sua prolifica carriera di frescante e pittore da cavalletto svoltasi perlopiù a Firenze, avendo rinunciato ai viaggi di studio a Roma e in Emilia, offertigli dallo stesso don Lorenzo e più tardi da Ciro Ferri, per non abbandonare la madre e la sorella dopo la scomparsa del capofamiglia (ibid., pp. 6, 22 s.; cfr. Baldinucci, 1725-1730 circa, 1975, pp. 261 s.). La biografia intitolata Ricordanze della vita e pitture di Cosimo Ulivelli, scritta l’indomani della morte dell’artista (1705) da un «suo contemporaneo» ed edita nel 1772 da Domenico Maria Manni, è da ritenersi attendibile poiché l’anonimo autore intese emendare alcune false informazioni diffuse in precedenza dall’Abcedario pittorico di Pellegrino Antonio Orlandi (1704, p. 126) – e ribadite da Francesco Maria Niccolò Gabburri (1719-1743, II, 1725 circa, c. 35r) – derivando le notizie e l’elenco topografico delle opere da memorie autografe del pittore «appresso della famiglia esistenti» (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 7). La seconda e più nota biografia di Ulivelli, redatta oltre un decennio più tardi da Francesco Saverio Baldinucci (1725-1730 circa), compensa il minor numero di opere citate fornendo ulteriori ragguagli sul pittore e sulla cronologia interna al catalogo.
I biografi riportano che Cosimo entrò fanciullo, previa raccomandazione di don Lorenzo de’ Medici, nella bottega di Matteo Rosselli, dove fu avviato alla pittura disegnando dal naturale, per poi essere ammesso alla scuola di nudo dell’Accademia del disegno in via della Crocetta. Pur seguitando a operare al fianco del maestro fino alla morte di questi nel 1650, dall’età di sedici anni Ulivelli iniziò una produzione autonoma «tanto a fresco quanto a olio in molti luoghi» (Ricordanze..., inizi XVIII sec., 1772, p. 6; Baldinucci, 1725-1730 circa, 1972, p. 260). Alla fase rosselliana – mai indagata finora – è riconducibile, con una datazione ante 1645, un ciclo di piccoli affreschi di timbro riformato assegnati a Cosimo senza alcun riferimento cronologico da ambedue i biografi e da Giuseppe Richa (1755, III): s’intende il fregio composto da tre coppie angeliche e da nove scomparti con Opere di carità cristiana che decora le pareti interne dell’ex oratorio dei Ss. Jacopo e Filippo in via della Scala, allora in uso alle suore agostiniane dette in seguito Stabilite della Carità. Intorno al 1648, anno dell’immatricolazione all’Accademia del disegno (Gli Accademici del disegno, 2000), risale l’esecuzione delle tre lunette affrescate dal ventitreenne Ulivelli nel chiostro del Carmine, espressione del suo «miglior tempo» secondo Luigi Lanzi (1795, p. 223) ed erroneamente riferite dalle fonti al pittore non ancora ventenne. Andate distrutte la lunetta con Elia sul carro di fuoco e quella con la Morte di Eliseo – lodata più tardi da Luca Giordano (Baldinucci, 1725-1730 circa, 1972, p. 260) e visualizzata dall’incisione nell’Etruria Pittrice (Lastri, 1795) – nel chiostro carmelitano resta quella con Elia infonde a Eliseo parte del suo doppio spirito (Meloni Trkulja, 1992, p. 189, fig. 18), a documentare, con l’adesione di Cosimo all’ultimo Rosselli, il suo stile anteriore all’ingresso nel 1650 nell’atelier di Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano.
Nel giro di pochi anni Ulivelli assunse all’interno della bottega il ruolo di principale collaboratore del Volterrano insieme al coetaneo Pier Maria Baldi. Ai due allievi, come narra Filippo Baldinucci nella Vita di Franceschini, fu affidata nella galleria di palazzo Giraldi in via de’ Ginori l’esecuzione ad affresco, su disegno del maestro, della ricca cornice che inquadra nella volta, tramite figure a finto stucco abbinate a medaglioni, lo sfondato centrale con Re David del Volterrano, ora datato intorno al 1654 (Baldinucci, 1681-1728, 1847, p. 170; Fabbri - Grassi - Spinelli, 2013, pp. 188 s.). L’incontro con Franceschini, depositario a Firenze delle moderne istanze barocche, significò dunque per Cosimo, restio a lasciare la città, la possibilità di aggiornarsi attraverso lo stile neocorreggesco e arditamente illusionistico del maestro, aderendovi al punto da diventarne inizialmente l’alter ego (Lanzi, 1795), e autore di alcune pitture considerate fino a tempi recenti autografe del Volterrano. A Ulivelli vanno infatti restituiti sia la grande tela con Diana e Callisto (Parigi, collezione privata), pagatagli nel 1657 dagli eredi di Agnolo Galli e ricordata nel loro palazzo come ‘il Bagno di Diana’ a pendant con Ila e le ninfe di Francesco Furini (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 18), sia i due affreschi coevi nel salone della medesima dimora, raffiguranti una coppia di sposi e un servitore di casa Galli (Fabbri - Grassi - Spinelli, 2013, pp. 339-342). A questi anni risale pure Borea rapisce Orizia nelle due redazioni su tela conservate a La Fère (Musée Jeanne d’Aboville) e a Dole (Musée des beaux-arts), ultimamente attribuite a Cosimo per motivi stilistici (Gaulard - de Vesvrotte, 2015). Alla mano di Ulivelli appartiene anche l’affresco su embrice con l’Allegoria della Poesia, già transitato sul mercato newyorkese sotto il nome del Volterrano (Recent acquisitions, 2005) e secondo noi databile ai primi anni Sessanta.
Dalla fine del sesto decennio del Seicento, coincidente con la ripresa dell’attività individuale, il percorso artistico di Ulivelli assume un andamento più definito in presenza di un alto numero di opere documentate. Pagamenti a suo nome ne attestano il coinvolgimento in alcune commissioni medicee che gli consentirono di interagire con i decoratori di interni attivi a corte: fra il 1659 e il 1660 collaborò con Agnolo Gori per le parti figurate in tre campate a grottesca del terzo corridoio degli Uffizi (Amor della patria, Amor delle lettere, Teologia; cfr. Caneva, 1979; Leoncini, 1984, p. 335 nota 149; Bastogi, 2007, pp. 85, 88-90, tav. 2; Conticelli, 2018); dal 1659 al 1661 eseguì per l’arazzeria medicea i cartoni per tre arazzi della serie dedicata a Cosimo I de’ Medici (Meoni, 2018); infine, come aiuto di Jacopo Chiavistelli, prese parte nel 1661 ai decori dell’appartamento a terreno di palazzo Pitti destinato al granprincipe Cosimo e alla futura sposa Marguerite-Louise d’Orléans (Leoncini, 1984, pp. 326-329 nota 135; Spinelli, 2006, p. 234). In virtù del successo ottenuto anche grazie a «certe pitture» eseguite nella villa di Lappeggi per Mattias de’ Medici, il granduca Ferdinando II assegnò a Ulivelli, su richiesta del senatore Ferrante Capponi, «una stanza nella Real Galleria per averlo pronto ad ogni occorrenza»; ma il pittore, sviato dal desiderio di sposare una «bella e onesta donzella di 15 anni sua pari», smise di frequentare gli Uffizi, con conseguente revoca del beneficio (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 16).
Ai primi anni Sessanta risale un capolavoro poco noto della prima maturità di Ulivelli, citato dalle Ricordanze (p. 18) e datato erroneamente intorno al 1670 (Pellicciari, 2016), benché costituisca una summa delle esperienze del pittore prima e durante la sua presenza alla corte medicea. Si tratta della sontuosa decorazione ad affresco che riveste la volta e le pareti della galleria di palazzo Salvi (poi Magnani) in via S. Egidio, dove sfondi a carattere mitologico di stretta osservanza volterranesca si schiudono oltre finte architetture visibilmente ispirate, sull’esempio di Chiavistelli, alla pittura di prospettiva introdotta a Pitti dai bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli (1637-41). In contiguità temporale con i decori in palazzo Salvi si collocano, nell’adiacente via della Pergola, gli sfondi e le architetture illusionistiche affrescate da Cosimo nella «cappella interiore» dell’ex ospizio di s. Tommaso d’Aquino (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 11; Richa, 1758, VII, p. 80). Ed è proprio sul versante religioso che Ulivelli, impostosi per la «prestezza e maestria dell’operare», ottenne il maggior numero di incarichi a partire dal 1662, anno in cui eseguì nella controfacciata della chiesa di Ognissanti l’affresco con La Madonna presenta il Bambino a s. Francesco (Spinelli, 2018, pp. 191 s., fig. 2), originariamente in forma di lunetta (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 12).
L’affrescatura nella volta della cappella Falconieri di «alcuni Profeti e altri Santi del Vecchio Testamento» (Baldinucci, 1725-1730 circa, 1972, p. 261; Richa, 1759, VIII) – distrutti con il totale rifacimento del vano nel 1769 – sancì l’inizio nel 1664 del decennale rapporto di Cosimo con il santuario della SS. Annunziata negli anni in cui vi lavorava il Volterrano (Fabbri, 1989). Ignorato dai biografi e forse coevo al perduto affresco Falconieri, lo sfondo con La Virtù offre la corona di alloro a Orfeo, dipinto in un vano conventuale oggi incorporato nell’Istituto geografico militare (Benassai, 2009, pp. 125 s., 132-135 note 3-5), costituì il probabile preambolo alla documentata serie di pitture eseguite da Ulivelli all’interno della SS. Annunziata (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, pp. 7 s.; Baldinucci, 1725-1730 circa, 1972, p. 261; Tonini, 1876): nel 1666 il pittore partecipò con Simone Pignoni agli ornati della cappella Donati nella tribuna, affrescandovi nella volta quattro personificazioni allegoriche identificabili non già come Virtù cardinali (Grassi, 2014, p. 98), bensì con Umiltà, Amore verso il prossimo, Amore verso Dio e Obbedienza; fra il 1669 e il 1670 risulta documentata l’esecuzione, lungo il registro superiore della navata, di gran parte dei Miracoli della SS. Annunziata affrescati negli spazi tra le finestre, entro cornici mistilinee in stucco dorato; nel 1670 si datano i perduti affreschi nella volta della cappella Tedaldi, completata l’anno seguente dalla tela con l’Intercessione di s. Filippo Benizi del Volterrano; al 1675 risale invece, su commissione dei servi di Maria, la pala d’altare nella cappella Canigiani raffigurante la Guarigione di s. Pellegrino Laziosi, prossima per dati di stile alla tela con la Messa di s. Filippo Neri (Firenze, Gallerie fiorentine, depositi), riferita di recente a Ulivelli (Bellesi, 2009, I, p. 263, e III, fig. 1608) e qui identificata con il dipinto di ugual soggetto già nella «cappella de’ padri di s. Filippo Neri presso S. Francesco al Monte» (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, pp. 14 s.). L’attività di Cosimo nella SS. Annunziata si concluse nel 1677 con l’affrescatura, a spese dei frati, della cappella Medici con storie inerenti all’Ordine dei servi, oggi alquanto deperite.
Lungo la linea temporale scandita dal susseguirsi delle opere all’Annunziata (1664-77) si scalano altre pitture di Ulivelli che denotano, parallelamente alle prime, la crescente volontà del pittore di distinguersi dai modi aulici del Volterrano fornendone un’interpretazione più corsiva e accostante. Segnali di tale orientamento si registrano sia nei cinque murali a tempera con Storie di Cristo e santi, dipinti nel 1665 nella trecentesca sala capitolare di S. Felicita in collaborazione con Agnolo Gori (Fiorelli Malesci, 1986, pp. 265, 269), sia nel recuperato affresco con l’Incoronazione della Vergine fra i ss. Giuliano e Bartolomeo nell’abside della pieve di S. Giuliano a Settimo, parimenti datato «l’anno 1665» (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 14). A dispetto delle successive critiche di Lanzi (1795), il codice pittorico di Ulivelli generò ampi consensi non solo all’Annunziata ma anche in altri conventi fiorentini, a giudicare dall’alto numero di commissioni religiose menzionate dai biografi. Scomparsi gli affreschi nelle chiese di S. Barnaba, S. Leonardo in Arcetri, S. Silvestro e S. Stefano in Pane, la crescente notorietà di Cosimo si misura anzitutto con la documentata partecipazione, accanto a Chiavistelli e Gori, al rinnovamento interno della chiesa di S. Maria Maddalena dei Pazzi con l’esecuzione nel 1669 della Carità e dell’Umiltà, affrescate ai lati dell’arco trionfale, e di due delle dieci tele a più mani dedicate alla santa lungo la fascia superiore della navata (Pacini, 1992, pp. 144, 148 s.). Dal quadro relativo a tale ciclo carmelitano con S. Agostino scrive sul cuore di s. Maria Maddalena dei Pazzi deriva l’ottagono di ugual soggetto (Firenze, Museo di casa Martelli) restituito di recente a Ulivelli (Guidetti, 2014, pp. 106 s., 200) e per noi ricollegabile alla tela ottagonale, di tema e misure analoghi, descritta a nome del pittore in un inventario settecentesco della collezione Marsuppini, in coppia con un perduto S. Francesco in estasi della medesima mano (Sottili, 2015, p. 305). Gli affreschi mariani nella cappella del castello Acciaioli a Montegufoni (Nesi, 1988, pp. 10-13), datati nella lapide dedicatoria al 1673, e il noto sfondo circolare nella chiesa di S. Monaca con Gesù accoglie in Paradiso s. Martino vescovo, eseguito «l’anno 1675» (Ricordanze..., inizi XVIII secolo, 1772, p. 13), sono senz’altro posteriori a un altro capolavoro misconosciuto di Ulivelli, menzionato dalle Ricordanze (p. 18) e affine per dati di stile ai citati Miracoli della ss. Annunziata, conclusi nel 1670: s’intende il Trionfo dell’arme Grazzini affrescato nella volta a crociera di una sala terrena dell’ospedale degli Innocenti destinata ad archivio dal committente Filippo di Giovan Francesco Grazzini, canonico del duomo e spedalingo dal 1685.
Alla fase estrema di Cosimo risalgono i distrutti affreschi nel catino absidale della chiesa di S. Martino in Campo presso Artimino, documentati nel 1684 (Bellesi, 1998, pp. 131 s.), e gli sfondi e i sovrapporti allegorici in palazzo Verzoni Buonamici, poi Banci, a Prato, già datati ante 1679 (Grassi, 2015, pp. 38 s.), ma da posticiparsi per ragioni stilistiche dopo la metà degli anni Ottanta (Bellesi, 1998, pp. 132 s., 148 nota 136), in prossimità del noto affresco con La Virtù tentata dai Vizi in una sala di palazzo Corsini in Parione, saldato al pittore nel 1692 (Guicciardini Corsi Salviati, 1989). Benché gratificato all’aprirsi del Settecento dalla partecipazione alle campagne decorative nei chiostri di S. Domenico a S. Marco e S. Spirito, Cosimo non resse all’incalzare delle più moderne tendenze pittoriche; e il suo stile, ormai fossilizzatosi in stanche ripetizioni di formule volterranesche, apparve anacronistico e non più al passo con i tempi.
Morì ottantenne l’8 settembre 1705 a S. Maria al Monte (Pisa), dove si era ritirato, ormai vedovo, presso uno dei quattro figli – «due sacerdoti e due secolari» –, e fu sepolto nella locale compagnia del Corpus Domini (Ricordanze..., XVIII secolo, 1772, pp. 23 s.).
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