MORELLI, Cosimo
MORELLI, Cosimo. – Nacque a Imola il 6 ottobre 1732 da Domenico Maria, architetto- imprenditore originario di Torricella di Lugano, e da Maria Vittoria Costa (Matteucci - Lenzi, 1977, p. 194).
Applicatosi alla geometria sotto la direzione del gesuita Vincenzo Savini, col fratello minore Luigi (in seguito direttore dei suoi cantieri) si formò presso il padre e lo zio Domenico Trifogli, pure emigrato dal Ticino, partecipando poi a fabbriche dirette dal padre a Imola e a Massalombarda (1751-1759).
Nel 1759 fu inviato a Roma dal vescovo Giancarlo Bandi, già suo protettore, per far esaminare all’architetto Girolamo Theodoli il suo disegno di trasformazione del duomo di Imola (approvato ma non attuato). Nella città conobbe il cesenate Giovanni Angelo Braschi, nipote di Bandi e futuro papa Pio VI, e gli altri prelati che d’ora in poi ne avrebbero favorito il successo professionale e l’affermazione sociale.
Prestigiose commesse come architetto, titoli nobiliari e onorifici e l’acquisizione di un cospicuo patrimonio (poi disperso con l’arrivo delle truppe francesi) contrassegnarono la frenetica carriera di Morelli, non concordemente riconosciuta dalla cultura ufficiale, dato che solo l’Accademia Clementina lo accolse fra i soci d’onore. Ma, oltre che dalle giuste protezioni, la sua fama derivava anche dall’abilità tecnica e da quella organizzativa, che gli permettevano di contenere le spese grazie a una collaudata squadra di artigiani e di pittori (come Antonio Villa e Alessandro Della Nave) i quali, a prezzi vantaggiosi, simulavano in pittura i costosi motivi ornamentali. Fu però soprattutto per la capacità di interpretare il gusto estetico corrente – quel neocinquecentismo a cui rimarrà sempre fedele, con atteggiamento raramente innovatore e mostrando nella propria attività anche «stanchezze e monotonie» (ibid., p. 95) – che egli divenne uno dei più attivi architetti dello Stato pontificio.
Il nuovo linguaggio architettonico emerse all’inizio degli anni Sessanta, al rientro da Roma, città dove Morelli si sarebbe recato più volte. Lo documentano i progetti per la libreria del convento di S. Francesco di Imola (1761-1768; ora Biblioteca comunale), dove anche lo scalone iniziato da Alfonso Torreggiani fu depurato da ogni elemento decorativo di sapore barocco, e quelli per l’asciutta facciata del palazzo pubblico di Massalombarda (1763-1764), di cui aveva già realizzato il fianco sinistro (1757-1759). Al 1762 risale il progetto della collegiata di S. Francesco a Lugo in cui, riprendendo il classico schema degli edifici religiosi della Controriforma, enfatizzò lo spazio, come mostra la dilatata zona presbiteriale, sormontata da un semplificato tipo di copertura a cui sarebbe rimasto sempre legato: una sorta di catino privato del tamburo e percorso da costoloni binati che proseguono i sottostanti pilastri angolari. Di questi anni sono anche la realizzazione della libreria del collegio dei gesuiti di Imola, il progetto del nuovo collegio Trisi a Lugo (1764; ora Biblioteca comunale) e quello del santuario della Beata Vergine del Soccorso a Bagnara di Romagna (1765).
Per il duomo di Imola l’ammodernamento, per volere di Bandi, si trasformò in una riedificazione (1765-1781), decisione che, nel desiderio di maggiore magniloquenza, sarebbe stata presa anche per altre antiche cattedrali dei territori pontifici. La preesistente tipologia a navate fu interpretata da Morelli all’insegna del grandioso, come mostrano lo scenografico interno, con presbiterio sopraelevato, e la mole dell’intero edificio, dominante sul contesto urbano. In città si occupò anche dell’ammodernamento del palazzo vescovile (1766 circa-1775) e della chiesa di S. Agostino (1767), nonché della prosecuzione dei lavori nel palazzo comunale (1768), incompiuto alla morte di Torreggiani, e della progettazione della chiesa di S. Stefano (1770).
Presente a Macerata all’inizio degli anni Settanta per la realizzazione del teatro civico, fu incaricato dal papa di occuparsi del rifacimento dell’antico duomo (1771- 1790), per il quale ideò anche la fronte a doppia torre campanaria (non realizzata). I lavori procedettero con varie interruzioni, sia per la carenza di denaro, sia per l’instabilità del terreno in pendenza. Pure in questo caso, riprendendo la preesistente struttura a navate, Morelli propose dimensioni grandiose, come evidenzia la monumentale mole dell’abside, mentre di sobria eleganza ideò l’interno, poi compromesso da posteriori decorazioni pittoriche. Nel frattempo si impegnò a dirigere la ricostruzione (1772-1780) della cattedrale di Fossombrone che mostrava segni di instabilità, pure qui armonizzando la precedente tipologia a navate con le sviluppate cappelle laterali. Innovativa per l’area marchigiana fu la monumentale fronte di ispirazione palladiana, che precedette quella di Camillo Morigia per il duomo di Urbino (1782).
Nella chiesa di S. Maria della Misericordia a Castelbolognese (1772, consacrata nel 1774) Morelli mostrò la capacità di esprimersi anche con uno stile più aggraziato. Al coro, ideato nel 1751 da Ottavio Toselli, congiunse la nuova navata dominata da un catino emisferico caratterizzato da un perfetto intaglio geometrico, affiancata da ancone tenuamente convesse e da coretti con sottili decorazioni. La medesima cifra stilistica appare nel palazzo Anguissola a Piacenza (1773-1777) in cui l’elegante fronte presenta finestre con leggere cornici, mentre all’interno risalta l’ariosa scala con rampe disposte attorno alla tromba centrale, di pianta rettangolare, e delimitate da sottili colonne.
Con l’impegno, assunto nel frattempo, di attuare i disegni di Antonio Galli Bibiena per il teatro Condominiale di Macerata (1769-1774; ora intitolato a Lauro Rossi), Morelli avviò quell’attività progettuale in ambito teatrale che lo accompagnò per tutta la carriera.
L’elegante interno, di tono ancora tardobarocco, è ricco di soluzioni tipicamente bibienesche, come la sala della cavea ‘a campana’ o l’alzato dei palchetti a balconcino. Tali scelte progettuali riguardarono anche il teatro La Nuova Fenice di Osimo (1773-1785; demolito) e il teatro pubblico di Forlì (1773-1776; abbattuto dopo il 1944), semplice organismo ben presto criticato per la cavea ritenuta insufficiente e per il palcoscenico non abbastanza sviluppato per i grandi spettacoli operistici. Nel teatro dei Cavalieri associati di Imola (1775- 1782, distrutto nel 1797) i tre ordini di 17 palchi, ideati a fascia, appaiono inseriti nel moderno profilo ellittico della cavea mentre il palcoscenico ‘a tre bocche’, cioè con tre possibili distinti allestimenti scenici, e la soppressione del proscenio architettonico diventano elementi innovativi con la conseguente sutura della sala e del palco in un ambiente unitario. Forse l’originale idea risale a qualche anno dopo la progettazione, quando Morelli rientrò in patria dopo un soggiorno a Roma, dove probabilmente aveva potuto conoscere le innovative proposte della ricca trattatistica francese sul tema; lo suggeriscono i disegni per il teatro Nuovo di Novara (1777), ancora legati a schemi tradizionali (Matteucci - Lenzi, 1977, p. 286). Ancor prima dell’inaugurazione del teatro imolese Morelli pubblicò a Roma i progetti dell’edificio in un in folio (Pianta e spaccato del nuovo teatro di Imola…, 1780), con piante e spaccati dei più celebri e moderni teatri d’Italia. L’eco dell’opera imolese fu del resto vasta e nell’agosto 1780 Morelli diede inizio alla costruzione del teatro dell’Aquila di Fermo, in cui ripropose le sue scelte progettuali aggiungendo i servizi e aumentando le dimensioni della sala. A causa dei lavori più volte interrotti e da lui non seguiti direttamente, il teatro fu inaugurato nel 1791; ma poiché il palcoscenico fu giudicato troppo grande e scomodo si decise di ristrutturarlo per opera di Giuseppe Lucatelli, restringendo l’apertura del boccascena con l’aggiunta di due palchetti per lato che allungarono l’ellisse della cavea. Nel 1785, quando diede una sua consulenza sui progetti di Nicola Nervi per il teatro di Vercelli, ispirati a quello di Imola, Morelli non esitò pertanto, per la necessità di costruire più palchi, a sconsigliare lo scenario «a tre bocche». Desideroso di sollecitare un giudizio sul tale tipo di palcoscenico, nel 1790 partecipò al concorso per il teatro La Fenice di Venezia, pubblicando due anni dopo i documenti grafici di quella che fu la sua progettazione teatrale più complessa (Progetto per il nuovo teatro da fabbricarsi in Venezia…, Imola 1792). Innovativa appare, nell’ammezzato, la presenza di un notevole complesso di servizi e di ben 26 botteghe di ‘galanterie’. A causa del sito irregolare, per conferire più spazio alla sala teatrale ellittica ne orientò l’asse maggiore di sbieco rispetto a quello dell’ingresso principale. All’esterno, come fu pochi mesi dopo per il teatro comunale di Ferrara e per quello della Concordia di Jesi (ora Pergolesi), ripropose il tipo di facciata di palazzo nobile, con portici e botteghe al pianterreno, ma dal partito architettonico simile a quello dell’erigendo palazzo Braschi a Roma.
Grazie al buon successo ottenuto al concorso veneziano, intervenne come consulente in una serie di realizzazioni o fu compartecipe in alcuni progetti; si ricordano il teatro di Tordinona (novembre 1790, distrutto) a Roma, del quale ridefinì la curva della cavea disegnata da Felice Giorgi, e il teatro comunale di Ferrara (1790-1798), progettato con Antonio Foschini, dal quale lo divisero aspri contrasti sulle scelte progettuali. Nel 1792 rivide il progetto per il citato teatro di Jesi, già avviato da Francesco M. Ciaraffoni. Fedele all’impianto ellittico per la cavea priva di prosceni e all’alzato con palchetti a fascia, a Ferrara e a Jesi spostò il suo interesse verso il complesso dei servizi e degli annessi che i moderni teatri oramai richiedevano.
Nel 1774 apportò modifiche per conferire maggiore solennità al duomo di Ravenna e avviò la conclusione della cappella della villa Rasponi a San Giacomo di Russi. Soggiornò quindi a Roma fino all’elezione di Pio VI (febbraio 1775) che lo incaricò di realizzare progetti per il duomo, la libreria e il teatro civico di Cesena, sua città natale (inattuati). Qui avrebbe eretto solo la facciata del Ridotto (1782- 1787), antistante un edificio del XV secolo nella cui arcata centrale del piano nobile fu collocata (1791) una statua del papa. Seguirono gli interventi di ammodernamento del palazzo apostolico di Ravenna e gli apparati decorativi per i festeggiamenti a Imola in onore del vescovo Bandi eletto cardinale, che Morelli aveva seguito a Roma per la cerimonia (settembre 1775).
Nel 1776 partecipò al concorso per il progetto della nuova sagrestia vaticana (vinto da Carlo Marchionni) ed eseguì alcuni gli studi per dare sistemazione all’accesso alla basilica di S. Pietro da ponte S. Angelo.
Morelli propose la demolizione della ‘spina’ dei Borghi creando, su suggestione classicista, un asse rettilineo a prospettiva allungata, che anticipava di circa un secolo e mezzo l’apertura di via della Conciliazione. Abbandonando l’idea berniniana del terzo braccio veniva concepita una sorta di vasta place royale, introdotta dalla nuova strada caratterizzata da un tracciato leggermente asimmetrico – forse per limitare le demolizioni degli edifici esistenti – anticipata da due solenni propilei (Matteucci - Lenzi, 1977, p. 241).
Di nuovo in Romagna, si dedicò all’ideazione della sua villa all’orto Vaìna nell’Imolese (1777), casino di ispirazione palladiana (documentato da un’incisione) e al progetto (non eseguito) per la piazza di Santarcangelo di Romagna, dove, per volere del Comune, desideroso di onorare il concittadino Clemente XIV, concluse l’arco trionfale (avviato nel 1772). Idee funzionaliste emergono nei disegni della vasta piazzamercato di pianta rettangolare, pensata cinta da cortine edilizie porticate che riprendono il motivo del fornice dal monumento dedicato al papa: ne deriva un’unità ritmica e funzionale che poi Morelli ripropose nell’ospedale di S. Maria della Scaletta a Imola (1782, ora ospedale Vecchio) e soprattutto nel borgo di Sasso (1780-1785 circa), posto nei pressi della città (in seguito denominato Sasso Morelli), in cui la villa dell’architetto e gli edifici colonici, disposti intorno alla piazza quadrangolare, trovano motivo uniforme nel ritmo delle arcate.
Nel frattempo aveva avviato il rinnovamento del tipo tradizionale di chiesa parrocchiale nel tempio dei Ss. Nicolò e Agata a zola Predosa (1777-1781), dove l’impianto a tre navate fu sostituito da un’aula unica di pianta quadrangolare. Tale caratteristica, unita alla volontà di instaurare un logico rapporto tra esterno e interno, condusse alla progettazione della chiesa di S. Maria in Regola (1780-1786) a Imola, considerata uno dei suoi progetti più riusciti di Morelli. Rivoluzionario esempio di neoclassicismo romagnolo, l’edificio presenta un’aula a pianta tendente al rettangolare, con presbiterio innestato e a base quadrata, sormontata da un’ampia volta dipinta a cassettoni e finto cupolino (ma incompleta nell’apparato decorativo). Negli stessi anni si occupò della ricostruzione della chiesa dell’Osservanza a Cesena, poi affidata a Leandro Marconi (che però riprese le idee di Morelli), e della chiesa di S. Petronio a Castelbolognese (1783-1786, consacrata nel 1788), dove lo spazioso interno a tre navate è coperto da una grande volta a botte con finti cassettoni. Si occupò quindi della riedificazione della chiesa di S. Stefano a Barbiano (1787-1792), caratterizzata dalla pianta ellittica cinta da cappelle semicircolari, quattro delle quali, in origine, realizzate a pianta quadrangolare e distribuite a croce greca.
L’ultima ricostruzione di un’antica cattedrale fu quella del duomo di Fermo (1781-1789), di cui, per le proteste dei fedeli che provocarono l’intervento diretto del papa, si decise di conservare alcune parti antiche fra cui la facciata. Caratterizzato da un interno vasto e luminoso, l’edificio presenta un inconsueto schema a croce greca raddoppiata, volto ad accentuare anche la direttrice accesso-altare giocata su effetti scenografici.
Ancora a Imola progettò il citato ospedale di S. Maria della Scaletta (1782), concepito secondo schemi grandiosi ma di moderna funzionalità, anche se differenze emergono con i disegni di Morelli, non sempre presente durante le fasi costruttive. L’opera, eretta fuori della città, suggerì l’idea di allargare la cinta muraria e di inglobare pure una nuova dogana camerale annessa a una nuova porta urbica da denominarsi Pia in onore del papa (1793, con sospensione nel 1796).
Si giunge così all’ambito incarico per la progettazione di palazzo Braschi a Roma (1790-1798, con ripresa nel 1802-1816), voluto dal papa come residenza per il nipote Luigi Braschi Onesti, impresa che avrebbe dovuto suggellare la brillante carriera di Morelli, mentre ne evidenziò i limiti del linguaggio architettonico.
Per l’edificio, costruito sull’area dell’antico palazzo Orsini, Morelli attinse ai modelli illustri dell’edilizia romana del Cinquecento, con citazioni di opere emiliane, tramite un processo di selezione teso a ricondurre tutto a uno stile semplice e corretto. Cercando di accordare l’economico al monumentale, nei prospetti realizzati in travertino e mattone a vista, con uso del bugnato, infittì gli elementi architettonici e annullò quella che era stata la grandiosità rinascimentale, conseguendo un esito freddo e monotono. All’interno, altamente scenografico è lo scalone d’onore, in cui ripropose la soluzione di palazzo Anguissola con un’interpretazione più solenne e un maggior sviluppo ascensionale. Per ottenere poi vari appartamenti indipendenti eliminò le grandiose sale di un tempo seguendo la moda oltremontana di ambienti più piccoli e accoglienti.
Rientrato in Romagna, diede avvio a vari lavori di progettazione, talvolta non attuati o perduti. Si ricordano quelli per il palazzo comunale di Bagnacavallo (1793- 1794, poi ripresi) e per l’ampliamento della strada del Monte a Imola (1796). L’esperienza nei lavori di prosciugamento delle paludi Pontine (1777, con Gaetano Rappini), si rivelò utile per le opere di bonifica in terreni di sua proprietà a Massalombarda (1795). Ma questo periodo fu gravato anche da problemi finanziari per i quali, nel 1810, Morelli scrisse a Canova per chiedere aiuti economici.
Al giugno 1811 risale il progetto di un ponte, ad arcata unica, sullo stretto di Derry in Irlanda, commissionatogli da lord Frederick A. Hervery vent’anni prima e mai realizzato. La relazione manoscritta (Imola, Biblioteca comunale, A. Coll. Im. C. 17: Problema di edificare un ponte di un sol arco di straordinaria grandezza…), corredata di tavole e dedicata al figlio di Napoleone, è rimasta inedita.
Morì a Imola il 26 febbraio 1812 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Regola.
Fonti e Bibl.: T. Papotti, Biografia di C. M., in Biografie e ritratti di uomini illustri di tutto lo Stato Pontificio. Serie romagnuola, Forlì [1830 circa]; G. Gambetti, C.M., architetto imolese, 1732- 1812, Imola 1926; D. Lenzi, C.M. e Giuseppe Pistocchi architetti teatrali, in Architettura in Emilia Romagna dall’Illuminismo alla Restaurazione. Atti del Convegno, Faenza… 1974, Firenze 1977, pp. 23-34; R. Fermani, C. M. nelle Marche, ibid., pp. 135-139; A.M. Matteucci - D. Lenzi, C.M. e l’architettura delle Legazioni pontificie, Imola 1977, ad ind.; A.M. Matteucci, C.M., in L’Arte del Settecento emiliano, architettura, scenografia, pittura di paesaggio (catal.), Bologna 1979, pp. 275 s.; Id., Da C. M. a Mauro Guidi, in L’arte del Settecento in Emilia e in Romagna. L’età neoclassica a Faenza 1780-1820 (catal., Faenza), Bologna 1979, ad ind.; Id., L’architettura del Settecento, Torino 1988, ad ind.; G. Adami, Un progetto inedito di C.M. per il concorso del teatro La Fenice di Venezia, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXVIII (1993), 79, pp. 105-110; S. D’Amico, L’espressione del sacro alla fine del XVIII secolo: la cattedrale di S. Giuliano a Macerata di C. M., in Le cattedrali: Macerata Tolentino Recanati Cingoli Treia, a cura di G. Barucca, Macerata 2010, pp. 41-54; S. Medde, «in meliore ac elegantiore forma»: C.M. e la ricostruzione della chiesa di S. Maria in Regola, in L’Abbazia benedettina di S. Maria in Regola: quindici secoli di storia imolese, Imola 2010, I, pp. 541-562; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 135; P. Mezzanotte, M. C., in Enciclopedia Italiana, XXIII, p. 812; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, IV, 1969, p. 135.