Corpus iuris civilis
La denominazione Corpus iuris (per la grafia medievale juris) civilis, già usata e comunque nota ai glossatori, compare a stampa solo nell'edizione di D. Gotofredo del 1583 (nel 1580 si ufficializza la dicitura Corpus juris canonici), e sotto questa denominazione si comprende l'opera legislativa di Giustiniano (487-565, imperatore dal 527): le tre compilazioni Digesta, Institutiones, Codex (repetitae praelectionis), più le Novellae. Sigle rispettive: D. (f f. nel Medioevo, forse per cattiva lettura di π, iniziale di Πανδέχται, corrispondente greco di Digesta), I. (J. nel Medioevo), C., Nov.: che nel Medioevo era Auth. e le nove parti Coll(ationes).
I Digesta - vasta antologia (o mosaico letterario) di iura, come si denominava in contrapposto alle leges (atti legislativi dell'imperatore), l'opera giurisprudenziale anteriore, che si inscrivono in quella letteratura della decadenza romana e più ancora nella letteratura tardogreca e bizantina, centonaria e dossografica, e si compongono di 9142 frammenti, scelti da 1625 libri di 39 giuristi dell'epoca classica, raccolti sotto 806 titoli o rubriche, contenuti in 50 libri (tranne i libri 30-32 compresi sotto il titolo De Legatis et fideicommissis), - furono pubblicati il 16 dicembre 533 prescrivendosene l'entrata in vigore al 30 dello stesso mese e anno.
Le Institutiones, in quattro libri e ciascuno diviso in titoli, in tutto 98, è del pari opera compilatoria ma senza indicazione degli autori onde si trae il materiale: anzi sono redatte come dettate dall'imperatore alla cupida legum iuventus, perché destinate ai primi rudimenti d'insegnamento nel primo anno delle scuole di diritto; ed erano nondimeno testo legislativo. Furono pubblicate il 22 nov. 533 e destinate ad andare in vigore insieme ai Digesta.
Il Codex repetitae praelectionis (così detto per distinguerlo dal Novus Codex lustinianeus fatto compilare nel 528-529), in dodici libri e ciascuno in titoli, 765, contiene una scelta di constitutiones o leges che vanno dall'imperatore Adriano al (4 novembre) 534: fu pubblicato il 17 e messo in vigore il 29 novembre 534.
Le Novellae (sottinteso constitutiones), così dette per essere non abrogative ma integrative, nella sostanza però spesso abrogative della legislazione compilatoria, furono emanate secondo le circostanze dal 535 al 565, data della morte di Giustiniano. Di esse si fecero tre raccolte (non da Giustiniano, benché ne avesse concepito il disegno, ma da privati): una in estratti in latino di 124 Novellae (in effetti 122, perché due reduplicate) a opera di un tal antecessor (giurista) Iulianus, e detta Epitome luliani; una di 134 ma nel testo integrale, e nel testo latino se pubblicate in questa lingua o in questa e in greco, in traduzione latina se pubblicate solo in greco, e detta Authenticum da Irnerio (allusivo il termine all'essere veramente, dopo essersene dubitato, opera di Giustiniano) o Authenticae; l'ultima, la più completa, di 168 Novellae nel testo greco, conosciuta solo dagli umanisti nel XV secolo.
Nel Medioevo il Digesto fu smembrato in tre sezioni che si dissero: Digestum vetus (dal I libro al titolo II, de divortiis et repudiis, del libro XXIV); Infortiatum (dal III titolo, Soluto matrimonio quemadmodum dos repetatur, del XXIV al XXXVIII libro); Digestum novum (dal XXXIX al L libro). Varie e vane sono state le spiegazioni addotte di tali innaturali sezionamenti, e delle ragioni e occasioni, e delle denominazioni enigmatiche.
Pure il Codex subì una divisione: Pars prior dei primi IX libri, contenenti materia di diritto privato più agevolmente adattabile alle esigenze normative del momento; mentre gli ultimi tre, tres posteriores libri, contenenti materia di diritto pubblico, rimanevano più estranei alle condizioni del tempo, e furono compresi nel Volumen legum (parvum), comprensivo anche delle Authenticae seu Novellae Constitutiones, Feudorum libri duo, Constitutiones Federici II Imperatoris, Extravagantes duo Henrici VII Imperatoris, Tractatus de pace Constantiae, nonché delle Institutiones.
Non tutte le Novellae dell'Authenticum furono accolte, ma solo 97 riunite in 9 Collationes.
A tutte le parti del C. furono apposte delle note, glossae, illustrative, dove il testo originale è spesso solo pretesto per elaborare e creare nuovo diritto. Di esse Accorsio (o Accursio) nella prima metà del XIII secolo fece una scelta, detta Glossa ordinaria, come dire definitiva, ufficiale e di valore normativo, che accompagnerà il C. nei secoli successivi.
Allusioni e derivazioni dal C. non mancano nell'opera di Dante. Sta di fatto che egli cita più volte espressamente il C. nel suo tutto o nelle sue parti; indica il C. con il termine Ragione, che è traduzione del resto corrente ai suoi tempi di ius non essendo ancora usato altrettanto largamente il termine ‛ diritto ', benché di origine antica; ma Ragione vuol essere anche termine elettivo per significare l'alta perfezione del diritto romano imperiale. Anzi, quella che sarà un'espressione carica di valore storico, ratio scripta in Corpore juris, tranne la specificazione locativa che in lui è ricompresa in Ragione, è già in Cv IV IX 8.
Cita la Ragione genericamente per " diritto ", in Cv IV XIX 4 in Ragione e per regola di Ragione (dove forse sarebbe preferibile la minuscola iniziale). Il riferimento al C. è preciso in Cv I X 3 (si mosse la Ragione a comandare) e IV XII 9 (Ragione, Canonica dico e Civile); e ancora, subito dopo (§ 10) l'una e l'altra Ragione (l'utrumque ius, il C. e il Corpus juris canonici); e inoltre in IV XXIV 17.
Quando si richiama alla Legge, è solo probabile si voglia riferire al C. nel suo insieme, sì che essa sarebbe sinonimica di Ragione; è assai più naturale che D. voglia citare specificamente il frammento del Digesto 37, 15, 1, che era detto (e ancor oggi è rimasto l'uso, benché si preferisca il termine, filologicamente più calzante, ‛ frammento ') ‛ legge ' (Cv IV XXIV 15). D. cita, inoltre, delle parti specifiche, il Vecchio Digesto in Cv IV IX 8, e l'Inforzato in XV 17 (si noti, correttamente, giusta l'uso preciso dei legisti, senza accompagnarlo col termine ‛ Digesto ', che pure è sottinteso, ma è più naturale sottintendervi ius).
In Mn II V 1 più genericamente cita illa ‛ Digestorum ' descriptio, che è fondamentalmente identica alla citazione di Cv IV IX 8: in entrambi i luoghi prende in esame la definizione del ius che, per essere il diritto romano la ratio stessa, s'identifica con la equitade, cioè con la giustizia. Per il contenuto di queste citazioni, e per tutte le allusioni e derivazioni dal diritto romano presenti nell'opera dantesca, v. DIRITTO ROMANO IN DANTE.