corpo
La nozione di corpo come entità estesa percepibile attraverso i sensi è presente già nella filosofia antica, che ne fa l’oggetto naturale in generale, caratterizzato da un complesso di proprietà, tra cui principalmente l’estensione e la divisibilità in ogni direzione, la solidità e l’impenetrabilità. Concezioni analoghe si perpetuarono fino a buona parte della filosofia moderna, accolte ancora da Cartesio, che ritenne il c. pura estensione, del tutto inerte, cui il moto è solo trasmesso. Al meccanicismo cartesiano si contrappose il dinamismo di Leibniz, il quale, concependo la sostanza (monade) come pura attività, negò che la corporeità fosse sostanza, attribuendole unicamente la capacità di subire un’azione. Il c. è un aggregato di sostanze, che ha bisogno di un principio unificatore. Tenendo presenti le acquisizioni della scienza contemporanea, in partic. della fisica newtoniana, Kant introdusse varie definizioni di c., distinguendo un concetto di c. fisico come «materia entro determinati limiti» dal concetto meccanico di c. fisico come «massa di determinata forma». Lo studio delle proprietà fisiche, meccaniche, biologiche dei c. è diventato progressivamente appannaggio delle scienze fisiche e naturali, fino a rendersi autonomo dalla filosofia.
Un interesse specifico che ha caratterizzato più propriamente la riflessione filosofica fin dai suoi inizi è quello che riguarda i rapporti del c. con l’anima, dando luogo a letture variamente impostate. Riprendendo concezioni orfico-pitagoriche, Platone considerò il c., in quanto entità materiale e pertanto mortale, come limite e negatività, in cui l’anima si troverebbe prigioniera nel suo stato di caduta dal mondo ideale ed eterno. Attraverso il neoplatonismo, questa contrapposizione anima-c., valore-disvalore, eterno-caduco, trapassò nella filosofia cristiana e nella cultura medievale, dove tuttavia si intrecciò in alcuni ambienti con il tema della resurrezione della carne in cui anche l’elemento materiale dell’uomo è destinato alla salvazione. Nella dottrina aristotelica la sostanza individuale è «sinolo», unione di materia (potenza) e forma (atto) e il c., in quanto materia, è strumento dell’anima. Il dualismo c.-anima ritorna con Cartesio all’interno della contrapposizione più generale tra sostanza estesa, la res extensa, divisibile e occupante interamente lo spazio, e sostanza pensante, la res cogitans, inestesa, indivisibile e fuori dello spazio. In questo radicale dualismo di spirito e materia il c. non si presenta più come strumento dell’anima, ma come realtà autonoma del tutto indipendente dall’anima nelle sue modalità operative. Se l’affermazione da parte di Cartesio del carattere autosufficiente della sostanza materiale apriva la strada allo studio scientifico dei c. secondo criteri meccanicistici, purtuttavia la netta separazione tra anima e c. portava in primo piano il problema del rapporto tra le due sostanze che costituiscono l’unità dell’individuo umano. La soluzione proposta da Cartesio, che poneva nella ghiandola pineale posta alla base del cervello il punto di contatto tra le due sostanze, era destinata a creare ulteriori problemi, dando vita a soluzioni alternative legate ai diversi contesti metafisici e teologici. Se nell’ottica materialistica di Hobbes la filosofia si presenta unicamente come scienza dei c., Malebranche ricorse all’occasionalismo e alla visione in Dio per liberare lo spirito da ogni compromissione con la materia. Per Spinoza anima e c., anziché contrapporsi, si corrispondono in quanto modi di due degli infiniti attributi secondo i quali si manifesta la sostanza infinita, che è Dio, mentre da Leibniz il c. è concepito come un aggregato di monadi regolato dalla monade dominante che è l’anima. In chiave gnoseologica, Berkeley, spingendo alle conseguenze estreme i presupposti del sensismo, dissolse la materialità della res extensa, facendo dei c. esterni null’altro che una proiezione della mente.
Il meccanicismo sei-settecentesco culminò nelle concezioni materialistiche degli illuministi francesi, strettamente collegate agli sviluppi della medicina, della chimica, delle scienze biologiche e della fisiologia. Grazie al contributo delle scienze naturali, autori vicini al gruppo degli enciclopedisti misero a punto una visione del c. radicalmente antimetafisica, nel tentativo di ricondurre sul piano delle ipotesi sperimentali fenomeni organici e psichici ancora sottoposti al dominio delle speculazioni teologiche. Esemplare in questo senso l’opera di La Mettrie, che in polemica con il dualismo di res cogitans e res extensa elaborò l’immagine dell’uomo-macchina, che estendeva anche alla fisiologia e psicologia umane l’automatismo animale concepito a suo tempo da Cartesio. Caratteri dogmatici e metafisici assumerà piuttosto il materialismo sostenuto da alcuni positivisti tedeschi del 19° sec., che considerarono l’anima e la coscienza come «epifenomeni», manifestazioni aggiuntive del c. o, nell’espressione di Karl Vogt, come secrezioni del cervello «allo stesso modo che la bile lo è del fegato e l’urina dei reni».
Fenomenologia ed esistenzialismo tendono a considerare il c. come un modo d’essere vissuto. Attraverso una serie di «riduzioni fenomenologiche», il c. si palesa per Husserl come un’esperienza vivente: l’esperienza che il mio corpo si distingue da tutti gli altri in quanto non è soltanto un c. (Körper) ma è il mio c. (Leib). Alla concezione husserliana si sono richiamati, con accentuazioni diverse, Sartre e Merleau-Ponty. Per Sartre il c. è presente in ogni progetto della coscienza in quanto rende possibile l’apertura al mondo e agli altri. In Merleau-Ponty torna il tema dell’apertura al mondo, resa possibile da quella dimensione originaria in cui la consapevolezza che abbiamo del nostro c. si pone a metà strada tra il conscio e l’inconscio, e dove coscienza e c., soggettività e oggettività, non sono separate, ma comunicano fra di loro.