CONTRATTO (XI, p. 253)
Il codice civile del 1942, risolvendo una questione assai dibattuta, configura il contratto come un negozio bi- o plurilaterale tendente a costituire, regolare o distinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321). Specificando il carattere patrimoniale, si è posto un preciso criterio di identificazione della species contratto nel più ampio genere delle convenzioni o negozî giuridici risultanti dall'incontro dei consensi di due o più soggetti, escludendo quindi dalla applicazione piena della disciplina dettata per la prima volta dal titolo II del Libro delle obbligazioni una notevole categoria di negozî giuridici il cui contenuto non può valutarsi economicamente, ed anzitutto i negozî di diritto familiare, la cui funzione riguarda la creazione o la modificazione di uno status personale. Per questi negozî, avverte la relazione al codice (n. 602), "si farà capo alle regole concernenti i contratti nei limiti in cui ciò risulti possibile". Ma questa possibilità appare a prima vista assai esigua sol che si pensi che, mentre per i contratti vige tuttora, sia pure opportunamente delimitato, il principio della cosiddetta autonomia delle parti, che consente a queste di determinare liberamente il contenuto del negozio o di creare negozî che non appartengono agli schemi tipici previsti dal codice (articoli 1322-1323), lo stesso principio non vale per i negozî familiari, che sono e possono essere soltanto quelli previsti dalla legge con contenuto ed effetti rigidamente predeterminati e non modificabili ad opera delle parti. Sì che, per es., la ricerca dell'intento pratico di queste, la quale assume notevole importanza in materia contrattuale (art. 1362), ha valore assai scarso rispetto ai negozî della seconda categoria. Per contro la disciplina dei contratti viene estesa dal codice, in linea di massima, anche ai negozî unilaterali con contenuto patrimoniale, finché però si tratti di negozî tra vivi (art. 1324), escludendosi quindi il testamento che sottostà a regole proprie (e al quale le norme dei contratti si possono applicare quando sussista analogia).
A differenza del vecchio codice, che definiva (art. 1098) il contratto come accordo fra due o più "persone" il cod. 1942 (art. 1321) lo considera come un negozio tra due o più "parti", facendo così riferimento non tanto all'individualità dei soggetti, quanto al centro d'interessi intorno a cui essi possono raggrupparsi.
Tuttavia nella concezione del legislatore non appare essenziale che i singoli centri d'interessi siano tra di loro in contrasto. L'art. 1420 considera infatti contratto anche il negozio con più parti, in cui le prestazioni di ciascuna siano dirette al conseguimento di uno scopo comune, quella figura negoziale cioè che la dottrina suole definire come "accordo". Quel che però occorre è che le singole posizioni di interesse, per quanto non in contrasto, non si confondano, ma restino distinte anche se l'incontro delle singole volontà miri poi a creare una situazione di interesse comune, come avviene per es. nel negozio costitutivo di società. Se invece la situazione di interesse comune fosse precostituita, si esorbiterebbe dal campo contrattuale e si passerebbe in quello dell'atto collettivo, che sarebbe, in sostanza, espressione di una sola volontà e perciò un negozio essenzialmente unilaterale.
Si è già accennato che il campo dei rapporti contrattuali è tuttora dominato dal principio dell'autonomia delle parti. Il cod. 1942 ha tuttavia delimitato tale autonomia entro limiti precisi, reagendo da un lato all'affermazione dell'incondizionato riconoscimento della libertà delle contrattazioni e dall'altro al dogma della volontà, che ne rappresentava un logico corollario e prospettava appunto la volontà (reale) dei soggetti come l'elemento fondamentale e pressocché esclusivo, capace di dare esistenza ed efficacia al negozio. Da quest'ultimo punto di vista si è praticamente negato che la volontà individuale abbia la virtù di creare effetti giuridici indipendentemente dalla norma, subordinandone la rilevanza alla sua conformità con questi. Tutta la nuova disciplina del contratto è informata a questo principio, e si può oggi tranquillamente affermare che l'efficacia della volontà singola appare sempre imputabile, sia pure mediatamente, all'ordinamento giuridico. La volontà dei soggetti è in definitiva un elemento (di fatto) che determina l'intervento di certi effetti che sono previsti dalla norma, ond'è che essa è, perciò, capace di produrre effetti ai quali in realtà non è espressamente diretta. Ché anzi a volte interviene direttamente l'ordinamento giuridico e non solo per integrare quella volontà (cfr., ad es., art. 1374), ma anche per sostituirla (arg. ex art. 1339). Per quanto d'altra parte il codice si preoccupi di seguire ed avvalorare il più possibile la effettiva volontà delle parti (art. 1362), in alcuni casi, a tutela delle legittime aspettative dell'altro contraente, tiene ferma la volontà quale appare e si esteriorizza attraverso la dichiarazione, anche se questa non sia in realtà sorretta da una corrispondente volontà sostanziale. Ciò accade, ad es., nelle ipotesi degli articoli 428, 775, 1433, per cui è soltanto annullabile e non nullo il contratto concluso dall'incapace naturale e quello affetto da errore nella dichiarazione o nella trasmissione di questa, sebbene in tutti i casi citati si abbia l'appena accennata carenza di una volontà capace di costituire l'elemento materiale del negozio. E accade altresì in tutte quelle altre ipotesi in cui la legge tutela il legittimo affidamento del destinatario della dichiarazione, a preferenza del dichiarante che col suo comportamento ha creato quella situazione di affidamento (per es. articoli 1394, 1438, 1439 capov., ecc.).
A questa compressione del dogma della volontà - che è aderente ai risultati della più recente dottrina - fa riscontro la già rilevata limitazione dell'autonomia contrattuale. Non è qui possibile esaminare neanche sommariamente l'importante argomento. Basti perciò ricordare che è esplicitamente stabilito: a) che le parti possono determinare liberamente il contenuto del contratto, ma nei limiti imposti dalla legge (art. 1322): le parti cioè hanno facoltà di adattare il tipo legale alla loro particolare situazione concreta, modificando opportunamente il contenuto e le strutture del negozio, ma sino a quando non urtino contro una norma formale o sostanziale; b) che le parti possono concludere anche contratti che non appartengono ai tipi particolarmente regolati dalla legge (atipici o innominati), purché però siano "diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico" (art. cit., capov.), finché cioè esplichino una funzione che non sia in contrasto con i principî ai quali l'ordinamento giuridico è improntato.
Disciplina del contratto. - Nella nuova disciplina generale del contratto hanno trovato sede le regole che si riferiscono a tutto il ciclo vitale dell'atto, sì che essa appare, rispetto a quella contenuta nel vecchio codice, assai più precisa e completa. Essa comprende nell'ordine: i requisiti essenziali (articoli 1325-1352); la condizione (articoli 1353-1361); l'interpretazione (articoli 1362-1371); gli effetti (articoli 1372-1381); la clausola penale e la caparra (articoli 1382-1386); la rappresentanza (articoli 1387-1400); il contratto per persona da nominare (articoli 1401-1405); la cessione del contratto (articoli 1406-1410); il contratto a favore di terzi (articoli 1411-1413); la simulazione (articoli 1414-1417); la nullità (articoli 1418-1424); l'annullabibilità (articoli 1425-1446); la rescissione (articoli 1447-1452); la risoluzione (articoli 1453-1469). È pertanto raggruppata e trattata organicamente tutta una serie di momenti che trovavano nella vecchia legislazione regolamentazione sporadica e frammentaria e che a volte erano completamente ignorati della legge scritta, Si accennerà qui soltanto ad alcuni di essi.
Struttura. - I singoli elementi che compongono il contratto sono, secondo l'art. 1325, l'accordo delle parti, la causa, l'oggetto e la forma nei casi in cui questa è prescritta a pena di nullità. Sul primo punto sono state trasfuse nel codice attuale (art. 1326 e segg.), con lievi modificazioni ed aggiunte, le disposizioni degli articoli 36 e 37 cod. comm. del 1882, relative ai contratti tra persone lontane. Si è, in linea di massima, rimasti fedeli al principio della cognizione, affermandosi cioè la perfezione del contratto nel momento in cui il proponente giunge a conoscenza dell'accettazione (art. 1326), principio limitato peraltro da un meccanismo che fa presumere, sino a prova contraria, la conoscenza dal fatto della recezione della dichiarazione (art. 1335). È stato confermato il tradizionale principio della revocabilità della proposta e dell'accettazione sino al momento della perfezione del contratto, ma anche qui sono stati introdotti varî temperamenti. Particolarmente notevole l'affermazione dell'inefficacia della revoca nel caso che il proponente si sia impegnato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo. Di modo che la revoca, prima della scadenza, non impedisce la conclusione del contratto, ma è irrilevante, ché anzi la proposta mantiene, di regola, il suo valore anche se, prima della scadenza del termine di irrevocabilità, sia sopravvenuta la morte o l'incapacità del proponente (art. 1329). Questi ultimi fatti poi non valgono a togliere efficacia alla proposta, anche indipendentemente da uno specifico obbligo a non revocare, quando essa promani da un imprenditore (art. 1330). Nella stessa sede vengono poi regolate le ipotesi dell'opzione (art. 1331), della adesione di altre parti ad un contratto preesistente (art. 1372) e dell'offerta al pubblico (art. 1336), che non trovavano una disciplina espressa nella vecchia legislazione; viene inoltre sancito il principio della responsabilità precontrattuale (articoli 1337 e 1338).
La causa è stata nel nuovo codice considerata come un requisito oggettivo del contratto, che esprimendo la funzione economico-sociale alla quale questo deve assolvere, ne rappresenta contemporaneamente la giustificazione della tutela legale. Nella sezione relativa il codice si occupa particolarmente della illiceità della causa, che può essere oggettiva e immediata - e l'ipotesi si riferisce particolarmente ai negozî atipici, che non rispondono ad una funzione legalmente predeterminata e perciò necessariamente lecita - ovvero mediata, effetto cioè di una riflessione dell'intento pratico delle parti (contratto in fraudem legis: art. 1344), ovvero dei motivi che le hanno determinate a concludere il negozio.
Maggiormente specificati appaiono i requisiti dell'oggetto, che deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346). Notevole è che la determinabilità è ora ammessa, non solo con riguardo alle quantità come sotto il vecchio codice (art. 1117), ma anche con riferimento alla qualità: occorre solo che le parti abbiano comunque stabilito il modo della determinazione, nella quale è poi riconosciuta notevole ingerenza al magistrato (art. 1349). Circa il requisito della possibilità, la sua attuale mancanza non pregiudica la validità del contratto quando i suoi effetti siano differiti da condizione sospensiva o termine e purché l'oggetto diventi possibile prima del verificarsi di quella o della scadenza di questo (art. 1347). A proposito della forma, è infine da ricordare che per l'articolo 1351, il contratto preliminare deve rivestire, a pena di nullità, la stessa forma che la legge prescrive poi per il corrispondente contratto definitivo.
Effetti. - Non molte sono le novità nella specificazione degli effetti del contratto. È stata particolarmente disciplinata la facoltà di recesso unilaterale (art. 1373), e si è data opportuna determinazione agli effetti dei contratti con effetti reali, cioè diretti al trasferimento della proprietà o di altri diritti reali, nell'ipotesi in cui il trasferimento riguardi una massa di cose (art. 1377), ovvero cose determinate solo nel genere (articolo 1378). La norma più notevole è certo quella dell'art. 1380 che risolve il conflitto sorgente dal trasferimento a più persone e con contratti successivi di uno stesso diritto personale di godimento, attribuendo la prevalenza a quello dell'acquirente che per primo ha conseguito il godimento. Soluzione questa, che in un certo senso, è affine a quella, prospettata per altre ipotesi, dell'art. 1155.
Interpretazione. - Il già rilevato abbandono del dogma della volontà, attribuisce una particolare fisionomia alle regole di interpretazione dettate dal nuovo codice, che manifestano chiaramente la tendenza a far sì che il contratto venga conservato il più possibile, anche a scapito della volontà reale delle singole parti e per la tutela della legittima aspettativa di quella delle parti stesse che ha fatto affidamento nella conclusione del contratto e nel comportamento della controparte. Mentre perciò si riconferma la necessità della ricerca della comune intenzione dei contraenti (art. 1362), si pone il principio per cui i contratti debbono essere interpretati secondo buona fede (art. 1365) e si richiama l'attenzione sul comportamento delle parti stesse posteriore alla conclusione del negozio (articolo 1362 capov.), ponendo inoltre tutta una serie di norme (articoli 1367-1371), di interpretazione oggettiva, diretta a chiarire il significato che, secondo l'ordinamento giuridico, debbono avere certe clausole.
Nullità. - In tema di nullità, il surrichiamato principio di conservazione del contratto trova due applicazioni nell'esplicito riconoscimento, da un lato, della possibilità che la nullità parziale non influisca sulla validità del residuo del contratto (utile per inutile non vitiatur) (articoli 1419-1420); e, dall'altro, della conversione del negozio nullo in altro negozio di cui quello contenga i requisiti, quando debba ritenersi che le parti avrebbero voluto il secondo se a conoscenza della nullità (art. 1424).
Il codice nuovo ha nettamente distinto le cause di nullità da quelle di annullabilità, migliorando così notevolmente il confuso sistema del vecchio codice. Le prime si riassumono oggi nella mancanza di uno dei requisiti stabiliti dall'art. 1325, nella illiceità della causa, e nella comunanza ad entrambe le parti del motivo illecito determinante del contratto (art. 1418). Vale tuttavia la pena di ricordare come, abbandonato il dogma della volontà, non si ha mancanza di accordo quando questo si sia formato in base ad una volontà puramente apparente di una delle parti. Perciò, ad es. anche l'incapacità naturale di una delle parti non è più causa di nullità, ma di annullabilità (art. 1425). A proposito dei vizî del consenso, è da rilevare come siano stati opportunamente specificati i caratteri dell'errore e della violenza che possono dar luogo ad annullamento: l'uno deve essere essenziale (art. 1429) e riconoscibile da parte dell'altro contraente (art. 1431); l'altra deve essere tale da far impressione alla persona su cui è esercitata, ed ingiusta (art. 1435).
È stato poi risolto il problema degli effetti dell'annullamento rispetto ai terzi. Si è così disposto che qualora esso non dipenda da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede a titolo oneroso, facendo tuttavia salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento (art. 1445).
Rescissione e risoluzione. - In quanto alla prima è stato anzitutto stabilito che può essere rescisso il contratto concluso da una delle parti in stato di pericolo e a condizioni inique (art. 1447). Inoltre generalizzando la cosiddetta rescissione per lesione ultra dimidium nella compravendita, si è introdotta un'azione generale di rescissione per lesione, che presuppone una grave sproporzione tra le prestazioni delle parti, dipendente dallo stato di bisogno in cui una di queste si sia trovata e di cui l'altra abbia approfittato (art. 1448). Si tratta in entrambi i casi di azioni che debbono essere esercitate entro breve termine (un anno dalla conclusione del contratto: art. 1440), e la rescissione può essere evitata dall'altra parte offrendo una congrua modificazione del contratto, sufficiente per ricondurlo ad equità (art. 1450).
Anche in tema di risoluzione il nuovo codice ha innovato e migliorato. Esso conosce due specie di risoluzione, l'una per inadempimento, che offre una completa tutela al creditore (articoli 1453-1462), l'altra per eccessiva onerosità, che tende a equilibrare le sorti quando per il sopravvenuto mutamento di circostanze oggettive, il debitore si troverebbe eccessivamente gravato (articoli 1467-1469).