CONTRATTO (lat. contractus; fr. contrat; sp. contrato; ted. Kontrakt; ingl. contract)
Contratto è definito dalla legge l'accordo di due o più persone per costituire, regolare o sciogliere fra loro un vincolo giuridico. Genericamente l'accordo di due o più persone sopra un oggetto d'interesse giuridico si chiama convenzione. Se la convenzione ha per oggetto di costituire un'obbligazione o di trasferire la proprietà o di costituire altri diritti reali si chiama, più particolarmente, contratto. Sotto il primo aspetto il contratto è una convenzione con cui una delle parti promette di dare, fare o non fare qualche cosa a favore dell'altra che accetta la promessa; sotto il secondo aspetto è una convenzione con cui una delle parti trasferisce o si obbliga di trasferire all'altra la proprietà d'una cosa sua o un diritto reale frazionario sopra di essa.
Il contratto preliminare, detto anche compromesso, è un accordo che prelude all'accordo definitivo, i cui termini son definiti dal contratto vero e proprio.
Varie specie di contratti. - I contratti si distinguono sotto parecchi rapporti. In primo luogo sono bilaterali o unilaterali, a seconda che le parti contraenti si obbligano reciprocamente le une verso le altre, oppure una delle parti si obbliga verso l'altra senza che a carico di questa si costituisca alcuna obbligazione: la vendita è un contratto bilaterale, il deposito è un contratto unilaterale. In secondo luogo i contratti sono a titolo oneroso o a titolo gratuito, a seconda che ciascuno dei contraenti riceva un corrispettivo della sua prestazione oppure uno dei contraenti procuri un vantaggio all'altro senza ricevere corrispettivo: la vendita è un contratto a titolo oneroso; la donazione è un contratto a titolo gratuito; il deposito può essere a titolo oneroso o gratuito. In terzo luogo i contratti sono aleatorî o commutativi; in quelli il vantaggio per entrambi i contraenti o per l'uno di essi dipende da un avvenimento incerto; in questi il vantaggio è certo sin da principio per virtù del solo contratto: il giuoco, la scommessa, il contratto d'assicurazione sono contratti aleatorî; gli altri sono in generale contratti commutativi. In quarto luogo, i contratti sono principali o accessorî a seconda che abbiano un'esistenza propria oppure suppongano l'esistenza d'un altro contratto e più generalmente d'un fatto obbligatorio al quale si riferiscano: la vendita, la locazione, la società sono contratti principali; il pegno, la fideiussione e la concessione d'ipoteca sono contratti accessorî. In quinto luogo, i contratti sono solenni e non solenni, secondo che per la loro formazione si richiede o no l'osservanza di fomalità: la donazione è un contratto solenne, gli altri contratti in genere non lo sono, ma si fa eccezione per alcuni, specialmente se abbiano per oggetto la costituzione, il trasferimento o la rinuncia di diritti reali. In sesto luogo, i contratti possono distinguersi in nominati e in innominati, secondo che abbiano o non abbiano una particolare denominazione.
Requisiti. - Nei contratti si devono distinguere parecchie specie di requisiti o elementi. Elementi essenziali alla loro formazione o esistenza sono il consenso, l'oggetto e la causa sufficiente e lecita per obbligarsi. Elementi necessarî alla validità dei contratti sono la capacità nei contraenti di contrattare e la validità del loro consenso: se i contraenti non abbiano tale capacità e il loro consenso non sia valido, il contratto esiste ma può essere annullato. Elementi naturali sono quelle conseguenze giuridiche che il contratto produce da sé medesimo per la sua speciale natura e che perciò non è punto necessario che le parti abbiano contemplate. Elementi accidentali o accessorî sono quelli che sono aggiunti al contratto con una clausola speciale mentre non gli sono inerenti né per essenza né per natura, come in generale sono altre modalità, ossia il termine, la condizione, il modo, la clausola penale, ecc.
Il consenso è il concorso delle volontà delle parti dirette alla formazione e all'esistenza del contratto. Esso suppone la possibilità e l'intenzione di consentire e si estrinseca mediante una manifestazione esterna che può essere espressa o tacita. Non vi è consenso: a) quando manchi assolutamente la facoltà di volere, come accade per la persona che non abbia coscienza dei proprî atti o per ragione d'età o per malattia o per altra circostanza; b) quando la persona agisca per effetto d'una violenza fisica e quindi solo meccanicamente; c) quando vi sia, per errore, assoluta divergenza nell'intenzione delle parti contraenti sulla natura del contratto o sull'identità del suo oggetto; d) quando non vi sia il proposito di compiere un vero atto giuridico, come accade per le espressioni di semplice scherzo o di compiacenza; e) quando vi sia simulazione assoluta e cioè quando le parti ponendo in essere l'apparenza d'un contratto non hanno in realtà l'intenzione di concluderne alcuno. In tutti questi casi il contratto non si forma per mancanza d'un requisito essenziale.
L'oggetto del contratto è la cosa che offrendo un interesse per lo stipulante sia possibile tanto fisicamente quanto giuridicamente. È fisicamente impossibile in primo luogo una cosa che nel momento del contratto non esiste né può esistere in avvenire per essere contraria alle leggi naturali. In secondo luogo è fisicamente impossibile la cosa che nel momento del contratto aveva cessato di esistere. Infine per essere fisicamente impossibile non può formare oggetto d'un contratto una cosa che già appartenga a colui al quale per effetto di esso dovrebbe essere consegnata. È giuridicamente impossibile l'oggetto che sia fuori di commercio per tutti in generale o per il creditore in particolare. Fra le cose che per motivi giuridici non possono formare oggetto di contratto, merita speciale menzione una successione non ancora aperta benché a rigore non sia fuori commercio. Viceversa tutte le cose che sono in commercio possono formare oggetto di contratto, siano esse cose strettamente intese che devono consegnarsi, siano prestazioni che il debitore debba compiere o da cui debba astenersi e che siano apprezzabili in denaro. Ogni cosa che viene dedotta in contratto deve essere determinata almeno nella specie e nel genere e non lasciata interamente all'arbitrio del debitore. Se la cosa fosse affatto indeterminata il contratto dovrebbe considerarsi mancante di oggetto. La quantità della cosa può essere incerta purché si possa determinare. Senza un oggetto idoneo non si può formare un contratto.
Per causa del contratto s'intende il motivo giuridicamente sufciente a determinare entrambi i contraenti o uno di essi a obbligarsi. Nei contratti a titolo oneroso è causa dell'obbligazione il vantaggio che ciascuno dei contraenti intende procurarsi per effetto del contratto, avuto riguardo alla sua speciale natura. Nei contratti a titolo gratuito o di beneficenza è causa dell'obbligazione l'intenzione di esercitare un atto di liberalità o di rendere un servigio. La causa dei contratti va tenuta distinta dal motivo di fatto che può avere indotto le parti a contrattare. La causa può mancare o essere falsa o illecita: la causa di un'obbligazione è falsa quando una delle parti si è obbligata per una causa immaginaria che supponeva reale; è illecita quando è contraria alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico. Il contratto stipulato senza causa o fondato sopra una causa falsa o illecita non può avere alcun effetto e quindi si considera come inesistente.
Per la validità dei contratti si richiede inoltre la capacità delle parti contraenti a contrattare e un consenso libero cosciente e genuino. Sono prive della capacità di contrattare: a) le persone giuridiche che per la loro stessa natura non hanno la facoltà di volere e abbisognano d'un rappresentante che per loro agisca sotto l'osservanza di speciali formalità; b) i minori di età; c) gl'interdetti giudiziarî. Hanno poi capacità limitata: a) gl'inabilitati; b) i minori emancipati.
Il consenso non si reputa libero quando sia viziato da una di queste tre cause: la violenza morale, l'errore e il dolo. La violenza morale è costituita da minacce tali da incutere timore ed estorcere atti a una persona. Non ogni violenza morale invalida il consenso ma quella soltanto che ingiustamente incute al contraente che la subisce un timore tale da fare impressione, sopra una persona sensata, di esporre sé o le sue sostanze a un male notevole. Nel decidere se il timore abbia fatto sulla persona del contraente tale impressione da invalidarne il consenso si deve aver riguardo alla sua età, al suo sesso e alla sua condizione. Il timore riverenziale non costituisce una violenza morale che invalidi la volontà. La violenza morale, non escludendo ma solo invalidando la volontà, non impedisce la formazione del contratto ma lo rende annullabile sulla domanda di colui che la subì o dei suoi eredi. La violenza morale produce questo effetto non solo quando sia stata usata dalla persona a vantaggio della quale si è fatto l'atto ma anche quando sia stata adoperata a tale scopo da altra persona. L'errore è la falsa nozione d'una cosa. Esso è di diritto o di fatto secondo che cade sopra una regola di diritto o sopra una di fatto. L'errore invalida la volontà quando senza di esso non si sarebbe determinata alla formazione dell'atto. L'errore è essenziale o accidentale. L'errore di diritto è essenziale quando è la causa unica o principale del contratto. Per sapere se sia o no essenziale l'errore di fatto, è necessario considerarlo in rapporto alla convenzione stipulata, alla cosa che ne forma l'oggetto, alle persone dei contraenti e ai motivi che hanno determinato a contrattare. L'errore che cade sulla natura del contratto esclude il consenso. L'errore che cade sulla cosa formante l'oggetto del contratto può essere essenziale o accidentale. Se cade sull'identità della cosa esclude il consenso, se cade sopra la sostanza o le qualità sostanziali della medesima invalida soltanto e non esclude il consenso. La sostanza o le qualità sostanziali d'una cosa sono quelle che i contraenti hanno avuto principalmente in vista nel contratto e senza le quali non lo avrebbero stipulato. L'errore sui motivi di fatto che hanno determinato le parti a contrattare non invalida il contratto. Il dolo è costituito da raggiri usati per ingannare una persona, sia facendole credere ciò che non esiste, sia facendole ignorare la realtà delle cose con l'intento di determinarla a fare un atto il dolo è determinante quando l'atto senza di esso non si sarebbe voluto né fatto; è incidentale se senza di esso l'atto si sarebbe fatto ugualmente benché in maniera diversa. Il dolo non può essere allegato dal contraente ingannato contro l'altro se non quando questi lo abbia usato contro di lui o ne sia stato complice o consapevole. Se il dolo sia opera d'un terzo estraneo, l'ingannato non può invocarlo contro l'altro contraente ma può soltanto agire contro il terzo con l'azione di danni. Il dolo del mandatario o del rappresentante legale del contraente si reputa proprio di questo e non di un terzo.
Mentre nel caso di mancanza degli elementi essenziali alla formazione del contratto questo non può sorgere e deve considerarsi inesistente, nel caso di mancanza dei requisiti necessarî per la validità, che sono la capacità dei contraenti di contrattare e la validità del consenso, il contratto esiste ma può essere annullato a istanza della parte incapace o della parte che abbia consentito sotto l'effetto della violenza, dell'errore e del dolo.
Per la formazione dei contratti è poi necessario che i consensi, validamente espressi, si riuniscano fra di loro. Occorre, dunque, che vi siano due manifestazioni di volontà le quali s'incontrino in modo da non poter essere ulteriormente ritirate. Il principio vigente nel sistema giuridico italiano è che il contratto si conclude tosto che il proponente abbia avuto conoscenza dell'accettazione dell'altra parte. L'accettazione deve giungere al proponente nel termine stabilito o in quello normale secondo la natura dell'affare. Il proponente può revocare l'offerta fino a che non ha avuto conoscenza dell'accettazione. L'accettazione può essere revocata fino a che non sia giunta a conoscenza del proponente.
In massima non si richiedono forme solenni per la costituzione dei contratti. Questa regola però va soggetta a due ordini di eccezioni essendovi contratti che si debbono fare sotto pena di nullità per atto pubblico e altri che sotto la stessa pena devono farsi per atto pubblico o scrittura privata. Della prima specie è, p. es., la donazione. Alla seconda appartengono le convenzioni che trasferiscono la proprietà d'immobili o d' altri beni o diritti reali, le convenzioni che costituiscono servitù prediali, i contratti di locazione d'immobili eccedenti i nove anni, le transazioni e altri contratti. La forma può essere elevata a requisito essenziale del contratto anche dalla volontà delle parti contraenti. Ogni contratto si deve intendere nel senso verosimilmente voluto dalle parti contraenti e quindi questo si deve ricercare nell'intenzione piuttosto che stare al senso letterale della parola.
La legge indica determinati criterî da osservarsi nella ricerca della volontà. Le regole fondamentali sono queste: a) se le parti abbiano usato termini troppo generali questi devono restringersi al vero oggetto della convenzione; b) quando i contraenti per spiegare un patto hanno espresso un caso a cui applicarlo non si presume che abbiano voluto restringere l'effetto del contratto al caso contemplato; c) al significato proprio e usuale di una espressione deve essere preferito il senso attribuitole nel luogo dove fu stipulato il contratto; d) quando poi i termini del contratto siano equivoci o ambigui si devono seguire queste norme: le clausole si devono intendere le une per mezzo delle altre; quando una clausola ammette due sensi si deve intendere nel senso per cui può la medesima avere qualche effetto piuttosto che in quello per cui non ne potrebbe avere alcuno; le parole che possono avere due sensi si debbono intendere nel senso più conveniente alla materia del contratto; le espressioni ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica nel paese dove fu stipulato il contratto. Se tutti questi mezzi riescono insufficienti, il dubbio che resta deve essere risolto contro il creditore e a favore del debitore.
I contratti, ove siano formati regolarmente, hanno forza di legge per coloro che li hanno fatti. Quindi le disposizioni di legge che dichiarano semplicemente la volontà dei contraenti non debbono essere applicate che in quelle materie non regolate o imperfettamente regolate dal contratto. I contratti debbono essere eseguiti in buona fede e obbligano non solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l'equità, l'uso o la legge ne derivano o in essi si considerano come virtualmente comprese. Nei contratti che hanno per oggetto la traslazione della proprietà o di altri diritti reali o personali, la proprietà si trasmette e si acquista per effetto del solo consenso legittimamente manifestato e senza bisogno di consegna. La cosa, trasmessa o acquistata che sia, passa e rimane a rischio e pericolo dell'acquirente quantunque non ne sia seguita la tradizione. Ma se il debitore sia in mora a fare la tradizione della cosa, questa rimane a rischio e pericolo di lui dal giorno della mora.
I contratti non hanno effetto che fra le parti contraenti: essi regolarmente non giovano né pregiudicano i terzi fuorché nei casi stabiliti dalla legge. Per terzi s'intendono coloro che non hanno personalmente figurato in una convenzione né vi sono stati rappresentati. Ma i contratti estendono attivamente e passivamente i loro effetti agli eredi e agli altri aventi causa da ciascuno dei contraenti quando non sia espressamente pattuito il contrario o ciò non risulti dalla natura del contratto.
I contratti possono sciogliersi per mutuo consenso. Questa regola è applicabile nei rapporti fra i contraenti anche in ordine ai contratti traslativi o costitutivi di diritti reali, ma rispetto ai terzi la convenzione di scioglimento va considerata come una retrocessione. Al contrario nessun contratto può sciogliersi per volontà d'una delle parti contraenti salvo clausola in contrario o disposizioni di legge. In secondo luogo, i contratti cessano con lo spirare del termine fissato per la loro durata. In terzo luogo, cessano per effetto della nullità o della rescissione dell'obbligazione. In quarto luogo, si risolvono per effetto della condizione risolutiva espressa o tacita. Infine si sciolgono col divenire impossibile l'esecuzione della obbligazione assunta da una delle parti e con l'essere conseguentemente liberata l'altra parte dalla sua obbligazione. Per regola i contratti non si sciolgono per la morte d'uno dei contraenti. Si fa eccezione in alcuni casi in cui la considerazione della persona è elemento essenziale del contratto.
La materia dei contratti è fondamentalmente regolata nella stessa maniera nelle principali legislazioni vigenti. Le differenze consistono soltanto o nell'ordine sistematico della trattazione o nel fatto della regolamentazione particolare di alcuni punti specifici trascurati oppure non sufficientemente svolti nel codice civile italiano. Il codice civile francese presenta qui, come, in genere, su tutta la materia del diritto civile, la maggiore omogeneità col codice civile italiano che ne costituisce una derivazione. Il codice svizzero delle obbligazioni tratta la materia del contratto nei primi quaranta articoli. È interessante, in questo codice, la norma per cui, in mancanza d'accordo delle parti sui punti secondarî del contratto, può intervenire la determinazione del magistrato. Sono pure interessanti, per la loro precisione e completezza, le norme che riguardano il momento in cui si perfeziona il vincolo giuridico e quelle sulla formazione del contratto a mezzo di rappresentante. Il codice civile germanico si occupa dei contratti nella parte generale e sotto la sezione dei negozî giuridici, dal paragrafo 145 al paragrafo 156. La disciplina del contratto, nel codice civile germanico, non presenta particolarità degne di speciale rilievo. Vi è, tuttavia, regolata la materia del contratto all'asta pubblica. Il codice civile generale austriaco tratta dei contratti in genere nei paragrafi da 859 a 936. Il codice civile spagnolo ne tratta nell'art. 1254 e segg. In questo codice l'analogia col codice civile francese è nuovamente manifesta. I principî del diritto inglese sono, nella massima parte, aderenti a quelli del diritto continentale. Una particolarità del diritto inglese è quella della cosiddetta consideration, necessaria per la formazione del contratto quando esso non sia stipulato per atto solenne o sigillato. Essa è qualche cosa di analogo alla causa del contratto secondo il diritto continentale; se ne diversifica però in questo, che non consiste nella controprestazione o nello spirito di liberalità ma piuttosto nel ragionevole e apprezzabile motivo di obbligarsi. L'esistenza della consideration è liberamente apprezzata dal giudice.
Bibl.: G. Carrara, La formazione dei contratti, Milano 1915; C. Ferrini, Obbligazioni, in Enciclopedia giuridica; G. Lomonaco, Delle obbligazioni e dei contratti in genere, 2ª ed., Torino 1915; G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni, Firenze 1906-1910, III; A. Sacchi, Contratto, in Digesto italiano; E. Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, IV, 5ª ed., Firenze 1915; F. Ricci, Diritto civile, VI, 3ª ed., Torino 1912; G. Tazzoli, Contratto, in Enciclopedia giuridica.
Contratti a favore dei terzi. - Per regola nessuno può in suo proprio nome stipulare che per sé stesso, essendo un atto essenzialmente personale quello di obbligare alcuno verso di sé. Per eccezione la legge permette a ciascuno di stipulare a vantaggio d'un terzo quando ciò formi condizione d'una stipulazione che fa per sé stesso o di una donazione che fa ad altri. Ad esempio: vendendosi un fondo si può, dal venditore, stipulare una servitù a favore del fondo d'un vicino; donandosi un bene si può stipulare che il donatario presti una pensione a qualche persona estranea al contratto. La stipulazione per altri ha effetto anche quando lo stipulante abbia un interesse valutabile in denaro all'adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente e la stipulazione per altri che non offra interesse pecuniario per lo stipulante può essere resa efficace mediante una clausola penale. La stipulazione fatta a favore d'un terzo, benché efficace nei casi sopra accennati, non costituisce immediatamente un diritto quesito per il terzo; è necessario che egli dichiari di volerne profittare e di accettarla. L'accettazione del terzo rende immediatamente irrevocabile a suo favore la stipulazione. Egli quindi gode da quel momento di un'azione propria e diretta per costringere il promittente all'adempimento dell'obbligazione. Se il terzo muore prima d'accettare la stipulazione possono in sua vece accettarla i suoi eredi, salvo il caso che fosse stata fatta nell'interesse personale ed esclusivo di lui. Finché il terzo o i suoi eredi non abbiano dichiarato di voler profittare della stipulazione, accettandola, lo stipulante può revocarla. Per l'efficacia di tale revoca non è necessario il consenso del promittente eccetto che egli non abbia a sua volta un interesse serio e legittimo al mantenimento della stipulazione. Revocata la stipulazione lo stipulante ha il diritto di esigere dal promittente ciò che questi avrebbe dovuto prestare al terzo, sempreché ciò sia possibile, avuto riguardo alla natura della prestazione. In caso diverso, la revoca della stipulazione va a profitto del promittente. Se lo stipulante muore prima di revocare la stipulazione possono, in suo luogo, revocarla i suoi eredi. In relazione a questi che sono i principî generali del diritto in materia di contratti a favore di terzi, si discute se a questa categoria appartenga il contratto di trasporto che concluso fra il mittente e il vettore determina dei diritti a favore del destinatario. La questione è variamente risolta. Analoga disputa si fa a proposito della stipulazione sulla vita a favore di terzi.
Bibl.: L. Tartufari, Dei contratti a favore di terzi, Verona 1889; G. Pacchioni, I contratti a favore di terzi, Innsbruck 1898; C. Ferrini, Obbligazione, in Enciclopedia giuridica, n. 456 seg.; G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni, Firenze 1906-10, III, n. 420 seg.; U. Manara, Il destinatario nel contratto di trasporto, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, VI (1888), p. 3 seg.; C. Vivante, Il contratto di assicurazione, Milano 1885-90, III, p. 182 seg.
Clausola "rebus sic stantibus". - Quando fra la conclusione e l'adempimento d'un contratto deve correre un intervallo di tempo, può avvenire che in questo intervallo vengano a mutarsi le circostanze in cui il contratto fu conchiuso, onde sia reso più gravoso al debitore l'adempimento delle obbligazioni assunte, o sia diminuita o anche del tutto eliminata, per il creditore, l'utilità che dal contratto si riprometteva. Sorge, allora, il problema se il contratto debba intendersi tacitamente subordinato alla clausola rebus sic stantibus, o in altri termini, se il contraente danneggiato dal mutamento dello stato di fatto abbia facoltà di recedere dal contratto stesso.
Ignoto al diritto romano (almeno nella sua generalità), quel problema fu posto dapprima, ed ebbe largo svolgimento, nel diritto comune: e il principio della risolubilità per mutamento delle circostanze fu esteso e applicato a tutti i contratti, anzi, talora, a tutte le dichiarazioni di volontà con effetto differito nel tempo. Venne così formandosi la teoria della tacita clausola rebus sic stantibus, la quale ebbe la maggior voga nei secoli XVI e XVII; poi, mentre nella dottrina olandese e tedesca essa fu oggetto di numerosi tentativi di costruzione dogmatica, in quella italiana via via decadde, e finì per essere limitata, in qualche ulteriore sporadica affermazione, ai cosiddetti contratti a lungo termine, e cioè ai contratti con esecuzione continuata o periodica (enfiteusi, vitalizî, ecc.): limitazione determinata dall'influenza d'un altro principio, che pure, sopra un diverso fondamento, tendeva a ovviare all'inconveniente del sopravvenire d'uno squilibrio economico fra le reciproche prestazioni delle parti in tali contratti (laesio superveniens).
Il codice civile italiano, derivando la disciplina del diritto delle obbligazioni, per il tramite del codice Napoleone, dalla trattazione del Pothier, cui la clausola rebus sic stantibus era del tutto ignota, non contiene alcuna norma che la riconosca esplicitamente, nemmeno in quella sua ultima più limitata applicazione. Tuttavia, prescindendo da qualche accenno senza importanza nelle opere dei primi commentatori del codice, la dottrina di cui parliamo fu riaffermata sul finire del secolo scorso da qualche giurista pratico (Barsanti, Luchini), ed ebbe qualche adesione in dottrina e in giurisprudenza, limitatamente ai contratti a lungo termine. Ma il fondamento logico e positivo che ne era offerto non appariva sufficiente, né era giustificata la limitazione a quella particolare categoria di contratti, ché, anzi, all'indagine storica apparve essere una mera accidentalità dello sviluppo di quella dottrina nel diritto comune.
Successivamente, in base a nuovi tentativi di costruzione dogmatica del principio condotti con maggior rigore di metodo scientifico, alcuni studiosi nell'ultimo ventennio ritennero di poter concludere per l'applicabilità del principio stesso a tutti i contratti obbligatorî, sia che ne affermassero il fondamento in un particolare contenuto della volontà contrattuale (Osti), sia invece che si richiamassero genericamente all'equità (Pestalozza), o che tentassero di giustificarlo come una particolare applicazione della teoria dell'errore (Giovene). E ne venne un largo movimento dottrinale, che, forse per l'influenza di circostanze propizie all'applicazione concreta della teoria (guerra italo-turca, scioperi, ecc.), ne determinò l'accoglimento in molte decisioni giurisprudenziali.
Ma alcuni anni dopo la fine della guerra mondiale si è delineata nella dottrina una corrente avversa all'ammissibilità della clausola, e anche la giurisprudenza posteriore si è avviata in questo senso. È da tenere presente che allo scoppio della guerra mondiale il legislatore, preoccupato delle conseguenze che ne sarebbero derivate ai rapporti contrattuali in corso, provvide ad attribuire alla guerra il carattere e gli effetti di forza maggiore, anche quando non rendesse impossibile la prestazione, ma solo la rendesse eccessivamente onerosa (decr. luogoten. 27 maggio 1915, n. 739); la dottrina prevalente ravvisò tuttavia in questo provvedimento un'attenuazione del concetto d' impossibilità della prestazione, anziché un concreto riconoscimento della clausola rebus sic stantibus.
Di quest'ultima è stata sancita un'importante applicazione nell'art. 71 del r. decr. 1° luglio 1926, n. 1130, contenente le norme per l'attuazione della legge 3 aprile 1926, n. 563 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro.Si può dire che in virtù di quella norma tutti i contratti collettivi di lavoro s' intendono subordinati alla clausola rebus sic stantibus, essendo ammessa l'azione per la formulazione di nuove condizioni del lavoro "anche quando sia intervenuto il contratto collettivo ed anche prima della scadenza del termine in questo stabilito per la sua durata, purché si sia verificato un notevole mutamento dello stato di fatto esistente al momento della stipulazione". Ma il fondamento di questa particolare applicazione è forse diverso da quello che può giustificarla nel campo dei rapporti contrattuali di mero diritto privato, e deve cercarsi in un interesse pubblico prevalente sugl'interessi e sulle volontà particolari delle parti contraenti.
Tanto più ciò deve dirsi per quanto riguarda il riconoscimento della tacita clausola rebus sic stantibus nel diritto internazionale, come argomento per la legittimazione dell'inosservanza dei trattati, molto energicamente affermato soprattutto da taluni giuspublicisti tedeschi. Qui propriamente al principio giuridico subentra e si sostituisce il criterio politico, per cui, attribuendosi al fine proprio dello stato un carattere assoluto, s'intendono subordinate a questo anche le obbligazioni che lo stato stesso abbia contrattualmente assunto verso altri stati (v. in particolare: Jellinek, Die rechtliche Natur d. Staatenverträge, Vienna 1880).
Per i singoli contratti: di assicurazione, di borsa (differenziali, a termine), d'impiego privato, di lavoro, di locazione, di matrimonio, di vendita, ecc. si vedano le rispettive voci. Per la natura e il carattere dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazionc, v. atto amministrativo.
Bibl.: E. Barsanti, Risolubilità dei contratti a lungo termine pel successivo mutamento dello stato di fatto, in Archivio giuridico, n. s., IV (1899), p. 3 segg.; id., nota del Foro italiano, (1901), col. 737; O. Luchini, La monografia di Carlo Cesarini e i suoi confutatori, in Archivio giuridico, s. 3ª (1904), I, p. 21 segg.; L. Pfaff, Die Clausel rebus sic stantibus in der Doctrin und der österreichischen Gesetzgebung, Stoccarda 1898; P. Cogliolo, La cosiddetta clausola "rebus sic stantibus" e la teoria dei presupposti, in Scritti vari di diritto privato, I, Torino 1917, p. 365 segg.; G. Osti, La così detta clausola rebus sic stantibus nel suo sviluppo storico, in Rivista di diritto civile, 1912, p. 1 segg.; id., Appunti per una teoria della sopravvivenza, ibid., 1913, pp. 471 segg., 647 segg.; B. Dusi, in Rivista del diritto commerciale (1915), II, p. 148 segg.; U. Manara, ibid. (1916), II, p. 46 segg.; G. Segrè, ibid. (1916), II, p. 649; F. Pestalozza, Sull'onerosità eccessiva della prestazione sopravveniente per fortuito, in Foro italiano (1916), I, col. 1127 segg.; A. Giovene, Sul fondamento specifico dell'istituto della sopravvenienza, in Rivista del diritto commerciale (1921), I, p. 155 segg.; E. Osilia, La sopravvenienza contrattuale, ibid. (1924), I, p. 297 segg.; G. Pugliese, Laesio superveniens, ibid. (1925), I, p. i segg.