CONTRADDIZIONE
. Come termine specifico di logica, la contraddizione è il rapporto vigente tra un'affermazione e una negazione di egual soggetto e di egual predicato. In questa antitesi, vero essendo un termine, l'altro dev'esser falso: tale il "principio di contraddizione" che contiene in sé implicito quello del "terzo (o del medio) escluso". La sua prima rigorosa formulazione appare, in Aristotele, strettamente connessa con la concezione del pensiero come attività dianoetica, e cioè operante per mezzo della sintesi del giudizio: analogamente, l'opposizione di ἀνψίϕαδις (contradictio) vi è essenzialmente limitata al campo dei giudizî, affermativi e negativi. Così specificamente contraddittorie, nell'ulteriore sviluppo della logica sillogistica, son dette quelle premesse che conservano il carattere dell'assoluta esclusione reciproca della verità, rappresentata dal principio di contraddizione, anche quando alle loro determinazioni qualitative si aggiungano quelle quantitative: contraddittorie, allora, sono quelle premesse che, avendo identici i termini, differiscono tra loro sia per qualità sia per quantità.
D'altra parte, nella stessa trattazione aristotelica il concetto della contraddizione e il principio che ad essa si riferisce non sono sempre mantenuti nel loro più proprio contatto con la concezione dianoetica della conoscenza, bensì sono spesso trasportati sul terreno di quell'attività noetica, oggetto della quale non è più la sintesi del giudizio, ma l'unico noema o concetto: com'è naturale per il fatto che la polemica aristotelica, dalla quale sorge la determinazione di quel principio, non si oppone soltanto alla specifica capziosità logica dell'estrema sofistica ma anche, più in generale, alla corrente eracliteo-protagorea, propugnante il concetto dell'eterna incostanza di ogni determinazione oggettiva. Di qui il differente aspetto assunto dal poncipio, che in tali casi afferma soltanto la necessità della costante determinazione dell'oggetto del pensiero per tutto il tempo in cui esso venga pensato: e di qui, anche, l'espressione che di esso appare prevalente nell'aristotelismo tradizionale dalla Scolastica in poi, onde esso, come principium identitatis et contradictionis, affenna che A è A e non è non A. Evidente, infatti, come questa formulazione, dove non solo non esistono due giudizî che si contrappongano, ma neanche due termini che possano costituire un giudizio, sia soltanto il risultato di una contaminazione, che fornisce un fittizio aspetto dianoetico all'unitario oggetto del pensiero quale appariva nella formula noetica di Aristotele. Di origine analoga, infine, anche la formula del principio quale si presenta specificamente in Kant, con l'asserzione che "a nessuna cosa conviene un predicato, che le contraddica": formula che, resa esplicita, si trasforma sì in quella dianoetica, ma nella sua immediatezza riproduce la posizione della scolastica contradictio in adiecto, dove l'antitesi non è tra giudizî ma tra soggetto e predicato di un giudizio.
Data questa varietà, non sempre bene avvertita, delle formule del principio di contraddizione, che per la logica tradizionale è poi la legge suprema del pensiero, è evidente che una corrispondente varietà debba constatarsi anche nei motivi dirigenti di tutte quelle dottrine che sono invece partite dalla negazione di tale principio. Di conseguenza, anche la storia di queste dottrine, e cioè quella della dialettica (v.), essendo così collegata strettamente a quella della logica (v.), non può essere adeguatamente intesa nel suo sviluppo se non mediante la continua distinzione dei varî aspetti dello stesso principio a cui si è venuta opponendo.
Bibl.: Per i varî aspetti del principio di contraddizione in Aristotele, v. G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze 1927 (con bibliografia). Circa la storia postaristotelica del concetto, vasta ma disordinata mole di indicazioni in R. Eisler, Wörterbuch d. philos. Begriffe, III, 4ª ed., Berlino 1930, pp. 543-48. V. anche dialettica; logica.