continuo e discreto
Un enigma che la matematica ha sempre cercato di risolvere
Sono molte le domande che ci spingono a cercare una definizione del continuo. Lo spazio è composto di punti? Il tempo è costituito da istanti? Cosa si trova dividendo una figura in parti sempre più piccole? Due punti vicini si possono toccare? Due linee che si intersecano hanno sempre un punto in comune? Le risposte a queste domande non possono affidarsi alla semplice intuizione o al senso comune, che sono regolarmente smentiti dalla scienza, in particolare dalla matematica. Ma è pur vero che la scienza stessa non è sempre in grado di fornire risposte definitive. Essa si avvale di costruzioni, definizioni e modelli che permettono di analizzare o spiegare la natura di certi fenomeni, ma che non hanno per questo un carattere di assoluta necessità
Achille e la tartaruga. Tra i diversi paradossi del continuo il più spettacolare e contrario al senso comune è senz'altro quello di Achille e la tartaruga, formulato da Zenone di Elea (5° secolo a.C.): se il veloce Achille concede anche un piccolo vantaggio alla tartaruga non sarà in grado di raggiungerla, perché nel tempo impiegato per colmare la distanza la tartaruga avrà guadagnato un nuovo tratto, e così ogni volta. Se, per esempio, il vantaggio iniziale della tartaruga fosse di un metro e la sua velocità fosse la metà di quella di Achille, allora, mentre l'eroe greco percorre il metro che lo separa dalla tartaruga, questa nel frattempo percorrerebbe mezzo metro, 1/2 di un metro. Mentre poi Achille percorre il mezzo metro che ora lo separa dalla tartaruga, questa percorre 1/4 di metro. La distanza tra Achille e la tartaruga diventa successivamente sempre più piccola: 1, 1/2, 1/4, 1/8, 1/16, e così via. Tuttavia non diventa mai uguale a 0 e perciò ‒ così argomenta Zenone ‒ Achille non raggiungerà mai la tartaruga.
In realtà i matematici sanno che la somma 1+1/2+1/ /4+1/8+1/16+…, portata avanti all'infinito, è uguale a 2 e quindi ‒ in accordo col senso comune ‒ si conclude che dopo 2 metri Achille avrà raggiunto la tartaruga. Certo, questa è la soluzione del problema, ma così non si risponderebbe alla questione di come Achille riesca a percorrere un numero infinito di intervalli. Il paradosso sorge infatti proprio da questa ipotesi: che si possa dividere un percorso finito e continuo in infiniti percorsi più piccoli, ma simili al primo.
La freccia ferma. Se l'ipotesi sopra esposta non funziona, si potrebbe tener conto di un'altra possibilità: considerare il continuo composto di punti o istanti indivisibili. Ma anche questa ipotesi conduce a un paradosso, anch'esso dovuto a Zenone, il cosiddetto paradosso della freccia ferma: è impossibile che una freccia che vola si muova nell'istante, perché, se cambiasse la sua posizione, l'istante indivisibile diventerebbe un intervallo di tempo divisibile; quindi la freccia, pur volando, è sempre ferma.
La continuità di un percorso ‒ questo insegnano i paradossi di Zenone e molti altri a esso collegati ‒ non può quindi essere né la somma di infiniti piccoli segmenti né la somma di infiniti punti tra loro separati.
La differenza tra continuo e discreto corrisponde in un certo senso a quella tra analogico e digitale: le lancette di un orologio analogico si muovono con continuità, mentre un orologio digitale mostra il tempo con scatti successivi di numeri. Un insieme come quello dei numeri interi naturali (1, 2, 3…) è discreto perché ogni numero ne ha uno successivo; una linea continua di punti non ha invece questa caratteristica: non c'è il punto immediatamente successivo di un altro.
La matematica ha cercato fin dall'inizio i possibili nessi tra continuo e discreto, rappresentando le proprietà delle figure dello spazio mediante i numeri e i loro rapporti. Del continuo si è così sviluppata, nella storia, una concezione aritmetica o algebrico-analitica, anziché geometrica. Tale spostamento si deve anche alla tendenza generale della matematica ad aritmetizzare le proprie costruzioni, riconducendo ogni cosa a operazioni su numeri. E questo è così vero che con le tecniche digitali le stesse immagini diventano numeri. Per l'informatica e il calcolo scientifico, sviluppatisi dalla metà del 20° secolo, il discreto ha guadagnato un'importanza prevalente rispetto al continuo, dal momento che i calcolatori operano attraverso stati fisici discreti. Ogni tipo di informazione trasmessa per via elettronica viene codificata come insieme discreto di numeri.
In un metro i numeri sono disposti su una linea retta. Quelli indicati sono soltanto i numeri interi positivi, ma si capisce, per esempio, che esattamente a metà tra 0 e 1 si può collocare la frazione 1/2. Da un punto di vista matematico si può andare avanti e collocare, a metà tra 0 e 1/2 la frazione 1/4. Tale procedimento può andare avanti all'infinito:
0 1 0 1/2 1 0 1/4 1/2 1 0 1/8 1/4 1/2 1
La divisione può quindi procedere all'infinito senza mai arrivare a elementi atomici o indivisibili (anche se non si può escludere, solo per questo, che il continuo consista in un insieme di punti, atomi o istanti). Tra due frazioni, per quanto vicine, se ne trovano sempre altre ‒ infinite altre! ‒ comprese tra esse. Le frazioni, che costituiscono l'insieme dei numeri razionali, non sono perciò un insieme discreto come quello dei numeri interi, bensì un insieme che, per il fatto che i suoi elementi si possono infittire sempre di più, è chiamato denso.
Questa densità, si intuisce, è una proprietà necessaria di ogni continuo, ma sarebbe un errore concludere che sia anche una proprietà sufficiente. Le frazioni sono sì 'più continue' dei numeri interi, perché sono dense, ma contengono ancora delle discontinuità, sono piene di vuoti o lacune. In sostanza, pur considerando su una retta, per esempio tra 0 e 1, tutte le possibili frazioni, rimangono dei punti ‒ infiniti punti! ‒ a cui non corrisponde alcun numero razionale o frazione. Alla densità occorre quindi aggiungere, per ottenere il continuo, un'ulteriore proprietà: la completezza.
Se si considera un quadrato il cui lato misura una unità (non importa se un centimetro o un metro) la sua diagonale, per il teorema di Pitagora, misura
Già gli antichi matematici greci sapevano che questo numero non si può esprimere come frazione, cioè come rapporto tra due numeri interi: nessuna divisione dà come risultato √2. Ma allora, se si considera una retta graduata e si costruisce un quadrato di lato 1 e si riporta con il compasso la diagonale sulla retta stessa, si ottiene un punto, nella figura indicato con A, che deve corrispondere alla lunghezza della diagonale, cioè a √2. Sulla retta ci sono perciò dei punti ‒ infiniti punti! ‒ cui non corrisponde alcun numero razionale.
Per ottenere il continuo occorre aggiungere ai numeri razionali i numeri come √2, che si chiamano irrazionali, stabilendo in questo modo una corrispondenza biunivoca tra i punti della retta e i numeri decimali, finiti e infiniti.
Le prime definizioni rigorose del continuo furono date negli ultimi decenni del 19° secolo dai matematici tedeschi Georg Cantor e Richard Dedekind: esse sono però complesse e non si possono descrivere in poche parole. Tuttavia, la definizione di Dedekind rimanda a un'idea piuttosto semplice, che chiarisce la distinzione tra discreto e continuo: se si vuole tagliare una ideale collana fatta di infinite perline è possibile che le forbici trovino un vuoto tra una perlina e l'altra, perché le perline costituiscono un insieme discreto. Ma chiudendo le forbici le sue lame intercettano necessariamente il filo, perché non ci sono buchi: esiste ed è unico un elemento separatore nel quale si taglia in due il filo.