CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
(App. III, I, p. 424; IV, I, p. 512; v. anche giudiziario, ordinamento, in App. II, I, p. 1060)
In questi anni il C. s. è stato oggetto di tre successivi interventi di riforma (leggi 3 gennaio 1981, n. 1; 22 novembre 1985, n. 655; 12 aprile 1990, n. 74) che si sono sovrapposti alle tre precedenti leggi 13 luglio 1965, n. 838; 18 dicembre 1967, n. 1198; 22 dicembre 1975, n. 695, così ulteriormente modificando l'originaria disciplina della legge istitutiva 24 marzo 1958, n. 195. Sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 1988 è inoltre apparso il testo coordinato del regolamento interno del C. s., da questo approvato con deliberazione 6 aprile 1988. Il succedersi delle innovazioni conferma che la materia non ha trovato ancora un assetto stabile, com'è, del resto, dimostrato dalla frequenza con la quale il funzionamento del C. è oggetto di discussioni e polemiche, le quali hanno talvolta coinvolto anche altri organi di vertice dello stato. Se è ancora discussa l'appartenenza di esso alla categoria dei cosiddetti organi costituzionali, anche a causa delle difficoltà d'identificazione dei tratti caratteristici di questa, è ormai fuori discussione che esso ha di fatto acquisito un'indubbia rilevanza politica ascrivibile non solo all'oggetto delle sue competenze ma anche ai conflitti di orientamento e d'indirizzo che si manifestano al suo interno, incrinandone l'immagine di organo strettamente vincolato all'applicazione della legge sull'ordinamento giudiziario. Con l'ultima riforma della sua composizione i componenti che i magistrati eleggono sono scelti: due tra i magistrati di Cassazione con effettivo esercizio delle funzioni di legittimità, e diciotto fra i magistrati che esercitano funzioni di merito.
Alle elezioni si provvede sulla base di un collegio nazionale per l'elezione dei due magistrati con funzioni di legittimità, e di quattro collegi circoscrizionali per gli altri, individuati mediante estrazione a sorte tra tutti i distretti di Corte di appello (ma costituiti dalla l. 12 aprile 1990, n. 74, in occasione delle prime votazioni successive alla sua entrata in vigore). Norme speciali sono dettate per le dimensioni dei collegi medesimi, per l'assegnazione ad essi con sorteggio dei magistrati con funzioni di legittimità ai fini della elezione dei componenti con funzioni di merito, e per la presentazione delle liste. In ogni collegio territoriale vengono eletti − a seconda delle dimensioni − quattro o cinque consiglieri, ogni elettore può esprimere un voto per l'elezione dei consiglieri con funzioni di legittimità e un voto per quella dei consiglieri con funzioni di merito. I seggi sono ripartiti fra le liste di candidati secondo il sistema proporzionale con il metodo del quoziente; sono eletti i candidati con il maggior numero di preferenze.
La disciplina prescelta vuole a un tempo correggere le disfunzioni derivanti dalla precedente applicazione in un unico collegio nazionale del sistema proporzionale, e tenere distinte le due categorie di magistrati con funzioni di legittimità e di merito (secondo le indicazioni della Costituzione sviluppate nella sent. n. 87, 1982, della Corte Costituzionale), al tempo stesso assicurando la partecipazione di tutti i magistrati all'elezione dei membri del Consiglio indipendentemente dalla categoria di appartenenza. Non sono eleggibili i magistrati che nel corso dell'ultimo quadriennio siano stati addetti all'ufficio studi del C. superiore. Non sono rieleggibili i componenti del CSM per il cui rinnovo vengono convocate le elezioni.
Dopo le recenti modifiche la sezione disciplinare del CSM è composta di nove membri effettivi. Unico membro di diritto è il vicepresidente, ma il presidente della Repubblica può escluderlo convocando e presiedendo personalmente la sezione in tutti i casi in cui lo ritenga opportuno. Gli altri componenti sono eletti nel proprio seno dallo stesso C.: due degli eletti dal Parlamento e sei eletti dai magistrati (un magistrato di Cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità e cinque magistrati con funzione di merito). In ogni caso, nei singoli procedimenti, deve essere garantita la presenza nel collegio deliberante di tutte le categorie chiamate a concorrere alla formazione del C. (Corte Cost. sent. n. 12, 1971).
Le sedute del C. sono pubbliche, salvo quando ricorrano motivi di sicurezza o quando sulle esigenze di pubblicità prevalgano ragioni di tutela del diritto alla riservatezza del magistrato o di terzi. L'esclusione della pubblicità è deliberata su proposta delle singole commissioni o di almeno tre componenti del Consiglio. Quanti presenziano alle sedute per le quali è stata esclusa la pubblicità sono tenuti al segreto. Anche il dibattito dinanzi alla sezione disciplinare si svolge in pubblica udienza, salvo eccezioni espressamente previste (fatti estranei alla funzione giurisdizionale, esigenze di tutela dei terzi e di credibilità della funzione giudiziaria).
Con disposizione − che è parsa di dubbia costituzionalità con riguardo agli artt. 3, 28 e 112 Cost. − i membri del CSM sono stati dichiarati non punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione: ma la Corte Costituzionale ha ritenuto di rigettare la proposta questione di costituzionalità, asserendo che la giustificazione della causa di non punibilità non deve essere necessariamente espressa nella Costituzione, potendo trovare fondamento nella condizione del tutto particolare che sul piano costituzionale spetta al CSM (sent. n. 148, 1983). Agli stessi è precluso lo svolgimento di attività proprie degli iscritti a un partito politico.
Il C. delibera sui provvedimenti di sua competenza con votazione a maggioranza sulle proposte della commissione referente competente per materia fra quelle istituite dallo stesso C. entro un mese dall'insediamento. Il regolamento espressamente prevede la costituzione di cinque commissioni speciali: 1) per il regolamento del C.; 2) per il regolamento di amministrazione e contabilità; 3) per il bilancio del C.; 4) per l'eliminazione e l'inserimento di atti nei fascicoli personali dei magistrati; 5) per la riforma giudiziaria e l'amministrazione della giustizia. La regola ovviamente non vale per le deliberazioni disciplinari, in quanto per l'esercizio delle relative funzioni la sezione è organo giurisdizionale.
Sul conferimento degli uffici direttivi, escluso quello di pretore dirigente, il C. delibera su proposta, formulata di concerto con il ministro di Grazia e Giustizia, di una commissione (formata da sei dei suoi componenti, di cui quattro eletti dai magistrati e due eletti dal Parlamento), che, prima di concertarsi con il guardasigilli, sottopone al C. l'elenco degli aspiranti, le proprie valutazioni e le conseguenti motivate conclusioni, allegando quelle dei dissenzienti che lo richiedano.
Se da rapporti o esposti risultino fatti suscettibili di valutazione in sede disciplinare o essi emergano nel corso di un'istruttoria, il C. ne informa immediatamente i titolari dell'azione disciplinare. La comunicazione non implica nessuna valutazione da parte del C. sulle responsabilità disciplinari che possono eventualmente risultare.
Tale ultima precisazione è invero molto utile e opportuna: alcune segnalazioni del C. ai titolari dell'azione disciplinare avevano infatti creato la sensazione che per quella via il C. venisse in qualche modo ad anticipare il giudizio che è chiamato a rendere successivamente alla promozione dell'azione disciplinare. Del resto, i contorni di questa sono ancora incerti per la mancanza di una precisa codificazione degli illeciti per i quali il giudice disciplinare può essere adito, benché dalla Costituzione si traggano indicazioni precise per una previa determinazione legislativa dei comportamenti non conformi. Fra l'altro desta perplessità la tendenza a contestare illeciti disciplinari anche quando il comportamento di cui si asserisce l'illiceità riguarda non solo la conduzione di uffici e l'adozione (non tempestiva e irregolare) di provvedimenti necessari, ma anche pronunce giurisdizionali ritenute arbitrarie, ovvero considerate come decisamente stravaganti. Orientamenti siffatti espongono il giudizio disciplinare al rischio di trasformarsi in un sindacato sull'esercizio della funzione giurisdizionale.
Altri problemi ha sollevato l'applicazione dell'art. 2 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, che consente l'adozione di pronunce di ordine quasi disciplinare, le quali possono portare, anche senza il consenso del giudice interessato, al trasferimento ad altra sede o alla destinazione ad altre funzioni di un magistrato, quando, per qualsiasi causa, anche indipendente da sua colpa, non può, nella sede che occupa, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario. Vi era stata un'intesa per una sostanziale disapplicazione di questa norma, ma poi a essa si è fatto di nuovo ricorso per risolvere talune scabrose situazioni insuscettibili di sfociare in un procedimento disciplinare.
In effetti, conflitti e intese fra le varie correnti di magistrati che si contendono i consensi per l'elezione dei consiglieri 'togati' condizionano profondamente l'attività del Consiglio. Lo stesso assetto della disciplina elettorale, facendo largo posto al pluralismo delle posizioni, favoriva, almeno prima dell'entrata in vigore della l. 12 aprile 1990, n. 74, la conflittualità, come sempre avviene quando si adottano sistemi proporzionali. Le controversie interne trovano poi risonanza nel sistema politico e ciò favorisce l'acuirsi dei contrasti fra il C. e altri organi di vertice dello stato.
Esemplare è stata a tale riguardo la vicenda che ha ha visto l'intervento del presidente della Repubblica Cossiga per impedire al C. di prendere posizione su apprezzamenti critici formulati dal presidente del Consiglio dei Ministri in carica nei confronti di orientamenti di magistrati. Anche con i ministri di Grazia e Giustizia i rapporti non sono stati sempre facili, specie quando si sono avute divergenze sulla valutazione da dare in ordine al comportamento di uffici giudiziari particolarmente esposti nella lotta alla criminalità organizzata in Sicilia e in Calabria, cui il C. ha ritenuto di poter impartire direttive organizzative e operative. D'altra parte gli stessi componenti del C. sono stati fatti oggetto in un'occasione di un'indagine giudiziaria che rischiava di bloccarne il funzionamento. La situazione fu allora sbloccata grazie a un deciso intervento dell'allora presidente della Repubblica Pertini, il quale assunse su di sé l'onere di non porre all'ordine del giorno del C. il provvedimento di eventuale sospensione dei consiglieri inquisiti. Il che conferma una volta di più la portata moderatrice degli interventi che il Capo dello stato può svolgere in C. ovvero nei confronti del corpo dei magistrati, i quali − per es. − più volte sono stati dissuasi dal ricorrere allo sciopero per far valere le loro ragioni da prese di posizione dei vari presidenti della Repubblica succedutisi in questi anni. In questa chiave può risultare più che opportuna l'iniziativa, ancora del presidente Cossiga, per rivendicare l'effettività della presidenza del C. affidata al Capo dello stato e per inibire al C. l'elezione del vicepresidente dopo un dibattito programmatico che lo avrebbe caratterizzato politicamente.
I contrasti che hanno accompagnato il funzionamento del C. hanno spesso suggerito proposte di revisione dell'ordinamento costituzionale dell'istituto. Del tema si è occupata anche la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, che nella relazione presentata ai presidenti delle Camere il 29 gennaio 1985 ha, però, dovuto prendere atto che nel suo seno non si era determinato su questo punto un consenso sufficiente per proporre una modifica della disciplina attuale, "mentre sono emersi elementi favorevoli, comunque, ad una riforma della vigente legge elettorale del Consiglio superiore, alla quale soprattutto sarebbe da imputare la causa dei fenomeni degenerativi di politicizzazione del Consiglio stesso". Così dell'assetto costituzionale del C. si va ancora discutendo, specie per quanto concerne il rapporto fra componenti laici e componenti togati. Se nel 1974 un'iniziativa dei deputati democristiani (Atti parl., Camera dei Deputati, vi leg., doc. n. 2811) mirava a invertire il rapporto numerico fra gli stessi, assicurando due terzi dei seggi in C. ai primi e un terzo ai secondi, oggi si disegnano soluzioni meno traumatiche, proponendo di parificare quel rapporto o di accrescere la presenza dei 'laici' con un congruo numero di membri di nomina del presidente della Repubblica, come fa − per es. − altra recente iniziativa democristiana (Atti parlamentari, Senato della Repubblica, x leg., doc. n. 832) che, riducendo a quindici i componenti togati, li vorrebbe affiancati da dieci laici eletti dal Parlamento in seduta comune, dai due membri di diritto (Primo presidente e procuratore generale della Corte di Cassazione) e da tre membri magistrati nominati dal Capo dello stato, al quale resterebbe la presidenza del collegio. La l. n. 74 del 1990 sembra, invece, aver risolto i problemi dell'apparato servente del C. con norme sulla composizione della segreteria, sul ruolo organico autonomo e sull'ufficio studi e documentazione.
Bibl.: F. Colitto, Il Consiglio superiore della magistratura, Campobasso 1972; A. Pizzorusso, L'organizzazione della giustizia in Italia, Torino 1985. Oltre a queste trattazioni generali, v. S. Bartole, Materiale per un riesame della posizione del Consiglio superiore della magistratura, in Scritti in onore di Costantino Mortati, 4, Milano 1977, pp. 1 ss.