CONFALONIERI (de Confanoneriis, de Confaloneriis), Matteo, detto Balocchino
Figlio di Martino, consignore di Balocco (Vercelli) - donde il soprannome - e nipote abiatico di altro Matteo, compare per la prima volta nei documenti a noi noti il 13 ott. 1447, mentre non viene ancora menzionato nell'investitura concessa al padre l'anno precedente: è quindi possibile che solo allora avesse raggiunto la maggiore età.
La famiglia risulta sicuramente insediata a Balocco sin dall'inizio del sec. XII, quando era rappresentata da Eustachio (figlio di un Gisulfo professante legge longobarda) al quale competeva il titolo di signifer o confanonerius della Chiesa di Vercelli, poi cognominizzato nei suoi discendenti; non è dunque accettabile l'ipotesi che vuole i Confalonieri di Balocco derivati dall'omonima e più nota famiglia milanese. Pur avendo rinunciato all'avvocazia della pieve di S. Michele di Balocco sul finire del sec. XII, i Confalonieri continuarono nondimeno a rimanere in costante rapporto di vassallaggio con il vescovo di Vercelli per decime e terre che essi detennero nel medesimo luogo durante i secoli successivi; come la maggior parte dei signori rurali, tuttavia, anch'essi giurarono la cittadinanza al Comune vercellese, e alcuni di loro, almeno dal Duecento, trasferirono la loro residenza in città.
Il nome Eustachio, rimasto tradizionale nella famiglia, fu portato da un cugino paterno del C. al servizio di Amedeo VIII di Savoia nei primi decenni del sec. XV; mentre sappiamo che più tardi, nel 1448, era consigliere ducale un Corsino Confalonieri di Balocco, abate di Lucedio, di cui non ci è chiaro l'esatto rapporto di parentela con Matteo.
Fu probabilmente grazie a tali precedenti familiari che il C. poté entrare al servizio del duca Ludovico di Savoia, dal quale ricevette le patenti di scudiero e di "familiare continuo" il 26 apr. 1452. Tre anni dopo, per la morte del padre, venne investito della parte a lui spettante del feudo di Balocco, anche a nome dei due fratelli Baldassarre e Leone, verisimilmente di lui più giovani.
Lo sviluppo della sua carriera lo vede nel 1466 vicegovernatore di Vercelli, e nello stesso tempo partecipante al Consiglio ducale; l'anno dopo, come comandante delle truppe sabaude raccolte nella città, gli venne affidata la sorveglianza e la fortificazione del contado. L'8 genn. 1468 appare per la prima volta insignito del titolo di capitano di Santhià, che portò per tutto il resto della vita: esso gli conferiva l'autorità militare su una circoscrizione che raccolse sino ad una quarantina di località di dominio sabaudo, ampiamente distribuite nella zona a settentrione di Vercelli, rimaste dal XIV al XVIII secolo in delicata posizione di confine nei riguardi del vicino ducato di Milano. In quell'anno, come sappiamo solo indirettamente, il C. aveva già contratto matrimonio con una nobildonna appartenente alla famiglia dei signori di Pertengo.
Più delle qualità militari contribuirono al successo della sua carriera le attitudini diplomatiche e di buon parlatore, che fecero di lui, per almeno un decennio, uno "dei più attivi ed intelligenti politici piemontesi" (Daviso). Deputato agli stati generali e ambasciatore della "patria cismontana" a Chambéry una prima volta nel 1470, ebbe modo di guadagnarsi la fiducia dei governanti: pur conservando sempre il capitanato di Santhià, il C. venne nominato nel maggio 1471 vicario di Cuneo. Iniziò allora la serie delle sue ambasciate al duca di Milano, in un momento particolarmente delicato nella storia degli Stati sabaudi, turbati dalla rivolta di Filippo Senzaterra contro la reggente Iolanda. Il conseguimento dell'alleanza fra i Savoia e Milano, risultato delle sue missioni, gli fruttò nel 1472 gli elogi della reggente e la riconferma del vicariato di Cuneo, dove rimase come suo luogotenente il fratello Baldassarre, anche egli scudiero ducale sin dal 1460, e capitano di Salussola. Il C. non avrebbe infatti potuto attendere di persona all'incarico poiché fu subito impegnato in altre ambascerie presso Galeazzo Maria Sforza affidategli dall'Assemblea cismontana; cominciò, inoltre, proprio da quegli anni a far parte in modo stabile dell'entourage della duchessa, fu rappresentante agli stati generali riuniti in Vercelli e costantemente tra i primi posti negli incarichi diplomatici più importanti. Gli anni dal 1472 al 1476, coincidenti con la seconda reggenza di Iolanda, furono per il C. i più densi di impegni: fu affidata in gran parte a lui l'attività diplomatica che mirava a sottrarre il ducato alla pesante egemonia francese appoggiandosi a Milano. Al seguito della reggente a Vercelli, a Moncrivello, a Moncalieri e a Rivoli, egli si dichiarò pubblicamente fautore dello Sforza; cionondimeno - o appunto per questo - fece parte nel luglio-agosto del 1476 dell'ambasceria inviata a Luigi XI di Francia, e appare impegnato nella organizzazione della difesa militare dei passi alpini, cui partecipò anche il fratello Baldassarre. Nulla varrà tuttavia a sottrarre il ducato alla pesante tutela francese mentre Santhià stessa, sede del capitanato retto dal C., forse per insufficienza o assenza di quest'ultimo, nel novembre venne presa e saccheggiata dai Milanesi.
L'attività del C. non diminuì dopo il 1478, anno della morte di Iolanda: nel 1481 venne eletto a Torino fra i capi della "parte piemontese" che si opponeva all'imperante preminenza savoiarda nella amministrazione e nel governo del ducato; nel dicembre di quell'anno gli stati generali lo elessero al Consiglio cismontano, mentre l'anno dopo, sotto il duca Carlo I, partecipò all'ambasciata presso il re di Francia nella quale i Piemontesi precedettero i Savoiardi, senza riuscire ad ottenere la titolarità della metà degli uffici degli Stati sabaudi da essi richiesta. Nel 1484 il C. fu ancora ambasciatore presso lo Sforza. La sua appartenenza allo stretto seguito del duca, con la conseguente partecipazione ai giochi di potere al vertice dello Stato, proseguì nel 1485 allorché egli si associò alla cospirazione contro Claudio di Racconigi e poi nel 1487 alla protesta contro il perdurante favore accordato ai Savoiardi.
Nel frattempo, sin dal 1475, il C. appare, insieme con altri funzionari, in qualità di "tassatore", col delicato incarico di ripartire fra i Comuni del ducato le aliquote per i sussidi in denaro votati dal Parlamento; al medesimo compito assolse nuovamente nel 1487. Il 2 dic. 1490 delegò il figlio Bernardino, a nome di tutto il consortile, a ricevere la conferma dell'investitura di Balocco. Allora il C., per quanto certamente in età ormai avanzata, era ancora ben valido se, il 31 ag. 1492, ricoprendo sempre la carica di capitano di Santhià, venne autorizzato a sostituire i nipoti Bernardo ed Ettore nel capitanato di Salussola, e continuò a far parte del "gruppo governativo piemontese più sicuro" (Marini) apparendo fra coloro che assistevano la nuova reggente Bianca di Monferrato. Di quello stesso anno, nondimeno, è l'ultima notizia in nostro possesso relativa alla sua attività pubblica: il 5 settembre ripartì ancora le quote di un sussidio votato dal Parlamento.
Morì - in località non nota - prima del 15 marzo 1496, quando il figlio Bernardino venne investito della sua parte di Balocco e gli successe, oltre che nel feudo, anche nelle funzioni di "ripartitore" dei sussidi e in un secondo tempo nella carica di capitano di Santhià, che gli fu attribuita dal 1409 al 1518.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, sezione I, Protocolli ducali, Serie camerale, 43, c. 80v; 5, cc. 41r-44v; 95, cc. 31r-33v; Serie di corte, 76, c. 504r; 80, cc. 749r-754v; 91, cc. 26r-32v; 91r-96r, 274r; 92, cc. 8r-9r; 98, c. 395r; 118, cc. 1r-2v; 121, cc. 324r-327r; 123, cc. 131r-132r, 326v, 344v; 124, cc. 223r-226r; 153, cc. 68r-70r; 193, c. 112r; 194, cc. 155r-159r; D. Arnoldi-G. C. Faccio-F. Gabotto-G. Rocchi, Le cartedell'arch. capitolare di Vercelli, I, Pinerolo 1912, pp. 103 s.; Arnoldi, Le carte dell'arch. arcivescovile di Vercelli, Pinerolo 1917, pp. 233, 238 s., 243 s., 253, 368-374, 426, 432 ss.; G. Frola, Corpus statutorum Canavisii, I, Torino 1918, p. 194; D. Arnoldi, Il "Libro delle investiture" delvescovo di Vercelli Giovanni Fieschi (1349-1350), Torino 1934, pp. 379 s.; A. Tallone, Parlamentosabaudo, IV, Bologna 1931, pp. 199, 203, 205, 236, 240, 279, 356, 407, 414, 432, 439, 443; V, ibid. 1932, pp. 10, 18, 26, 32, 66, 71, 77, 80, 105, 110, 112, 115, 119, 120, 123, 124 ss., 134, 151, 158 s., 161, 292, 294, 304, 341, 358, 368, 400, 412, 440; VI, ibid. 1932, pp. 103, 107, 165, 253, 375; IX, ibid. 1937, pp. 263, 314; I. Durandi, Dell'antica, condizione del Vercellese e dell'anticoborgo di Santià, Torino 1766, pp. 148 ss.; V. Mandelli, Il Comune di Vercelli nel Medio Evo, IV, Vercelli 1861, pp. 19, 144; F. Gabotto, LoStato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, Torino 1893-1895, II, pp. 49 s., 52, 81 s., 88, 91 ss., 101, 116, 196, 222, 281 s., 317, 328, 364; III, pp. XIV, XVI, XIX, XXVIII; P. M. Perret, Histoire des relations de la Franceavec Venise du XIIIe siècle à l'avènement de Charles VIII, I, Paris 1896, pp. 567-571; F. Gabotto, Asti e il Piemonte al tempo di Carlo d'Orléans, in Riv. di storia, arte e arch. per la prov. di Alessandria, V (1896), 14, p. 240; VI (1897), 20, p. 160; Id., Storia di Cuneo dalle origini ai nostrigiorni, Cuneo 1898, pp. 112 ss.; Id., Contributoalla storia delle relazioni fra Amedeo VIII di Savoia e Filippo Maria Visconti, in Boll. della Soc. pavese di storia patria, III (1903), pp. 220 s.; R. Orsenigo, Vercelli sacra, Como 1909, pp. 199 s.; M. C.Daviso di Charvensod, La duchessa Iolanda, Torino 1935, pp. 75, 92, 106, 122, 144; Z. Arici, Bona di Savoia duchessa di Milano, Torino 1935, pp. 167, 173 (dove il C.viene erroneamente chiamato Domenico); M. C.Daviso di Charvensod, Filippo II il Senzaterra, Torino 1941, pp. 92, 106, 122, 144, 215, 218; Id., Considerazioni intorno ai tre stati in Piemonte, in Boll. Storico-bibl. subalpino, XLV (1947), pp. 21 s.; F. Di Vigliano, Antiche famiglie vercellesi, Vercelli 1961, p. 10; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato sabaudo, I, Roma 1962, pp. 180, 183, 186, 193 ss., 198 s., 215, 223-226, 229, 235, 238 ss.; 249, 252, 273, 295, 297.