MARCHESI, Concetto
Nacque a Catania il 1° febbr. 1878 da Gaetano e da Concettina Strano. Nella sua città frequentò il liceo classico e, a sedici anni, diede vita a un giornaletto, Lucifero, di ispirazione libertaria; per l'articolo di fondo del primo numero, subito sequestrato, fu condannato a un mese di reclusione.
L'adolescenziale Lucifero, con i suoi motti a effetto e con le sue escandescenze verbali, è lo specchio intellettuale del M. di quegli anni, impregnato dell'insegnamento del catanese M. Rapisardi - professore di letteratura italiana e latina nell'Università, poeta, esponente della Sinistra -, da cui il M. mutuò l'anticlericalismo e il misticismo democratico che ispirarono la sua prima pubblicazione, Battaglie (Catania 1896), volume di poesie inneggianti o incitanti al riscatto sociale. Formative, forse più di quanto lo stesso M. fosse pronto ad ammettere, le letture dell'adolescenza: P.-J. Proudhon, G. Mazzini e, infine, "il gran fascio di luce", il Manifesto dei comunisti del 1848.
Nel 1895 si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI), quindi alla facoltà di lettere catanese; e proprio all'Università, dove si era recato ad ascoltare la "lezione mattutina" di R. Sabbadini, nel febbraio del 1896, avendo compiuto il diciottesimo anno di età, fu prelevato e tradotto in carcere per il reato commesso due anni prima. Rilasciato dopo due mesi di detenzione, il M. non volle restare a Catania e passò a Firenze, dove si laureò, il 10 luglio 1899, presso l'Istituto di studi superiori. Il trasferimento a Firenze aveva interrotto, almeno al momento, il discepolato presso Sabbadini, il latinista e studioso dell'umanesimo cui il M. sarebbe rimasto legato per la vita, anche attraverso il nesso parentale (ne sposò la figlia Ada nel 1910).
Difficilmente si saprebbero indicare due figure così diverse, caratterialmente e scientificamente, come Sabbadini e il M.: "Il vicentino Sabbadini - ha scritto Ezio Franceschini -, scolaro prediletto del Comparetti e del Villari, lavoratore ostinato e tenace, ricercatore, erudito, filologo di sconfinata dottrina […] e il catanese Marchesi, che non amava né il lavoro, né la fatica, né l'erudizione, nato per l'arte, per la contemplazione del bello, per quel non pensare a nessuna cosa, che è la possibilità di pensare a qualunque cosa" (1978, p. 306). Ciò non impedì che Sabbadini esercitasse un'influenza notevole, per lo meno sull'indirizzo di ricerca nel quale, ai suoi esordi, il M. si formò, quello della tradizione tardomedievale e umanistica dei classici greci e latini. Nell'ambito più propriamente tecnico-filologico le sue prove esordiali non furono particolarmente felici. Desta ammirazione invece la capacità di interpretazione storico-contenutistica degli autori, dispiegata dal M., una volta che si fu orientato principalmente verso la letteratura latina: dapprima nei numerosi commenti, quindi nei "Profili" (Valerio Marziale, Genova 1914; Petronio, Roma 1921; Giovenale, ibid. 1921) redatti per l'omonima collana dell'amico editore Formiggini, nei "saggi" maggiori (Seneca, Messina 1920; e Tacito, ibid. 1924) e, infine, nel grande disegno della Storia della letteratura latina (I-II, ibid. 1925-27) non a torto accostata, da più critici, a quella dedicata da F. De Sanctis alla letteratura italiana.
Il M. si colloca, così, nella tradizione della "critica romantica", come ha osservato A. La Penna. Una critica che non scade nell'estetico "rivivimento" perché è ben ancorata alla storia, e che, al tempo stesso, non perde di vista le concrete individualità dei singoli autori "in quanto persone": il che la mette al riparo dall'inseguire le vane geometrie formalistiche. Veicolo di questa concreta perlustrazione della letteratura latina furono, per il M., i commenti: impegnativa frequentazione dei testi che non pochi filologi in senso stretto finiscono con il trascurare. Fu, quello del commento, un terreno sul quale il M. ritrovò un punto d'incontro con Sabbadini: in particolare nel rifacimento del commento all'intera Eneide, ripensata tutta, da cima a fondo, rigo dopo rigo (Torino 1950-55).
Dal 1906 al 1915 il M. fu professore al liceo classico di Pisa; nel 1915 vinse la cattedra di letteratura latina e fu chiamato a Messina. Nel 1923 prese una seconda laurea, in giurisprudenza, con una tesi su "Il pensiero giuridico e politico di Tacito" e, nello stesso anno, fu trasferito a Padova, dove insegnò sino al 1948, quando andò fuori ruolo.
Sul piano politico, da ribelle proudhoniano-mazziniano a socialista (nel 1908, a Pisa, fu eletto consigliere comunale "democratico") il M. approdò, infine, al comunismo aderendo al nuovo partito fin dalla fondazione, al congresso di Livorno del 1921.
Lo sorreggeva l'idea - che riteneva di ricavare dal Manifesto di K. Marx e di F. Engels e che invece era frutto di una sua interpretazione positivistico-meccanicistica - della "necessità" del comunismo. A Livorno il M. era nelle file bordighiane; il suo impianto mentale, nel passaggio dal partito socialista al neonato Partito comunista d'Italia (PCd'I), fu quello della maggioranza bordighiana del partito. Ciò risulta evidente, tra l'altro, dalla rigida equazione tra fascismo e democrazia borghese manifestata nei suoi interventi nella rivista teorica, Rassegna comunista. Fin dai primi anni un punto rimase sempre in lui fermo, profondamente sentito e impermeabile persino alle direttive di partito: la contrapposizione alla Chiesa, vista, senza sfumature, come il baluardo della conservazione; nel valutarne la politica, il M. fu sferzante e lucido fin dall'intervento nella Rassegna comunista del 31 maggio 1922 (I pacificatori), volto a bollare l'ambiguità del partito popolare ("In un luogo è con gli agrari, in un altro è coi contadini; qui è coi fascisti, là è coi socialisti ecc.").
Interruppe, comunque, la sua attività di pubblicista politico poco dopo il trasferimento a Padova: fino all'agosto 1924 aveva collaborato (con lo pseudonimo di Aper) al Prometeo di A. Bordiga; l'ultimo scritto politico fu una dura requisitoria contro i cattolici apparsa ne l'Unità in data 17 genn. 1925 (Giubileo). Poi, dopo gli anni di apparente inerzia del periodo fascista, nella primavera del 1943 il M., contattato da G. Amendola, rappresentante del centro estero del Partito comunista italiano (PCI), riacquistò un ruolo politico.
Nella prima fase della cospirazione antifascista, precedente il 25 luglio, tenne un atteggiamento duttile, di moderata apertura nei confronti della monarchia. In maggio, come altri esponenti dell'antifascismo, incontrò clandestinamente il generale R. Cadorna, appena giunto a Ferrara al comando della divisione Ariete, per sondare l'atteggiamento dell'esercito nel caso di eventuali iniziative contro il regime. Partecipò a riunioni clandestine dei partiti antifascisti e fu in tali circostanze che Amendola lo definì "collegato con l'organizzazione comunista". Tramite C. Antoni, fece pervenire alla principessa Maria José di Savoia un messaggio del PCI di appoggio all'azione della monarchia nel caso il re avesse preso l'iniziativa di congedare B. Mussolini.
Dopo la caduta di Mussolini, il 12 agosto, con G. Roveda e Amendola, il M. rappresentò il PCI nel Comitato centrale delle opposizioni, costituito dai partiti antifascisti, e il successivo 10 settembre, insieme con S. Trentin ed E. Meneghetti, fondò il Comitato di liberazione nazionale (CLN) veneto. Intanto, dal 1° settembre, era stato nominato dal governo Badoglio rettore dell'Università di Padova; le sue dimissioni da quella carica, presentate dopo la nascita, sempre in settembre, della Repubblica sociale italiana (RSI) furono respinte dal ministro dell'Educazione nazionale "repubblichino", C.A. Biggini; il M., nonostante le pressioni del PCI in senso contrario, decise di rimanere rettore in cambio dell'impegno, da parte di Biggini, che fosse garantita "l'immunità dell'Università".
Suo proposito era quello di fare del rettorato una sede "protetta" e insospettabile per organizzare la resistenza e "coprire gli studenti attivisti". Il discorso da lui pronunciato il 9 novembre per l'inaugurazione dell'anno accademico, pur essendo, in realtà, una sorta di sfida alla faccia "socializzatrice" del neofascismo ottenne, forse strumentalmente, una eco positiva nella stampa repubblichina (Lo Stato del lavoro nella parola del rettore dell'Università di Padova, in Gazzetta del popolo, 12 nov. 1943) e gli procurò, da parte del centro romano del PCI, una "grave misura disciplinare" (forse sospensione, non espulsione dal partito) a causa della sua ostinazione a permanere nel rettorato.
Probabilmente per evitare l'arresto già meditato dalle autorità tedesche, il 15 novembre, mentre si riproponevano incidenti tra studenti e milizia repubblichina, il M. si spostò a Firenze e rientrò però dopo poco a Padova dove, nascosto in casa di L. Turra, scrisse il celebre appello agli studenti che incitava alla resistenza armata (datato 1° dicembre, fu diffuso il 5 dello stesso mese). Il 29 novembre, sotto falso nome, era trasferito da Padova a Milano; infine, il 9 febbr. 1944, nonostante il centro milanese del PCI lo volesse a Roma, passò in Svizzera, con l'appoggio dalla rete partigiana facente capo al suo allievo E. Franceschini.
L'attività del M. in Svizzera, nel corso del 1944, fu intensa: dal 22 febbraio, attraverso i servizi di informazione anglo-americani, Radio Londra e la stampa locale, provvide a diffondere l'appello agli studenti e la "lettera aperta" (pubblicata in Libera Stampa [Lugano], 24 febbr. 1944), replica all'iniziativa "pacificatrice" di Giovanni Gentile (Corriere della sera, 28 dic. 1943); dal 9 febbraio al 4 dicembre costituì il "capolinea" svizzero della formazione clandestina FRAMA (Franceschini-Marchesi) connessa al CLN veneto e al Partito d'azione (Pd'A). Dopo aver stabilito, sempre grazie alla FRAMA, rapporti con A. Dulles e J. MacCaffery, dei servizi di informazione alleati, recuperò il contatto con il PCI, cui comunicò le ipotesi di collaborazione militare che venivano dagli alleati; da aprile a novembre diresse una nuova via di aviorifornimenti per i partigiani combattenti nel Nord-Italia, mentre in settembre, nel breve periodo della Repubblica partigiana della Val d'Ossola, si era recato a Domodossola.
Rientrato a Roma il 10 dic. 1944, il M. proseguì l'attività politica all'interno del PCI. Il 23 genn. 1945, fu nominato capo dell'ufficio stampa del ministero dell'Italia occupata (ministro M. Scoccimarro) nel II governo Bonomi; in febbraio, membro dell'Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, poi del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nonché della Consulta nazionale. L'8 genn. 1946 entrò a far parte del nuovo comitato centrale del PCI; eletto in giugno alla Costituente, per la circoscrizione di Verona, vi pronunciò un memorabile discorso a sostegno della sua scelta personale di non votare, rompendo la disciplina di partito, l'articolo 7 della Costituzione, inglobante i Patti lateranensi nella nuova carta repubblicana. Nell'aprile 1948, fu eletto alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Venezia.
Nel corso della sua militanza comunista, la visione politica del M. rimase fondamentalmente quella dell'inevitabile scontro frontale con il blocco borghese, sul piano interno e sul piano internazionale. Lo si coglie, per esempio, mettendo a raffronto il diverso accento, suo e di P. Togliatti, di fronte alla morte di Stalin (marzo 1953): Togliatti esaltò, nel dirigente scomparso, il politico che vede e cerca la pacifica convivenza di realtà politiche ed economiche diverse e divergenti; il M. vide in Stalin il condottiero che ha fatto del socialismo una realtà temuta, una "potenza militare che incute rispetto". Di fatto, dopo l'originaria adesione al bordighismo, la lunga assenza dalla politica durata quasi vent'anni, dal 1924 al 1943, aveva tenuto il M. fuori dalla diretta conoscenza delle convulsioni interne al movimento comunista e all'URSS e gli aveva consentito di ricongiungere in modo "indolore" quella sua prima stagione alla stagione della vittoria sovietica, del grande prestigio mondiale dell'URSS, consentendogli di farsi un'idea di Stalin e dello stalinismo che nasceva da un'informazione molto soggettiva e, inoltre, dalla sovrapposizione alla realtà di un suo personalissimo schema interpretativo. In tal modo si era costituito quel singolare bordighian-stalinismo che fa del M. una figura unica, atipica e certo culturalmente interessante, nel panorama del comunismo italiano.
Contestualmente all'attività politica si avviava a conclusione la carriera accademica del M.: fuori ruolo dal 1° nov. 1948, collocato a riposo il 31 ott. 1953; dal marzo 1954 professore emerito dell'Università di Padova.
Nella sua attività di studioso e di scrittore, il M., oltre che in edizioni, commenti e saggi, si produsse anche in opere meno, o affatto, legate al lavoro accademico: è questo il M. umanista e raffinato prosatore, tendente più allo scetticismo che alle certezze, che i suoi avversari politici distinguevano dal militante. D'altra parte anche Togliatti, nel commemorare il M. alla Camera il 14 febbr. 1957, ebbe a definirlo "più un seminatore di dubbi che un ricercatore di verità" - parole dette dallo stesso M. su se medesimo -; e proseguiva, con osservazione pertinente, ponendo l'accento sulla impronta fondamentalmente "ellenistica" della cultura classica del Marchesi. Il giudizio di Togliatti riguardava l'orientamento di pensiero del M., nel senso che il problema morale aveva dominato la sua riflessione filosofica come nel pensiero antico del periodo ellenistico, ma la considerazione può avere un valore più ampio. Gran parte della prosa d'arte del M. - in cui si smorza il vigore polemico, si fa avanti il dubbio sorridente o melanconico, mai scettico, e si incontra un M. disteso, lontano dalla lotta, a riparo, per adoperare una sua espressione, dall'"onda politica" - reca l'impronta dei suoi modelli classici.
Il M. morì a Roma il 12 febbr. 1957.
Della vasta produzione del M. (per la quale si rimanda alla Bibliografia marchesiana, a cura di M. Steri, Cardano al Campo 2006, oltre alle opere citate, si ricordano in particolare: tra i lavori non propriamente accademici, Il libro di Tersite, Roma 1920; Il letto di Procuste, Messina 1928; Pagine all'ombra, Padova 1946; Divagazioni, Venezia 1951; Il cane di terracotta, Bologna 1954; Scritti politici, a cura di M. Todaro-Faranda, Roma 1958 (poi con il titolo Umanesimo e comunismo, ibid. 1974); I discorsi, Verona 1987 (raccoglie i discorsi parlamentari con l'eccezione di quelli tenuti alla Costituente); Altri scritti, Cardano al Campo 2006. Tra gli studi: La vita e le opere di C. Elvio Cinna, Catania 1898; L'Etica Nicomachea nella tradizione latina medievale: documenti e appunti, Messina 1904; Un nuovo codice del "De Officiis" di Cicerone (cod. di Troyes 552), in Memorie dell'Ist. lombardo di scienze, lettere e arti, XXII (1910-13), pp. 187-212; Fedro e la favola latina, Firenze 1923; Il pessimismo di un apologista cristiano (Arnobio), in Pegaso, II (1930), pp. 536-550; Voci di antichi, Roma 1946; Scritti minori di letteratura e di filologia, a cura dell'Istituto di filologia latina dell'Università di Padova, I-III, Firenze 1978. Infine, tra le edizioni, traduzioni e commenti: Cicerone, Orator, Messina 1904; Seneca, Il Tieste, Catania 1908; Apuleio, De magia, Città di Castello 1914 (sia in edizione critica sia semplice testo e note); Prudenzio, Le corone, Roma 1917; Ovidio, Artis amatoriae libri III (ed. critica), Torino 1918; Marziale, Epigrammi (traduzione), Roma 1920; Favole esopiche (traduzione), ibid. 1930; Arnobio, Adversus Nationes (ed. critica), Torino 1934; Sallustio, Bellum Catilinae, Messina-Milano 1939; Virgilio, Catalepton, Dirae, Lydia, Copa, Ciris, Padova 1940; Svetonio, Vite dei Cesari (volgarizzate da Rigutini), Firenze 1946; Lucrezio, Il poema della natura (commento), Milano 1950; Apuleio, Della magia (traduzione e note), Bologna 1955.
Fonti e Bibl.: G. Campagna, C. M., Sapri 1963 (con un'appendice di pagine politiche e di varia umanità presentate da E. Franceschini); E. Franceschini, C. M.: linee per l'interpretazione di un uomo inquieto, Padova 1978; A. La Penna, C. M.: la critica letteraria come scoperta dell'uomo (con un saggio su T. Fiore), Firenze 1980; L. Canfora, Il M. di La Penna, in Riv. di filologia e di istruzione classica, CIX (1981), 1, pp. 251 s.; Id. La sentenza: C. M. e G. Gentile, Palermo 1985 (nuova ed. con nuovi documenti, ibid. 2005); C. M. e l'Università di Padova 1943-2003. A sessant'anni dall'appello agli studenti di C. M. Atti del Convegno … 2003, a cura di G. Zaccaria, Padova 2004.