provenzale, comunità
Parlato in una vasta porzione delle valli del Piemonte occidentale (nelle province di Cuneo e Torino, dalla Val Vermenagna, a sud, all’Alta Valle di Susa, a nord; fig. 1) e a Guardia Piemontese (Cosenza), il provenzale appartiene, insieme con il francese (➔ francese, comunità) e il francoprovenzale (➔ francoprovenzale, comunità), al dominio linguistico gallo-romanzo (➔ minoranze linguistiche).
L’area in cui il provenzale è lingua di minoranza riconosciuta (in seguito all’approvazione della legge 482 del 15 dicembre 1999) è tuttavia considerevolmente più ampia di quella sopra indicata, arrivando a lambire le valli più meridionali delle Alpi Marittime (Valle Pesio, Valle Ellero, Valli Maudagna e Corsaglia, Alta Valle Tanaro), le località di Olivetta S. Michele e Triora (limitatamente alle frazioni di Realdo e Verdeggia) in provincia di Imperia, e alcuni centri allo sbocco delle vallate (come, per es., Borgo San Dalmazzo, Boves, Caraglio, Dronero, Porte e San Secondo di Pinerolo). Tale forte discrepanza è un effetto del principio di autocertificazione previsto dalla legge 482/99, che ha consentito di deliberare l’adesione alla minoranza provenzale (occitana, in base al testo della legge: cfr. § 2) anche a comuni dove, tradizionalmente, non si parlano varietà provenzali. Mentre i dialetti dei centri allo sbocco delle valli saranno da ascrivere al gallo-italico pedemontano (pur nella consapevolezza che, un tempo, i confini del provenzale potessero includere anche qualche località della pianura adiacente), assai dubbio e dibattuto resta il carattere provenzale della varietà di Chiusa Pesio e delle parlate del cosiddetto kyé (Fontane di Frabosa Soprana, Miroglio di Frabosa Sottana e alcune borgate di Roccaforte Mondovì). Per quanto attiene ai dialetti di Briga Alta e della frazione Viozene di Ormea (Alta Valle Tanaro), di Olivetta S. Michele e delle frazioni Realdo e Verdeggia di Triora, è stata dimostrata in modo inoppugnabile la loro appartenenza al ligure alpino (Toso 2008: 127-128).
Data questa situazione, in cui il numero dei comuni (109) che si sono autodichiarati di lingua provenzale sopravanza di molto il numero dei comuni sicuramente provenzalofoni (74), le stime della consistenza demografica della minoranza sono molto variabili, anche per la confusione che viene spesso operata tra popolazione residente e popolazione in grado di esprimersi nella lingua di minoranza. Le circa 100.000 unità (nel 1990) proposte da Ethnologue possono salire fino a 200.000 (Telmon 1994: 927, che denuncia l’estrema generosità della cifra) oppure scendere a 40.000 (Toso 2006: 132); anche la stima più cauta sembra però essere improntata a un eccessivo ottimismo, arrivando a superare la metà degli attuali abitanti dell’area (circa 70.000 residenti). Poco incide sul totale dei provenzalofoni il numero dei parlanti attivi del guardiolo (com’è chiamata la varietà di Guardia Piemontese), che è stato di recente calcolato in circa 340 unità (su un migliaio di abitanti complessivi) (Toso 2008: 141).
Il dibattito sull’estensione dell’area, che, sulla spinta della legge 482/99 (➔ legislazione linguistica), ha spesso finito per inglobare territori che le erano linguisticamente estranei, si specchia nell’uso alternato, talora a contrasto, dei termini provenzale e occitano.
Dopo essere stata utilizzata da generazioni di studiosi di filologia romanza per designare tanto la lingua della lirica medioevale, indipendentemente dalla regione di provenienza dei trovatori, quanto le moderne parlate dell’intera Francia meridionale (dalla Guascogna, a ovest, alla Provenza, a est), l’etichetta provenzale viene oggi riservata di preferenza per alludere alle varietà linguistiche della regione Provenza. Poiché quest’ultima comprende, fra gli altri, i tre dipartimenti francesi delle Alpi marittime, delle Alpi dell’Alta Provenza e delle Alte Alpi, confinanti con il Piemonte, il termine provenzale con cui sono designate le lingue locali di tali dipartimenti viene spesso usato per comprendere anche le lingue locali del corrispondente versante orientale della catena alpina. Mentre, fino a pochi decenni fa, il nome attribuito all’insieme delle parlate dei tre dipartimenti francesi citati e delle province di Torino e Cuneo è stato quello di provenzale alpino o di nord-provenzale, varietà di un più generale vìvaro-alpino, negli ultimi lustri è andato via via affermandosi il termine occitano. L’uso di quest’ultimo sottintende una visione unitaria della lingua, che, lungi dal trovare conferma nella frammentazione dialettale dell’area, si accompagna spesso al vagheggiamento di una Occitania dai due lati del confine; la creazione di una koinè, in base a un articolato progetto di language planning, costituisce del resto l’obiettivo principale del movimento occitanista (Sumien 2006). C’è poi alla base del successo crescente, almeno in area cisalpina, dell’etichetta occitano una ragione utilitaristica: poiché il testo della legge 482/99 fa espresso riferimento alla tutela della lingua occitana, è parso a molti conveniente adeguarsi alla scelta terminologica del legislatore.
A prescindere dalle giustificazioni dell’una o dell’altra scelta, la questione è solo in apparenza nominalistica e va letta all’interno di una marcata contrapposizione ideologica, specialmente in territorio transalpino, tra provenzalisti e occitanisti (cfr., per es., Blanchet & Schiffman 2004). La designazione di provenzale cisalpino sembrerebbe garantire, meglio di altre, la corrispondenza biunivoca tra etichetta e realtà linguistica al di qua delle Alpi.
La minoranza linguistica provenzale è una minoranza storica, e quindi autoctona, delle valli del Piemonte. Se, per un verso, il mantenimento della parlata, dal medioevo a oggi, è stato reso possibile anche dal contatto costante con la Provenza, dove i valligiani si recavano per svolgere lavori stagionali, per l’altro, la frammentazione dialettale, associata alla mancanza di unità amministrativa (e in taluni casi religiosa), ha ostacolato fino ad anni recenti la maturazione di una coscienza etnico-linguistica (per una visione d’assieme, cfr. ora Pla-Lang 2008: 73-98). Un passo importante venne compiuto, all’inizio degli anni Sessanta del XX secolo, con la nascita dell’associazione Escolo dóu Po («Scuola del Po»); tra i risultati più notevoli ottenuti dalla Scuola segnaliamo la codificazione dell’ortografia omonima, che riprende, nella sostanza, la convenzione scrittoria di Frédéric Mistral (detta appunto grafia mistraliana). Da un forte legame culturale con Mistral e il movimento del Felibrismo fondato in Provenza a metà Ottocento, anche nel senso di un profondo tradizionalismo cristiano-cattolico, prese vita negli stessi anni Sessanta il Coumboscuro-Centre prouvençal (Sancto Lucìo de Coumboscuro è una frazione di Monterosso Grana), che ha un punto di riferimento nella figura del fondatore Sergio Arneodo.
Qualche anno dopo cominciò a operare nelle valli cisalpine il Movimento Autonomista Occitano (MAO) di François Fontan, esiliatosi in Piemonte dalla vicina Francia. Di ispirazione socialista ma non privo di venature nazionalistiche, il MAO indusse a spostare il discorso sulla minoranza provenzale (occitana) da un piano eminentemente culturale (tipico delle iniziative di Coumboscuro) a un piano insieme culturale e politico, con l’elaborazione di proposte a livello amministrativo ed economico.
Esaurita la fase autonomistico-rivendicativa innescata dal Movimento di Fontan, si sono radicate sul territorio alcune associazioni (Chambra d’Oc, 1988, ed Espaci Occitan, 1999), che, pur dotate di obiettivi statutari diversi, si stanno molto impegnando nella promozione congiunta della grafia normalizzata (altresì nota come classica o alibertina, dal nome dell’ideatore Louis Alibert) e di un occitano unitario (o almeno di uno standard cisalpino, codificato a partire dalle varietà centrali), anche grazie all’appoggio delle istituzioni.
La presenza del provenzale in Calabria, importato tra i secoli XIII e XIV da coloni valdesi di area alpina (forse piemontese), conobbe in origine una discreta estensione, arrivando a coinvolgere 16 località (Cornagliotti 1996: 1344). L’attività di evangelizzazione dei valdesi, giunti nel Meridione per sfuggire alle persecuzioni cui erano soggetti in patria ma anche per ripopolare, su invito dei feudatari locali, zone depresse o abbandonate, trasse nuova forza dall’adesione alla Riforma protestante (1532). Tale intenso proselitismo indusse tuttavia la Chiesa di Roma a bandire, in piena temperie controriformistica, una nuova crociata, che iniziò con l’imprigionamento e la condanna dei pastori e dei notabili e si concluse, nel 1561, con il massacro di duemila valdesi e con l’abiura forzata dei superstiti (Telmon 1992: 23). Il dialetto provenzale sopravvive oggi nel solo centro di Guardia Piemontese.
La notevole frammentazione attuale dell’area occitanica è ravvisabile non solo tra sottodomini dialettali (alverniate, guascone, linguadociano, ecc.), ma anche all’interno di uno stesso sottodominio. Il provenzale cisalpino può essere ripartito, soprattutto in base alle caratteristiche morfologiche, in:
(a) settentrionale (Alta Val Susa, Val Chisone, le cosiddette Valli Valdesi);
(b) centrale (Val Po, Val Varaita, Val Maira, Val Grana, Valle Stura);
(c) meridionale (Val Gesso, Val Vermenagna).
Vi sono tuttavia tratti fonetici e morfologici che giustificano l’esistenza dell’etichetta sovraordinata di provenzale (cisalpino) (Tagliavini 19695: 420 segg.; Bec 19865: 40 segg.; Cornagliotti 1996: 1347).
Fra i tratti fonetici che caratterizzano il provenzale nel suo complesso vanno ricordati:
(a) la mancata dittongazione di ĕ tonica latina, eccetto nei casi in cui la sillaba postonica termina in -i: pĕde(m) > [pɛ] «piede», ma hĕri > [jɛr] «ieri»;
(b) la conservazione della a tonica latina (come in piemontese e a differenza del francese): pane(m) > [paŋ] «pane» (piem. [paŋ], fr. [pɛ̃]), pratu(m) > [pra] «prato» (piem. [pra], fr. [pre]);
(c) la conservazione del dittongo latino au: raucu(m) > [rawʧ] «rauco», lat. tardo repausare > [erpawˈzar] «riposo»;(d) il passaggio di -a atona finale a -o, presente pressoché in tutta l’area occitana, escluso il guascone: femina(m) > [ˈfenːo] «donna», terra(m) > [ˈtero] «terra».
Distingue il provenzale cisalpino da quello della Provenza, avvicinandolo al limosino e all’alverniate la palatalizzazione di ca- e ga-: cane(m) > [ʧaŋ], [ʦaŋ] «cane» (provenz. [kaŋ]), cattu(m) > [ʧat], [ʦat] «gatto» (provenz. [gat]).
Sono tipici del provenzale cisalpino:
(a) la dittongazione di ŏ latina, in sillaba aperta e chiusa: fŏcu(m) > [fwek], pŏrcu(m) > [pwerk];
(b) la palatalizzazione, in area centro-meridionale, dei gruppi consonantici pl, bl, fl, cl, gl (forse per influsso del piemontese): flŏre(m) > [fjur] «fiore», clave(m) > [kjaw] «chiave»; i nessi in questione vengono invece mantenuti nel cisalpino del Nord, che si comporta in ciò come il provenzale: flŏre(m) > [flɔr] «fiore», clave(m) > [klaw] «chiave»;
(c) il raddoppiamento delle consonanti intervocaliche: [ˈdigːo] (prestito adattato dell’ital. diga), rapa(m) > [ˈrabːo] «rapa» (con lenizione dell’occlusiva bilabiale sorda, peraltro comune all’intera area provenzale).
Sul versante morfologico, andranno almeno menzionati per il provenzale in senso lato:
(a) la tendenziale presenza del plurale sigmatico (da leggersi, in chiave fonetica, come conservazione di -s latina): aquas > [ˈajges] «acque», sing. [ˈajgo] < aqua(m); patres > [ˈpajres] «padri», sing. [ˈpajre] < patre(m); nelle varietà settentrionali del provenzale cisalpino, la caduta di -s nell’articolo femminile plurale ha prodotto, in modo sistematico, l’allungamento della vocale: illas > [laː] «le»;
(b) lo sviluppo, nel tardo latino, di un suffisso -iculu(m) (tratto condiviso dal francese e dal francoprovenzale): apicula(m) > [aˈbeʎo] «ape», soliculu(m) > [soˈlɛʎ] «sole».
Il guardiolo, da parte sua, ha conservato bene le peculiarità di dialetto gallo-romanzo, mascherate da un’intonazione quasi perfettamente calabrese (Telmon 1994: 942). Tra gli esempi d’influsso dei dialetti italo-romanzi contigui, evidenti soprattutto in ambito fonetico, si può ricordare la presenza della vocale indistinta finale (rete(m) > [ˈritə] «rete»), la dittongazione di ĕ (pĕctu(s) > [pjet] «petto») e la retroflessione di -ll- e -tl- (caballu(m) > [kaˈvaɖːə] «cavallo») (Cornagliotti 1996: 1347). Nella morfologia, un relitto del provenzale antico è ravvisabile nel preterito perifrastico «andare» + infinito ([vaw aˈver] «ebbi»), che, nel medioevo, era molto diffuso in territorio transalpino (Genre 2002: 297).
Per le valli provenzali cisalpine Telmon (1994: 927-928) ha proposto un repertorio diglottico (➔ bilinguismo e diglossia) con l’italiano nel polo alto e il patois locale e il piemontese (di tipo torinese per le Valli di Susa e Chisone, di varietà alto-piemontese per le valli in provincia di Cuneo) nel polo basso.
La situazione delle Valli Valdesi (Bassa Val Chisone, Val Germanasca, Val Pellice) è invece rappresentabile mediante uno schema a tre gradini: l’italiano nel polo alto, il patois provenzale e il francese (lingua confessionale fino all’avvento del fascismo) al livello intermedio, il piemontese (torinese) nel polo basso. Non si tratterà comunque di una condizione di diglossia o di triglossia in senso stretto, ma piuttosto di dilalia, poiché, in un caso come nell’altro, l’uso dell’italiano nella conversazione ordinaria è del tutto comune; allo stesso modo, i rapporti tra provenzale e piemontese saranno improntati, nelle Valli Valdesi, a una certa commistione di impieghi.
Quanto a Guardia Piemontese, Telmon (1992: 25) ipotizza una gerarchia costituita dall’italiano (regionale) nel polo alto, dal calabrese al livello intermedio, dal provenzale nel polo basso.
Rispetto ai parametri dell’UNESCO (da 0, indicante lingua estinta, a 5, indicante lingua pienamente vitale), potrebbero essere proposti per il provenzale cisalpino i seguenti valori:
(a) trasmissione intergenerazionale: 2;
(b) numero assoluto di parlanti: < 40.000 (il parametro non è diversamente quantificabile);
(c) proporzione di parlanti sulla popolazione totale della comunità: 2,5;
(d) perdita di domini di impiego: 3;
(e) risposta a nuovi domini e ai media: 1;
(f) materiali per l’alfabetizzazione e l’educazione linguistica: 2,5;
(g) atteggiamenti e politiche linguistiche del governo e delle istituzioni: 3,5;
(h) atteggiamenti dei membri della comunità linguistica: 2;
(i) ammontare e qualità della documentazione sulla lingua: 3.
Se ne ricava, per i fattori quantificabili (tutti tranne il secondo), un indice medio di 2,43, molto vicino al punteggio di 2,5 calcolato per il guascone (dialetto occitano occidentale) secondo gli stessi parametri da Lewis (2005).
Il provenzale cisalpino è una lingua che si trova a metà del guado, non pienamente vitale ma nemmeno prossima all’estinzione. La legge 482/99, pur con tutti i difetti intrinseci e le discutibili applicazioni che ne sono state compiute, ha permesso l’avvio di una serie di iniziative volte alla promozione della lingua di minoranza, che se, da un lato, hanno incentivato gli impieghi burocratico-istituzionali, e quindi scritti, della varietà locale di occitano, dall’altro hanno inciso poco sul tessuto sociale e sulle modalità di trasmissione intergenerazionale (il provenzale non è più imparato, salvo che in pochi casi, come lingua materna dai bambini). L’insegnamento scolastico della lingua oggetto di tutela, previsto dall’articolo 4 della legge, non è stato quasi mai praticato in area cisalpina, anche a causa della carenza di insegnanti dotati delle competenze linguistiche necessarie. Si avverte una sorta di scollamento tra le garanzie offerte dalla legge e la loro ricaduta nella vita quotidiana; per questa ragione, soltanto una parte della popolazione è attiva nel sostenere il provenzale, che risulta così al centro di interventi più dall’alto (istituzioni, associazionismo) che non dal basso (comunità parlante), come del resto testimonia la forte insistenza sulla necessità di fissare il patois in forma scritta.
Nella valutazione della vitalità del provenzale cisalpino occorre non trascurare la concorrenza che esso subisce, nel gradino basso del repertorio, da parte del piemontese. Da un’indagine condotta nel 2005 (Allasino et al. 2007), il provenzale risulta la prima lingua locale conosciuta per il 39,4% degli informatori di area occitana, di contro al 53,9% di coloro che attribuiscono tale qualifica al piemontese (aggregando i dati relativi alla prima e alla seconda lingua locale conosciuta, le percentuali salgono a 49,4 per il provenzale, a 65,1 per il piemontese); va comunque precisato che l’area considerata nell’indagine è più ampia di quella in cui il provenzale è effettivamente in uso.
Sebbene manchino dei riscontri quantitativi, anche il provenzale di Guardia Piemontese sta perdendo sempre più terreno nei confronti del calabrese e dell’italiano e risulta ormai relegato al solo dominio familiare (Telmon 1994: 942).
La letteratura in provenzale ha avuto, sul versante italiano, esiti piuttosto modesti; a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, con il rinnovato interesse verso la cultura provenzale, si sono comunque imposti due esempi maturi della lirica locale, Antonio Bodrero (1921-1999), noto come Barba Toni e anche autore di poesie in piemontese, e il già citato Sergio Arneodo (1927).
L’attività lessicografica legata al provenzale alpino, perlomeno quella che ha fatto seguito ai finanziamenti della legge 482/99, manifesta spesso una caratura scientifica non eccelsa, limitandosi a offrire all’utente una lista di parole dialettali con il loro corrispondente italiano (e viceversa). Le prove migliori restano quelle ante 1999, come i dizionari di Bernard (1996) e di Pons & Genre (1997); una segnalazione merita, tra i lavori più recenti, il DOC, che rappresenta il primo tentativo di codificazione di uno standard alpino orientale, per il quale si delinea anche una morfologia di riferimento (pp. 36-68).
Al di là delle descrizioni morfologiche appena menzionate (e di alcuni lavori recenti sulle varietà settentrionali), è assai carente, in area cisalpina, la produzione di grammatiche: l’unica opera di rilievo è Zörner (2008).
Il provenzale delle valli del Piemonte è stato oggetto di numerose inchieste geolinguistiche (ALF, AIS, ALI; ➔ atlanti linguistici); un atlante espressamente rivolto all’indagine e documentazione delle parlate alpine (provenzali e francoprovenzali) è l’ALEPO.
ALEPO (2003-) = Canobbio, Sabina & Telmon, Tullio (a cura di), Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte occidentale. ALEPO, Pavone Canavese, Priuli & Verlucca.
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