ANGLICANA, COMUNIONE
. Con questo nome, o con quelli di "chiesa anglicana" o "chiesa d'Inghilterra" (church of England) si designa, in senso stretto, il complesso delle due provincie ecclesiastiche di Canterbury e York. Ma la denominazione è stata estesa comunemente, in tempi moderni, a varî rampolli nei Dominions britannici d'oltre mare, negli Stati Uniti d'America e a missioni in varie parti del mondo, che comprendono 12 arcivescovi o metropolitani e 125 vescovi, di cui alcuni, operanti al di fuori di provincie organizzate, sono alla diretta dipendenza dell'arcivescovo di Canterbury. Tutti questi, insieme con oltre cento vescovi in Iscozia, in Irlanda, nel paese di Galles e negli Stati Uniti d'America, riconoscono una supremazia d'onore nell'arcivescovo di Canterbury, sotto la presidenza del quale usano riunirsi in conferenza ogni dieci anni. All'ultima conferenza, tenuta nel 1920, parteciparono oltre 200 prelati.
L'espressione "chiesa d'Inghilterra", nella forma latina Ecclesia Anglicana, compare per la prima volta nella storia nella cronaca di Matteo Paris, sub anno 1214, nella quale epoca la recente separazione delle diocesi scozzesi dalla provincia di York l'aveva resa opportuna; l'anno seguente essa figura nella Magna Charta. Ma è da notarsi che l'espressione allora serviva solo ad indicare il clero, considerato come unità politica, o, nel linguaggio di epoca posteriore, uno "stato del regno" (Estate of the Realm); né è ben noto quando abbia acquistato un significato più religioso, quello cioè che le attribuiremo nel presente articolo. Delle lotte, che anche l'Inghilterra medievale conobbe, tra lo stato e la chiesa; delle concessioni reciproche e dei tentativi di riforma religiosa o ecclesiastica che maturarono nei secoli XIV e XV come espressione del crescente sentimento di nazionalità e della sempre più viva coscienza che lo stato veniva acquistando dei suoi diritti; e anche del modo e delle cause per cui si attuò, sotto Enrico VIII, la separazione religiosa dell'Inghilterra da Roma, si tratta a suo luogo (v. inghilterra: Storia). Basterà ora ricordare brevemente come le relazioni con la S. Sede fossero rotte di proposito, la prima volta, nel 1533, quando Enrico VIII fece emanare una legge che vietava i ricorsi alla corte di Roma: lo scopo era di ottenere l'annullamento del suo matrimonio con Caterina d'Aragona, a mezzo del compiacente arcivescovo Thomas Cranmer. Le gerarchie provinciali acconsentirono ad unanimità, se pure non volentieri. Cranmer era senza dubbio propenso alla riforma, allora in pieno sviluppo in Gemania: ma Enrico lo era tanto poco che non solo un progetto di alleanza politica coi principi protestanti tedeschi non ebbe seguito, ma il luteranesimo stesso venne perseguitato durante tutto il suo regno. E così, se nel 1536 i primi dieci articoli di fede erano compilati sul modello delle confessioni luterane, benché non ancora in recisa opposizione alla dottrina cattolica; se un anno più tardi, il cosiddetto libro dei vescovi (Bishop's Book o Institution of a Christian Man) inchinava al luteranesimo, respingendo la fede nel Purgatorio e facendo dipendere la salvezza cristiana unicamente dai meriti di Cristo: poco dopo i sei articoli e il King's Book (Necessary Doctrine and Erudition of a Christian Man, del 1543), segnavano invece un nuovo orientamento in senso cattolico. Notevoli progressi fece invece il protestantesimo durante il regno breve e agitato di suo figlio, il fanciullo Edoardo VI (1546-1553) Si permise il matrimonio degli ecclesiastici, si prescrisse la comunione dei laici sotto le due specie, come aveva fatto Lutero, e fu introdotta una liturgia in volgare. Ma venuta al trono Maria, figlia di Caterina d'Aragona, essa tentò subito una riconciliazione con Roma, che fu effettuata nel 1554. . Sette vescovi nominati durante lo scisma furono espulsi dalle loro diocesi; quattro di essi, compreso il Cranmer, messi a morte sotto accusa di eresia. Seguì una severa persecuzione dei protestanti; il loro numero non era grande, ma la condanna al rogo di persone di condizione umile allontanò grandemente la simpatia popolare dal cattolicesimo. Maria morì nel 1558, e le successe la sorella Elisabetta, la quale sollecitamente ripristinò la legislazione ecclesiastica di suo padre e parte di quella del fratello, astenendosi però dall'assumere il titolo di Capo supremo della chiesa, da essi adottato (chiamandosi, anziché Head "capo", Supreme Governor). La sua azione fu resa più facile dalla morte del cardinale Pole, arcivescovo di Canterbury, e di parecchi vescovi. Altri prelati furono arbitrariamente espulsi, e due soli furono lasciati nelle loro sedi; la gerarchia fu ricostituita con l'aiuto di vescovi sopravvissuti dall'epoca di Enrico VIII. La grande autorità della corona apparve nell'accondiscendenza con la quale l'intiero paese accolse tre procedimenti rivoluzionarî che non vi è alcuna ragione di credere fossero popolari. Le nuove sistemazioni, comunemente dette Ordinanze elisabettiane (Elizabethan Settlements), si ritenevano probabilmente altrettanto temporanee ed effimere quanto quelle di Edoardo VI. Sotto alcuni riguardi erano conservatrici, mentre sotto altri erano addirittura sovversive. La gerarchia mantenne i suoi poteri inalterati; i tribunali ecclesiastici continuarono a funzionare non solo nelle cause puramente spirituali, ma anche in quelle relative a materia matrimoniale e testamentaria, le quali ultime, deferite a detti tribunali in base ad una speciale costumanza dell'Inghilterra, erano tuttavia sottoposte a uno stretto controllo mediante appello alla corona. La liturgia inglese del 1552 fu ristabilita con qualche modifica, e i riformatori furono accontentati con l'adozione dei trentanove "articoli di religione" (1571) alquanto meno aggressivi di un'altra raccolta della stessa data. Il risultato fu una notevole combinazione di principî, che permise al Pitt, il celebre uomo politico inglese del sec. XVIII, di dire con caratteristica esagerazione che la chiesa anglicana aveva "una fede calvinista, una liturgia papista e un governo erastiano".
La sistemazione elisabettiana risultò più duratura di quanto non si fosse aspettato, e sopravvisse attraverso molte tempeste. Molti recusants rifiutarono di conformarvisi. sperando nell'avvento della cattolica Maria Stuarda, regina di Scozia, che era indubbiamente la prossima erede alla corona. Nel 1569 essi tentarono una insurrezione, abortita, nel settentrione; e dopo che Pio V ebbe scomunicato Elisabetta (1570) divennero permanentemente ribelli, almeno allo stato latente. Nello stesso momento, cominciò il movimento comunemente detto Puritanesimo, simpatizzante con la riforma germanica. I puritani attaccarono la gerarchia, la liturgia e i tribunali ecclesiastici. Ambedue i gruppi di oppositori furono ferocemente perseguitati; ma mentre i recusants furono ridotti all'impotenza, i puritani acquistarono sempre maggiore potere politico. Rispose loro polemizzando Richard Hooker, la cui opera The Laws of Ecclesiastical Polity rimane il testo classico della chiesa anglicana. V'era però in Hooker un punto debole: egli cioè difendeva intransigentemente ogni aspetto di quella che era di per sé una transazione.
Col progredire del sec. XVII la gerarchia anglicana, diretta da William Laud, arcivescovo di Canterbury, e appoggiata dal re Carlo I tendeva verso il cattolicesimo; tendenza sostenuta da Henry Hammond e Herbert Thorndike, molto meno geniale, ma di una mentalità più teologica di Hoker. L'opposizione dei puritani divenne più fiera, e rese più aspro il conflitto fra il re e il parlamento. Carlo e Laud condivisero la stessa sorte sul patibolo. La repubblica allora istituita e il despotismo militare di Cromwell, che ben presto la dominò, erano egualmente puritani. Sotto questo regime tutti i vescovi e gran parte del clero furono espulsi dai loro benefizî, e l'uso della liturgia, anche in privato, fu vietato sotto sanzione di gravi pene. Dopo la morte di Cromwell un subitaneo mutamento di fortuna portò alla restaurazione della monarchia, nel 1660; con essa ritornarono i vescovi e preti ancora viventi, mentre la legislazione emanata durante l'interregno fu considerata come nulla. Ma vani furono i tentativi per addivenire a un compromesso coi puritani, la maggior parte dei quali si ritirò da qualsiasi partecipazione alla chiesa, e si organizzò in congregazioni dissenzienti, che divennero una delle caratteristiche spiccate della vita sociale inglese. Da questa epoca in poi molta parte della teologia calvinista mantenne piede entro la chiesa, dando luogo in essa a un partito definitivamente evangelico; ma il calvinismo organizzato esisteva solo fra i dissenzienti (detti anche non-conformisti). Dopo il 1717 fu impedito ai sinodi della chiesa, che in base alla sistemazione elisabettiana non potevano riunirsi senza il consenso della corona, di funzionare e non fu più possibile legiferare per la chiesa se non per mezzo del parlamento. Durante tutto il secolo XVIII, la chiesa inglese rimase pertanto in una posizione di stretta subordinazione allo stato; non mancarono tuttavia i tentativi di riscossa, particola mente nella cosiddetta "Controversia bangoriana" (v.). La predicazione di William Law prima, quindi quella di John Wesley condussero, dopo la morte di quest'ultimo (1791), alla formazione del metodismo: ma molti dei seguaci di lui restarono nella chiesa anglicana, conservando la loro teologia di tipo calvinistico, alimentando il cosiddetto partito evangelico o della chiesa bassa (Low Church).
Gli ultimi anni del sec. XVIII e il secolo successivo videro importanti novità. In primo luogo, si ebbe l'estensione, di carattere non missionario, della chiesa anglicana fuori dei confini dello stato. Prima della rivoluzione, l'America non aveva vescovi, e il clero anglicano ivi residente dipendeva dal vescovo di Londra; ma subito dopo il riconoscimento dell'indipendenza degli Stati Uniti, si pensò a riorganizzarvi la chiesa. L'arcivescovo Moore, di Canterbury, rifiutò dapprima di consacrare vescovo S. Seabury eletto dai fedeli del Connecticut; ma questi ottenne nel 1784 la sua consacrazione dai vescovi scozzesi; e nel 1786 si approvava una legge che permetteva di consacrare vescovi per l'estero. Essa fu applicata già nel 1787 per W. White, della Pennsylvania, e S. Prevoost, di New York. Si aveva così la fondazione della chiesa protestante episcopale degli Stati Uniti, in comunione con l'anglicana, benché con organizzazione diversa, improntata a principî democratici, che assicurano al laicato una parte maggiore nel governo della chiesa, e in armonia con il principio dell'assoluta separazione delle chiese dallo stato, che ispira la costituzione degli Stati Uniti d'America.
La difficoltà che si opponeva a queste consacrazioni era data dal fatto che la chiesa anglicana, rivendicando solennemente per sé la successione apostolica, non voleva né poteva mettere in dubbio la validità degli ordini di altre chiese, che la medesima successione rivendicavano ugualmente. Perciò non furono poche le proteste quando il Plunket, arcivescovo di Dublino, consacrò un vescovo per la Spagna. D'altra parte, l'estensione dei possedimenti britannici nel mondo rendeva urgente il provvedere alla costituzione della chiesa in tutti i dominî della corona; e nuove sedi episcopali furono create in America (Nuova Scozia, 1787; Quebec, 1793; Giamaica e Barbados, 1824; Toronto e Terranova, 1839), in India, in Australia. Dopo la costituzione, nel 1841, del Colonial Bishoprics Council, le sedi episcopali delle colonie, che nel 1840 erano ancora 10 in tutto, crebbero rapidamente; e si dovettero insieme organizzare le provincie ecclesiastiche, con i loro sinodi provinciali, riconoscendo ai metropolitani il titolo di arcivescovo. Intanto, cresceva la maturità politica delle colonie e veniva loro riconosciuta la particolare forma di autonomia caratteristica dei Dominions britannici. E con questo si poneva il problema dei rapporti tra lo stato e le chiese nazionali, che accolsero il principio della separazione (Indie occidentali, 1868). Tutto ciò gradatamente: ché fino al 1855 nessun vescovo fu consacrato fuori delle isole britanniche e fino al 1874 tutti i vescovi consacrati in Inghilterra furono obbligati a prestare il giuramento dei suffraganei. Ma, col crescere dell'autonomia, queste limitazioni vennero meno; e si ebbe anche, in riconoscimento delle condizioni politiche, il passaggio della chiesa di Honolulu dalla chiesa anglicana vera e propria alla chiesa protestante episcopale degli Stati Uniti.
Quello che accadeva nelle colonie provocava reazioni nella madrepatria, dove si rafforzava l'opposizione alla soverchia ingerenza dello stato nelle questioni ecclesiastiche, specie dopo che la giurisdizione suprema ecclesiastica fu trasferita (1833) dalla speciale Court of Delegates al consiglio intimo della corona (Privy Council). Questo fatto indusse molti anglicani a passare al cattolicesimo; ma alle conversioni contribuì anche più potentemente il cosiddetto "movimento di Oxford" o tractarian (dai Tracts for the times pubblicati dai suoi capi o aderenti) che riuniva uomini come il Keble, il Pusey, il Newman. Essi sostenevano che la chiesa d'Inghilterra era solo una parte della chiesa cattolica visibile, in continuità ininterrotta con la chiesa antica; avevano perciò, con l'ecclesiologia, anche una dottrina sacramentale di tipo schiettamente cattolico. Giungendo alle conseguenze ultime della sua teologia, il Newman si faceva cattolico (1845); mentre il Pusey restava nella chiesa anglicana a sostenervi i principî e a dirigervi il partito, che fu detto anglo-cattolico, o dell'alta chiesa (High Church).
Il governo dovette in parte cedere: le cosiddette Convocations, o sinodi, una per ciascuna delle due provincie ecclesiastiche di Canterbury e di York, che la corona convocava insieme col parlamento, ma la cui attività era sospesa, per la seconda dal 1717, e per la prima dal 1741, furono riconvocate nel 1852; ma in realtà avevano ben poco da fare. Iniziarono però una lotta contro il razionalismo e la critica biblica indipendente, di cui costituisce un episodio singolare la condanna del Colenso, vescovo del Natal, da parte del vescovo di Città del Capo. Questo episodio servì a provocare l'importante dichiarazione da parte del governo, che "là dove non esiste chiesa di stato, la chiesa anglicana è nelle stesse condizioni di tutte le altre associazioni religiose". E nello stesso tempo si cercò di combattere, con una serie di misure, i iritualisti" dell'alta chiesa, che avevano costituito la English Church Union e nell'uso di paramenti sacri, dell'incenso, di veri e proprî altari, tendevano ad avvicinare sempre più il rito anglicano al cattolico. Era una forma d'indisciplina, per togliere di mezzo la quale fu nominata una commissione reale, che, dopo due anni, nel 1906, propose tutta una serie di energici provvedimenti: si provvide anche ad una nuova organizzazione, resa definitiva dalla legge del 1919 che costituisce la Church Assembly, composta di una camera (House) dei vescovi, di una del clero, e di una del laicato (uomini e donne). Le misure proposte da questa, sottoposte naturalmente all'approvazione del Parlamento, avrebbero avuto vigore di legge; tuttavia, nonostante questa limitazione, la Church Assembly ha più il carattere di un parlamento che quello di un semplice corpo consultivo.
Frutto dei lavori della Royal Commission for Ecclesiastical Discipline e delle due Convocations fu anche la revisione del Book of Common Prayer. Il progetto, frutto di lunghe discussioni, conteneva alcune importanti novità, che costituivano altrettante concessioni fatte ai ritualisti: notevole fra le altre la cosiddetta Reservation, cioè la facoltà accordata al clero di conservare le sacre specie anche dopo il servizio della comunione (di questo si prepararono due tipi diversi, facoltativi), per gli ammalati che non avessero potuto assistervi. Per quanto, opponendosi già a tentativi di rendere meno rigida questa limitazione, i vescovi l'avessero mantenuta, precisamente questa misura (che si temeva potesse introdurre una concezione e una liturgia del SS. Sacramento troppo affini alla cattolica) provocò le ostilità del laicato; e il progetto, approvato da una scarsa maggioranza nella Camera dei Lord, veniva respinto da quella dei Comuni, il 15 dicembre 1927, dopo animatissima discussione, alla quale avevano preso parte i più eminenti uomini politici di ogni partito. Ciò non ha tuttavia disarmato i fautori di un riavvicinamento alla chiesa romana. I quali trovarono altresì qualche appoggio nel movimento per l'unione delle chiese, che è andato costantemente guadagnando terreno nella chiesa d'Inghilterra e, per opera di Roberto H. Gardiner, negli Stati Uniti. S'incominciò con le conferenze tenute nel Lambeth Palace (onde il nome di Lambeth Conference), sotto la presidenza dell'arcivescovo di Canterbury, dal 1867, e ogni dieci anni dal 1878, che radunarono dapprima i soli vescovi della comunione anglicana. Frutto di questo movimento tendente sempre più ad avvicinare, pur lasciando loro la propria autonomia, le varie chiese aderenti alla comunione anglicana, fu il Pan-Anglican Congress, tenuto a Londra tra il 12 e il 24 luglio 1908. Nel 1913-14, si decise che i membri di altre chiese protestanti, là dove non esistesse una chiesa della loro denominazione, potessero essere ammessi alla comunione anglicana; e il movimento acquistò nuova intensità dopo la guerra. Oggetto di cura particolare (oltre la partecipazione al movimento generale per l'unione delle chiese e alle due conferenze, di cristianesimo sociale, tenuta a Stoccolma nel 1925 e di dogma e disciplina, tenuta a Losanna nel 1927) furono i rapporti con la chiesa ortodossa e con la cattolica. Nei riguardi della prima, più che i tentativi d'intervento in favore del clero russo, sono da segnalare gli accordi con il patriarcato di Costantinopoli, che si fece rappresentare alla conferenza di Lambeth del 1920, e nel 1922-23, nonostante qualche difficoltà, giungeva a riconoscere la validità degli ordini anglicani, seguito in ciò dalle chiese autocefale di Cipro e di Gerusalemme; la stessa concessione veniva fatta dai Vecchi cattolici d'Olanda, nel 1925; mentre fin dal 1920 due vescovi anglicani avevano preso parte all'ordinazione di due vescovi svedesi.
Quanto alla Chiesa cattolica romana, le difficoltà erano, e sono, maggiori. Da una parte reagisce contro ogni tentativo di riavvicinamento il sentimento nazionale e anti-papale di molti anglicani; dall'altra si oppongono pregiudiziali insormontabili, perché fondate su concetti dommatici e sull'inalterabile costituzione della Chiesa romana stessa, che non potrebbe venire a transazioni senza tradire i proprî principî fondamentali. Così la controversia circa la validità delle ordinazioni anglicane, rimasta fino allora accademica, allorché la Santa Sede fu direttamente investita della questione, venne troncata, in senso negativo, e con l'animo di dare una sentenza definitiva, da Leone XIII (bolla Apostolicae curae, 15 settembre 1896), negando, tra l'altro, la validità dell'ordinazione del Parker, successore del Pole nell'arcivescovado di Canterbury; e, sebbene le conferenze non ufficiali tenute in varie riprese, dal 1921, a Malines, sotto la presidenza del cardinale Mercier, tra teologi delle due parti, incoraggiassero qualche speranza, il punto di vista della Santa Sede è stato ancora una volta solennemente ribadito da Pio XI nella recente enciclica Mortalium animos.
Circa i rapporti con lo stato, è ancora da segnalare come raccolga oggi maggiori consensi il movimento in favore della separazione della chiesa dallo stato (disestablishment), soprattutto dopo che questa è stata attuata nel Galles (1920) e nell'Irlanda, in seguito alla costituzione dello stato libero. In questi ultimi anni ha avuto luogo anche una riorganizzazione delle diocesi, e tra il 1913 e il 1919 venivano costituite le cinque nuove sedi di Chelmsford, St. Edmundsbury e Ipswich, Sheffield, Coventry e Bradford.
Tra i due "partiti" storici si è tuttavia venuto insinuando e acquista vigore in questi ultimi anni il movimento "modernista". Esso è guidato da uomini che hanno subito in gran parte l'influsso dei modernisti cattolici inglesi, specialmente il Tyrrell: mentre su alcuni punti, per ciò che riguarda le materie della controversia tra "alta" e "bassa chiesa" sono divisi, concordano nel chiedere una revisione delle definizioni dottrinali più in armonia con i risultati dell'investigazione scientifica e con le posizioni del pensiero moderno. Gli aderenti sono riuniti nella Modern Churchmen's Union, pubblicano una rivista (The Modern Churchman) e convocano ogni anno un congresso: tra essi si notano studiosi e pensatori di fama mondiale, quali l'Inge, decano di S. Paolo a Londra, lo Streeter di Oxford, il Bethune Baker di Cambridge, il Lake della Harvard University (Cambridge, Mass., Stati Uniti). Il movimento modernista è stato combattuto; gravì crisi si ebbero nel 1917, quando si tentò di persuadere l'arcivescovo di Canterbury a negare la consacrazione episcopale al dott. H. Henson, nominato dal Lloyd George alla sede di Hereford, e nel 1921, dopo la conferenza modernista di Cambridge. Non mancano gli oppositori in America, tra cui è da segnalare il Lawrence, vescovo del Massachusetts.
La comunione anglicana si proclama, in principio, una sezione della chiesa cattolica, fondata dal Cristo; rivendica per sé la successione apostolica e nella sua costituzione e nei suoi principî è essenzialmente episcopale, pur senza riconoscere un capo visibile, ché all'arcivescovo di Canterbury è riconosciuto un semplice primato di onore, ma non di giurisdizione. Essa ha dunque il carattere di una federazione di vescovi (o, meglio, di metropolitani): ma la chiesa anglicana in senso stretto, riconosciuta per legge come chiesa di stato ha come proprio reggitore visibile il re d'Inghilterra. Essa riconosce tre simboli, il niceno, l'atanasiano, e l'apostolico (v. credo) e due sacramenti istituiti da Cristo, il battesimo e la cena: i principî ai quali s'informa sono quelli ammessi nei Trentanove Articoli ricordati e nel Book of Common Prayer, nel quale da parte della chiesa protestante episcopale degli Stati Uniti sono state introdotte alcune modificazioni, più che altro formali.
Bibl.: Gli scritti dei principali teologi sono riuniti nella Library of Anglo-Catholic Theology, Oxford 1841-1867, voll. 88; inoltre: J. Collier, An Ecclesiastical History of Great Britain, Londra 1859, voll. 9; Burnet, History of the Reformation of the Church of England, ed. Pocock, Oxford 1865, con numerosi documenti agigunti dall'editore: H. Gee e W. J. Hardy, Documents of English Church History (fino al 1700), Londra 1890; R. W. Dixon, History of the Church of England from the Abolition of Roman Jurisdiction, Londra 1878-1892, voll. 5; S. L. Ollard e G. Crosse, A Dictionary of English Church History, Londra e Oxford 1912; J. Collier, An ecclesiastical History of Great Britain, 1908-14; W. H. Frere, History of the English Church, 1558-1625, Londra 1904; W. H. Hutton, History of the English Church, 1625-1714, Londra 1903; J. H. Overton e F. Relton, History of the English Church, 1714-1800, Londra 1906; W. A. Shaw, The English Church, 1640-1660, Londra 1900; C. J. Abbey, The English CHurch and its Bishops 1700-1800, Londra 1887; A. H. Hore, The Church of England from WIlliam III to Victoria, Oxford 1886; A. T. Wirginian, The Church and the Civil Power, Londra 1893; F. W. Maitland, Roman Canon Law in the Church of England, Londra 1898; H. W. Tucker, The English Church in Other Lands, Londra 1886; H. H. Henson, The relation of the Church of England to the other Reformed Churches, Edimburgo 1911; G. B. Balkine, History of the Evangelical Party in the Church of England, 1908; R. W. Church, The Oxford Movement, 1891; Thureau-Dangin, La renaissance catholique en Angleterre au XIXe siècle, I, Newman et le mouvement d'Oxford, Parigi 1899; P. Galichet, L'Église anglicane et l'État, Parigi 1909; H. Lowther Clarke, Constitutional Church Government, 1924; T. A. Lacey, The Anglo-Catholic Faith, 1927; P. Gardner, Modernism in the Church of England, 1927; Report of the Royal Commission on Ecclesiastical Discipline, Londra 1906; Report of the Lambeth Conference, Londra 1920; The Anglican Communion, Past, Present and Future (Report of the Church Congress at Cheltenham, 1928), Londra 1929; Official Year-Book of the Church of England.