COMUNICAZIONI DI MASSA
. Traduzione approssimativa dell'espressione inglese mass-media; la locuzione designa ormai l'insieme dei mezzi per far sapere, divulgare, diffondere messaggi significativi, carichi di significazioni, a un pubblico anonimo, indifferenziato e disperso. Essa addita altresì le istituzioni e le tecniche con le quali gruppi sociali specializzati diffondono informazioni, messaggi, segni e simboli. Per estensione, poi, c. di m. indica, in pari tempo, il mezzo tecnico, la forma simbolica, l'istituzione, i gruppi che emettono la comunicazione nonché i gruppi riceventi, l'emissione e la recezione di messaggi e segnali, l'intenzione di significazione dell'emittente e l'intenzione d'interpretazione del recettore.
Il processo della c. non si riduce tuttavia allo schema emittentericettore. Fattori imponderabili intervengono sovente in qualsiasi fase del processo, modificano il senso del messaggio o lo dotano d'una pregnanza emotiva e affettiva non prevista, d'una significanza finale diversa da quella attribuitagli coscientemente al momento dell'emissione. Il fenomeno della c. è perciò estremamente complesso, al centro delle preoccupazioni di quasi tutte le discipline sociali, e d'altre più specificamente tecnologiche.
La c. di m. utilizza modi e tecniche di trasmissione di natura assai varia: scrittura, audio-visuali, cassette, bande magnetiche, sistemi elettronici, televisione, radio, cinema, dischi, stampa, e tutti gli altri mezzi con cui ci si rivolge alle masse. Attraverso questi modi, tecniche e mezzi si sarebbe venuta creando una cultura diversa da quella in auge nel passato, una cultura che si fonderebbe sui modi di trasmissione utilizzati piuttosto che sui contenuti dei messaggi. Il più celebre studioso di questi problemi, il canadese Marshall McLuhan, dirà "The medium is the message", volendo significare con ciò che l'organo di diffusione, la forma tecnica data ai contenuti comunicati, cambia la natura stessa di questi contenuti. In altri termini, i contenuti della c. sono correlati strettamente ai modi di trasmissione, alla sua tecnologia. Fondandosi sulla dimensione culturale della c. di m., McLuhan ha elaborato una sorta di filosofia evoluzionista delle civiltà fondata sulla successione dei mezzi di c. di m., per la quale l'epoca elettronica rende desueta ora, inutile domani, la scrittura. La radio, il cinema, la televisione, i calcolatori stanno distruggendo la civiltà dello scrivere. La nostra civiltà, che trovava nel libro uno strumento atto sia alla conservazione che alla trasmissione, sta scomparendo. Da una tale constatazione, McLuhan fa derivare una spiegazione del mondo moderno. Una volta, prima dell'invenzione della scrittura, l'uomo viveva una vita piena e completa, globale, in una comunità integrata. Tra l'uomo e la natura e l'ambiente esisteva una profonda armonia. Quest'armonia dava a tutti il sentimento della totalità dell'esistenza. Poi venne la scrittura, e con la scrittura il libro. Il libro permise la capitalizzazione del sapere, mentre più tardi la tipografia costrinse a regolarizzare i veicoli della comunicazione: le lingue. L'uomo poté così raccogliere, conservare, tramandare e sfruttare tutte le informazioni necessarie alla sua vita quotidiana e alla sua esistenza sociale. Senonché queste operazioni obbligavano l'uomo a selezionare, spezzettare, frammentare ciò che prima era sentito e percepito come un tutto. La frammentazione sarebbe all'origine del capitalismo, dell'individualismo, del nazionalismo, del militarismo, delle specializzazioni, insomma del mondo della alienazione o, se si vuole, della civiltà industriale.
L'elettronica ha dato l'abbrivio a una nuova civiltà. L'elettricità sta distruggendo la centralizzazione cui ci aveva sottomesso la macchina: i mass-media, le tecniche nuove di comunicazione sociale stanno trasformando la cultura, la società e l'individuo. La simultaneità tra la trasmissione e il ricevimento dell'informazione, che grazie all'elettricità e all'automazione diventerà un fatto corrente, deve determinare nuovi rapporti tra l'uomo e l'ambiente, tra l'uomo e i suoi simili. Questi nuovi rapporti ridaranno all'uomo l'unità, che la civiltà della scrittura aveva schiantato. Insomma, la simultaneità darà ai sensi, ai centri nervosi, la pienezza e la compiutezza che avevano perduto. La specializzazione e l'iniziativa personale saranno eliminate a tutti i livelli dell'esperienza sociale, e il dialogo costituirà la struttura stessa della comunicazione e dell'integrazione. Allora tutte le ideologie sociali e politiche scompariranno. Solo la religione sopravviverà perché essa è fatta d'instantaneità tra l'essere e l'esistente, perché riesce a dare all'uomo il senso del magico. Nella civiltà dell'elettronica l'artista, beninteso, avrà una funzione essenziale: percepirà le novità, offrirà all'uomo i mezzi per vincere le difficoltà e per adottare agevolmente il nuovo; lo aiuterà a prendere coscienza del nuovo ambiente, dei cambiamenti, ecc.
La tesi che sostiene una tale dottrina è questa: la scrittura, la stampa hanno condizionato finora in maniera lineare l'apprendimento di concetti come quelli di spazio, potenzialità, espansione, contrazione, ecc. Tale condizionamento derivava dalla nozione di ripetibilità omogenea, che dal sistema della stampa veniva trasferita non solo alla produzione e all'organizzazione sociale, bensì anche a fenomeni più complessi e complicati. I mass-media elettronici ridanno al concetto di spazio le connotazioni di presenza e di pienezza, e ciò facendo mettono gli uomini occidentali in una posizione di svantaggio rispetto ai popoli che non hanno conosciuto i modi lineari omogenei della cultura stampata. Questi popoli a cultura auditivo-tattile, in altri termini analfabeti, si adatteranno più facilmente di noi all'universo non visuale delle matematiche e della fisica moderne, s'impadroniranno con più maestria e agevolezza dei linguaggi simbolici che ormai stanno alla base della scienza. Predicare ed esportare nei paesi del Terzo Mondo l'istruzione tradizionale occidentale, basata sulla diffusione totalitaria dell'alfabeto, sembra a McLuhan un nonsenso, un ostacolo alla crescita e allo sviluppo dell'agognato "villaggio globale", in cui la coscienza cosmica pre-verbale troverebbe la propria compiutezza e la propria realizzazione. McLuhan non dà nessuna importanza al fatto che i mass-media fanno parte d'una struttura di potere da cui l'analisi non dovrebbe mai prescindere. Quali che siano le critiche che possono rivolgersi allo studioso canadese, le sue tesi raggiungono la teoria dell'informazione che attira l'attenzione sui processi di cifratura e di decifrazione cui l'emittente e il ricevente sono sottoposti per lanciare e ricevere la comunicazione attraverso un canale. La trascrizione del messaggio con codici visivi, uditivi, audio-visuali specifici, dà al messaggio una certa struttura, in cui il rapporto tra l'informazione tecnicamente superflua e l'informazione totale (questo rapporto è detto ridondanza) resta fondamentale.
La c. è trasmissione. La trasmissione è però utile nella misura in cui il destinatario l'accolga. Per facilitare questa ricezione, l'informazione deve ricorrere alla ripetizione, alla persuasione, insomma a fattori colorati d'affettività. Partendo da tale constatazione Harold D. Lasswell definì, nel 1948, il campo della c. così: "Chi parla, cosa dice, attraverso quale canale, a chi, con quali effetti?". Da quell'anno la sociologia delle c. di m. ha studiato i problemi esaminando partitamente i cinque termini della questione posta da Lasswell, investigando rispettivamente chi controlla l'emissione, cioè l'emittente, la struttura e la finalità del messaggio, le vie della trasmissione, íl pubblico cui il messaggio è destinato, e gli effetti sperati e/o ottenuti. I risultati sono largamente conosciuti. Si sa che chi controlla l'emissione è di solito un'organizzazione industriale in situazione di concorrenza monopolistica. Pochi gruppi e più sovente lo stato hanno il controllo di questo settore di produzione di beni simbolici. L'importanza degl'investimenti, la complessità degli apparati produttivi determinano una concentrazione inevitabile, e quindi la creazione di situazioni di monopolio. Nonostante questa situazione, il prodotto è il risultato d'un adattamento più o meno equilibrato fra le possibilità dell'offerta e l'attesa della domanda, e perciò si situa sempre a un livello mediano. L'analisi dei contenuti della c., mediante la glottocronologia e l'analisi dei contenuti, ha confermato attraverso quali contrastì ed esigenze s'arriva alla produzione della c., e come le pressioni provenienti dalle diverse forze in gioco (i gruppi sociali, il pubblico, i creatori, i tecnici, ecc.) si scontrano e s'incontrano nell'elaborazione dei programmi e nei contenuti dell'emissioni. Il peso dell'apparato tecnico può essere condizionante nella misura in cui questo s'autonomizza, per così dire, rispetto a tutte le altre componenti.
Le ricerche più raffinate sono state condotte, in tutti i paesi del mondo, al fine di ben conoscere il pubblico dei mass-media, le sue attese e i suoi desideri. I criteri di classificazione del pubblico dei vari mezzi di c. di m. sono stati divisi da Paul F. Lazarsfeld in tre gruppi: il primo è fondato sulle caratteristiche primarie (il sesso, l'età, il livello d'istruzione, la condizione economica); il secondo sulle caratteristiche psicologiche; il terzo sulle altre abitudini di comunicazione. Sulla base di questa classificazione si sono ottenute interrelazioni empiriche fra i vari tipi di comportamento del pubblico, che hanno condotto alla formulazione di un'uniformità sul carattere di mutua compensazione, non concorrenziaìità dei mezzi di c. di massa. Cioè: una persona sarà tanto più consumatore d'un media quanto più consuma frequentemente altri media; che le abitudini relative alle comunicazioni sono determinate dal ruolo sociale piuttosto che dalle caratteristiche psicologiche degli individui, e appunto perciò "le persone di più basso livello culturale non amano ascoltare i programmi seri, anche se si cerca di renderli più comprensibili mediante l'uso di scenette ed altre tecniche simili".
Lo studio delle variabili primarie, psicologiche e di comportamento, ha rivelato che la consumazione dei media è funzione dell'età, del sesso, delle categorie socio-professionali e soprattutto del desiderio di ritrovare esperienze in cui proiettarsi.
Un altro punto importante le ricerche empiriche hanno delucidato molto bene, quello sugli effetti. Contro i criteri che accusano i media di narcotizzare il pubblico, di fargli subire delle informazioni (privandolo così delle possibilità d'una ricerca autonoma delle stesse), e contro quelli che ritengono essere la ricezione distanziata, ironica o indifferente, la sociologia empirica delle c. di m. ha provato l'infondatezza di quelle opinioni, giacché i messaggi non sono mai inviati in posizione d'assoluto monopolio, giacché risulta praticamente impossibile filtrare i messaggi attraverso i modelli di comportamento e atteggiamenti preesistenti e soprattutto giacché risulta irrealizzabile l'integrazione dello stesso in un sistema di relazioni interpersonali suscettibile di diffonderlo compiutamente. Per queste ragioni si ritiene che gli effetti sociali siano abbastanza limitati. Rafforzerebbero la legittimità degli status (status conferial function) e delle norme sociali vigenti. L'eventualità di una manipolazione totale del pubblico da parte di quelli che controllano i mezzi di diffusione e c. di m., s'è rivelata infondata. Il pubblico scarta ineluttabilmente i messaggi in patente contrasto coi valori, colle norme, colle convinzioni personali. Lazarsfeld ha scritto che "nessuna propaganda può avere successo se va contro gli eventi e contro le forze che sottostanno a questi eventi" e che "la propaganda non è un surrogato della politica e dell'azione sociale, ma serve soltanto a far comprendere agl'individui questa politica e questa azione". E lo stesso autore, in collaborazione con Elihu Katz, ha mostrato che il processo di comunicazione si compie effettivamente allorché il messaggio è ripreso e diffuso, in seno ai gruppi, per via dell'influenza personale. È necessario dunque passare attraverso una rete d'intermediari, i leaaer d'opinione, i quali interpretano e trasmettono le opinioni ai settori meno attivi della popolazione. Ricevuta la comunicazione, accettatala, e talvolta rielaboratala, questi leader assicurano l'efficace trasmissione della comunicazione, donde la constatazione che il processo avviene sempre in due stadi (two-step flow). Il processo dell'influenza è descritto e spiegato allora come un flusso mediato dai mass-media ai leader d'opinione e da questi, attraverso reti comunicative informali, ai gruppi sociali cui questi leaders appartengono. Le relazioni interpersonali e le interazioni in seno ai gruppi diventano strategiche. È stato perciò scritto che "la conoscenza dell'intorno personale di ciascun individuo è essenziale per la conoscenza della sua esposizione e reazioni ai mezzi di comunicazione di massa".
Gli effetti attribuiti ai mass-media sono così fortemente ridimensionati. Né la devianza né la violenza né la contestazione possono imputarsi ai mass-media. Che siano strumento di controllo sociale e d'integrazione, è probabile, ma tuttora non dimostrato, e forse mai dimostrabile. La ragione è che l'impossibilità di fare una sociologia delle c. di m. (prescindendo da tesi circa cos'è e deve essere la cultura, lasciando da parte il discorso sugl'intendimenti dei detentori del potere politico, sulle loro pretese necessità "manipolatorie", sulla loro volontà di controllare la "conformità" della comunicazione) pare certa. Non è dunque un caso che nella situazione attuale la sociologia delle c. di m. stia per confluire nella sociologia della cultura o in quella del potere.
Bibl.: P. F. Lazarsfeld, Personal Influence, Glencoe 1955; B. Rosemberg, D. Manning White, Mass culture, Londra 1957; J. T. Klapper, Gli effetti delle comunicazioni di massa, Milano 1964; A. A. Moles, Sociodynamique de la culture, L'Aia 1966; J. Arranguren, Sociologie de l'information, Parigi 1967; E. Fulchignoni, La civilisation de l'image, ivi 1969; M. Mc Luhan, Pour comprendre le media, ivi 1969; G. Braga, La comunicazione sociale, Torino 1969; J. Cazeneuve, Les pouvoirs de la télévision, Parigi 1970; W. Schramm, D. F. Roberts, The process and effects of mass communications, Urbana 1971.