COMPETITIVITA
COMPETITIVITÀ. – La competitività dei sistemi produttivi italiani. Le politiche per la competitività
Il dibattito sui fattori che determinano la c. delle imprese e sulla conseguente definizione delle politiche pubbliche di sostegno alla sua crescita più appropriate ha assunto una nuova centralità a seguito dell’accresciuta intensità della concorrenza su scala internazionale dovuta al progresso delle nuove tecnologie e all’accelerazione dei processi di integrazione economica a livello globale. L’apertura dei mercati finanziari, la rapida espansione degli investimenti diretti esteri (la cui crescita tra il 1995 e il 2013 è stata tre volte superiore a quella del commercio internazionale), la riduzione dei costi di trasporto e lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno accelerato la tendenza da parte delle grandi imprese multinazionali alla riorganizzazione su scala internazionale delle diversi fasi che compongono il processo di produzione di un bene finale (catena globale del valore), in modo da sfruttare al meglio i vantaggi di specializzazione a livello mondiale. Questa frammentazione con delocalizzazione internazionale della produzione ha consentito alle imprese di Paesi una volta ai margini delle dinamiche dello sviluppo di integrarsi nel sistema degli scambi mondiali e di specializzarsi in alcune fasi del processo produttivo (in genere quelle a maggiore intensità di lavoro non qualificato), senza dover gestire la complessità dell’intero ciclo produttivo di un prodotto finale. Tutto ciò, se da un lato ha favorito la prepotente affermazione di nuovi Paesi emergenti come Cina, Russia, Brasile e India che hanno mutato radicalmente la geografia dello sviluppo economico, dall’altro ha comportato anche una ridefinizione del modello di specializzazione produttiva dei singoli Paesi che tendono sempre di più a competere su singole fasi della catena produttiva invece che sui prodotti finali. La frammentazione internazionale della produzione, infatti, offre alle imprese opportunità differenti a seconda della loro capacità di posizionarsi sui diversi anelli della catena del valore globale; soprattutto per le imprese dei Paesi più avanzati, nei quali la competizione sul costo della manodopera è sempre meno sostenibile, risulta indispensabile concentrarsi sulle fasi produttive più redditizie e meno esposte alla concorrenza. Questo comporta la necessità di conseguire un vantaggio competitivo che va sostenuto e rafforzato attraverso un’innovazione continua di prodotto e di processo (che rende più difendibile quel vantaggio), acquisendo competenze tecniche e operative più elevate, adottando strategie di internazionalizzazione per raggiungere e presidiare i mercati dinamici più lontani e in generale assumendo tutti quei comportamenti strategici e organizzativi che consentono di posizionarsi, attraverso il cosiddetto processo di upgrading, sui segmenti più remunerativi della catena del valore, ovvero quelli posti a monte (ricerca e sviluppo, progettazione, design, servizi di logistica) e a valle (commercializzazione, marketing, assistenza post vendita) dell’attività di trasformazione manifatturiera vera e propria.
La competitività dei sistemi produttivi italiani. – L’esperienza dei distretti industriali italiani ha dimostrato come le economie di agglomerazione, derivanti dalla sedimentazione sul territorio di elementi intangibili quali il know-how, l’accumulazione di saperi contestuali nella gestione di processi produttivi, lo sviluppo di reti relazionali che facilitano la circolazione di informazioni, e in generale tutta quella densa ‘atmosfera industriale’ che contamina la vita quotidiana di imprese e persone, abbiano costituito un potente moltiplicatore di competitività.
Per anni, un’efficiente divisione del lavoro tra imprese specializzate in singole lavorazioni e la loro concentrazione territoriale hanno consentito di recuperare, a livello di singole filiere locali, quelle economie di scala e quei vantaggi competitivi cui sarebbe stato impossibile attingere se non attraverso la grande dimensione, e di preservare allo stesso tempo un ampio margine di flessibilità produttiva. Sotto la spinta d’urto delle nuove economie emergenti, tali vantaggi hanno iniziato ad attenuarsi sensibilmente già all’inizio degli anni Dieci del 21° sec.: particolarmente colpiti sono stati quei sistemi d’impresa caratterizzati dalla specializzazione in settori a elevata intensità di lavoro e da ridotte dimensioni aziendali, che sono risultati più vulnerabili alle dinamiche dell’integrazione e dell’internazionalizzazione dei processi produttivi. Sistemi d’impresa basati su saperi contestuali poveri e maturi e con una bassa propensione all’innovazione tecnologica si sono trovati esposti direttamente alla concorrenza proveniente dai Paesi caratterizzati da costi più contenuti del lavoro che sono riusciti a padroneggiare rapidamente tali conoscenze e a inserirsi con forza e velocità negli stessi segmenti produttivi in cui operavano le imprese italiane. È il caso soprattutto dei numerosi sistemi di imprese specializzate in alcune produzioni tipiche del made in Italy, in particolare quelle dei settori tessile e calzaturiero, i cui livelli produttivi già nel 2007, cioè prima della lunga fase di recessione che ha colpito l’industria italiana, erano inferiori rispettivamente del 25 e del 55% rispetto ai primi anni Novanta e che nel 2013 si sono ridotti sino al 50 e al 70%.
Indipendentemente dal settore di appartenenza, si è invece rilevata vincente la strategia delle imprese che sono riuscite a riposizionarsi sui segmenti più alti della catena del valore e hanno saputo sviluppare competenze e capacità di nicchia fortemente differenziate rispetto alla concorrenza acquisendo in questo modo un vantaggio competitivo più difendibile. È il caso di aziende specializzate in alcune produzioni di nicchia, anche in settori tradizionali e a basso contenuto tecnologico, ma fortemente riconoscibili in termini di marchio o di target di mercato, o di aziende di sub-fornitura capaci di offrire prodotti semilavorati di particolare qualità in modo flessibile o personalizzabile o, infine, di aziende di medie dimensioni che sono riuscite a combinare la flessibilità produttiva delle piccole imprese con una proiezione internazionale tipica delle grandi società multinazionali (le cosiddette multinazionali tascabili).
Le politiche per la competitività – Nel nuovo contesto globalizzato dei mercati, la capacità competitiva viene a dipendere da una molteplicità di fattori, alcuni posti sotto il diretto controllo delle imprese (strategie aziendali, efficienza manageriale, struttura proprietaria, articolazione organizzativa), altri connessi a un insieme eterogeneo di condizioni che definiscono e caratterizzano l’ambiente di riferimento per le imprese e la sua propensione a produrre innovazioni di prodotto e di processo, offrire servizi avanzati, infrastrutture, e altre risorse materiali e immateriali in grado di generare esternalità positive per le stesse aziende che vi operano. Per tali ragioni l’azione pubblica di promozione della c. si rivolge soprattutto al miglioramento delle condizioni generali di contesto per le imprese (attraverso azioni nel campo della ricerca, della cooperazione tra imprese, del trasferimento tecnologico, della regolamentazione del mercato del lavoro, del fisco, dei mercati finanziari, dei servizi di pubblica utilità), senza il ricorso a forme di sussidio a favore di imprese o settori. Assume particolare importanza al riguardo il ruolo delle autorità pubbliche nel garantire regole certe e stabili, nel tutelare i diritti di proprietà, nel contrastare l’illegalità e la criminalità al fine di creare un ambiente favorevole non solo alle imprese già presenti, ma anche all’arrivo di nuove iniziative imprenditoriali dall’esterno. Anche nell’ambito dell’Unione Europea, l’attenzione alla definizione di politiche pubbliche volte a stimolare la c. delle imprese ha portato alla formulazione di vasti programmi a sostegno dell’innovazione e del trasferimento tecnologico (come il recente Programma quadro Horizon 2020, v. ricerca, innovazione e sviluppo della) e di interventi volti a strutturare le relazioni di cooperazione tra le imprese finalizzate a innalzare la produttività e la c. dei sistemi industriali.