COMETA
(X, p. 926)
Le c., come gli asteroidi o piccoli pianeti, rappresentano i resti di quegli agglomerati originari (planetesimi) formatisi nel disco protoplanetario, da cui si sono poi gradatamente ''costruiti'' i pianeti maggiori. Esse non hanno perciò subito quei processi evolutivi di tipo fisico, geologico, chimico, ecc., che hanno invece caratterizzato le strutture planetarie più complesse durante i miliardi di anni di vita del sistema solare. Lo studio delle abbondanze chimiche rivelabili nelle c. è quindi di straordinaria importanza non solo per la conoscenza della composizione della nebulosa solare primitiva, ma più in generale per una visione globale delle strutture delle nubi interstellari, giudicate essere il luogo più tipico di formazione stellare. Recentemente sono stati messi in rilievo anche gli stretti rapporti intercorrenti tra i vari corpi minori, e come sia possibile studiarli sotto un unico generale processo formativo ed evolutivo. Asteroidi, c., sciami meteorici, meteoriti, polvere interplanetaria sono oggi visti in un quadro sempre più unitario. Gli studi cometari e in particolare le recenti missioni spaziali degli ultimi anni hanno gettato una nuova luce non solo sulle stesse c., ma su tutta una serie di processi ben più generali che coinvolgono la storia intera del sistema solare e − forse − dell'origine ed evoluzione della vita biologica.
Origine e provenienza delle comete. - La teoria più accreditata riguardo all'origine e alla provenienza delle c. è quella formulata dall'astronomo olandese J. H. Oort intorno al 1950. Secondo tale teoria, ormai quasi universalmente accettata, le c. sono localizzate in una specie di enorme ''serbatoio'', che si estende sotto forma di uno strato sferico che avvolge le parti più esterne del sistema solare. Questo serbatoio, denominato Nube di Oort, può essere approssimativamente compreso tra le 30.000 unità astronomiche (UA; circa 1200 volte la distanza di Plutone dal Sole) e le 100.000 UA (circa la metà della distanza tra la nostra stella e quella ad essa più vicina, Proxima Centauri). Non è ancora stato accertato il numero di c. che compongono la nube di Oort (essendo esse del tutto invisibili con i telescopi sia terrestri che spaziali), ma si stima possa contenerne da 1000 a 2000 miliardi.
Anche se questo numero può sembrare enorme, la massa complessiva di tutte le c. che formano la nube è molto piccola, forse del tutto paragonabile a quella della nostra Terra. Non è ancora ben chiaro anche il problema riguardante la variazione col tempo della densità cometaria della nube. Forse essa va gradatamente riducendosi, ma potrebbe altresì raccogliere oggetti cometari ''esterni'', provenienti dagli spazi interstellari. La densità delle c. esistenti durante le epoche storiche ha sicuramente influenzato non solo le conoscenze astronomiche, ma il nostro stesso modo di guardare il cielo. Se, per es., il loro numero fosse stato di alcune volte superiore a quello attuale, ogni sera si potrebbero scorgere a occhio nudo varie c. e la loro visione sarebbe ormai uno spettacolo del tutto comune. Al contrario, se il loro numero fosse stato solo di poche volte inferiore, in tutta la storia dell'uomo si sarebbero viste non più di una o due c., che sarebbero certo state considerate oggetti oltremodo peculiari, provenienti dagli spazi interstellari ma della cui natura sicuramente poco o nulla si sarebbe saputo.
Il modo con cui si è creato l'enorme serbatoio cometario che circonda il sistema solare interno va cercato nei processi formativi che generarono Sole e pianeti circa 4 miliardi e mezzo di anni fa. Le teorie più accreditate ipotizzano che i pianeti si siano costruiti attraverso un processo di accrescimento a partire dai minutissimi grani di polvere e gas contenuti nella nebulosa primitiva, al cui centro si andava formando la proto-stella che sarebbe poi diventata il Sole. A distanze relativamente vicine alla stella in formazione, le alte temperature permisero soltanto l'aggregazione di materiali relativamente pesanti, quali metalli e silicati; il processo accrescitivo portò dapprima alla creazione di piccoli pseudo-pianeti di consistenza solida (i cosiddetti planetesimi), che mano a mano si riunirono tra loro formando i pianeti interni di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra + Luna, Marte). I resti dei planetesimi primordiali di queste zone sono oggi visibili nella fascia degli asteroidi. Andando più lontano dal Sole, le temperature sempre più basse permisero invece la formazione di aggregati con alti contenuti di materiali volatili, tra cui anche i gas più leggeri come l'idrogeno e l'elio. I prodotti finali dell'accrescimento dei planetesimi delle zone ''fredde'' portò allora alla formazione dei pianeti giganti come Giove e Saturno, e al loro corteo di grandi e piccoli satelliti. Analogamente si formarono anche Urano e Nettuno, ma su tempi scala relativamente più lunghi. Questo ritardo implicò probabilmente che gran parte dei planetesimi ad alto contenuto di elementi volatili, esistenti nelle regioni più esterne, non riuscirono ad aggregarsi in corpi di grandi dimensioni e vennero invece confinati − attraverso violenti e drastici processi dinamici di espulsione − verso gli estremi confini del sistema planetario, andando a formare e a rifornire la ormai ben nota nube di Oort.
Essa va quindi considerata una vera e propria riserva dei planetesimi primitivi, scampati ai processi evolutivi di accrescimento che formarono i pianeti più esterni. Così come gli asteroidi, le c. possono essere definite veri fossili viventi, sopravvissuti quasi integri attraverso i miliardi di anni passati dalle origini del sistema solare. Lo studio delle loro strutture interne può quindi permettere di risalire alle condizioni esistenti nella nebulosa protoplanetaria originale.
Dinamica cometaria. - Se non vi fossero perturbazioni esterne, le c. resterebbero confinate nella nube di Oort a grandissime distanze dal Sole, del tutto invisibili e sotto forma di nuclei inerti di ghiaccio e polvere. Tuttavia, nel corso di miliardi di anni, un numero considerevole di stelle è transitato a distanze dal Sole inferiori a quella dell'attuale stella più vicina. Questo passaggio ha causato sensibili perturbazioni negli strati più esterni della nube cometaria, alterando notevolmente le orbite pressoché circolari degli oggetti ivi contenuti. Molte c. sono state espulse dal sistema solare, ma altre − forse ben più numerose − sono state invece immesse su orbite tali da portarle − e il processo ancora continua − a transitare, lungo la loro traiettoria, a distanze relativamente vicine al Sole.
Ciò ha permesso, e permette, di osservare direttamente da Terra questi corpi celesti, a volte anche a occhio nudo, in condizioni però diverse da quelle originarie. Il loro aspetto cambia, infatti, in modo molto appariscente man mano che la distanza dalla nostra stella diminuisce, la temperatura aumenta, e così pure si fa più sensibile l'interazione della c. con il ''vento'' di particelle ad alta velocità emesso dal Sole (il vento solare).
L'evoluzione dinamica cometaria è oltremodo complessa e può essere prevista solo su scale di tempo relativamente brevi. Il risultato più evidente di tale evoluzione è che un numero considerevole di c. si trova generalmente su orbite molto strette, tali da mantenere questi piccoli oggetti − originatisi a distanze remote − nelle zone interne del sistema solare. Ciò comporta altresì periodici passaggi vicino al Sole e di conseguenza la possibilità di osservare da Terra lo stesso oggetto un numero considerevole di volte. Il periodo di rivoluzione intorno alla nostra stella è normalmente usato per dividere le c. in tre grandi categorie: 1) le c. periodiche strette, con periodi inferiori ai 200 anni, che rappresentano all'incirca il 20% della popolazione cometaria a tuttoggi conosciuta; 2) le c. periodiche larghe, con periodi superiori ai 200 anni; sono all'incirca il 25%; 3) le c. paraboliche, ossia quelle avvistate una volta sola e sulla cui evoluzione orbitale nulla può essere previsto (potranno sia essere catturate e immesse in orbite periodiche, sia espulse dal nostro sistema planetario), che rappresentano il 45% circa dell'intera popolazione conosciuta. Vi è infine la possibilità che almeno un 10% di c. vengano immesse su orbite estremamente aperte, ossia su orbite iperboliche.
Composizione e struttura delle comete. - Osservazioni telescopiche sempre più accurate permettono una conoscenza più approfondita della struttura della c., e in particolare del nucleo, sempre celato alle osservazioni in quanto avvolto dalla diffusa nebulosità della chioma. Attraverso analisi spettroscopiche dei gas e della polvere costituenti le regioni più esterne, facilmente visibili da Terra, si erano comunque potute già formulare varie teorie sia sulle effettive dimensioni del nucleo, sia − soprattutto − sulla sua struttura chimico-fisica e sui processi che potevano avvenire sulla superficie.
Il modello cometario più celebre è stato quello formulato all'inizio degli anni Cinquanta dall'astrofisico F. L. Whipple. Egli definiva, con una certa dose d'ironia, il nucleo cometario come una ''palla di neve sporca''; in termini più tecnici, ipotizzava che la c. doveva considerarsi un blocco di gas ghiacciati, in cui erano intrappolati materiali non volatili quali silicati, metalli, composti carbonacei, ecc. Questa struttura − del tutto inerte a grande distanza dal Sole − innescava processi attivi via via che si avvicinava al Sole, permettendo ai gas di sublimare e di trascinare con sé anche le particelle di polvere. Il vento solare, investendo la chioma che si andava formando, trascinava verso l'esterno il materiale più leggero e creava la coda. Il modello di Whipple ha resistito e resiste tuttora, anche dopo i risultati delle missioni spaziali dirette a investigare da vicino la c. di Halley. Solo variazioni relativamente secondarie sono state apportate, ma la struttura generale e i principali meccanismi fisici sono stati confermati.
All'interno del nucleo sono presenti vari tipi di gas allo stato di ghiaccio, quali il metano, l'ammoniaca, l'acqua e vari composti del carbonio. Questi esistono nel nucleo sotto forma molecolare e prendono il nome di molecole madri. Il calore del Sole fa sublimare i ghiacci e permette l'allontanamento progressivo delle molecole dal nucleo. Nel contempo però l'irraggiamento ultravioletto dissocia i composti originari nei vari radicali quali OH, CO, NH, CH, ecc., li spezza nei vari atomi e li ionizza (privandoli cioè di elettroni esterni). Questo processo ha lo svantaggio di non permettere l'osservazione diretta delle molecole madri, né tantomeno del loro grado di complessità, ma solo dei loro prodotti dissociati. A questa visione qualitativa della struttura cometaria si era già giunti prima delle missioni spaziali, soprattutto con campagne osservative svolte negli anni Ottanta. Ciò che ancora restava confuso e incerto era la visione quantitativa e soprattutto la possibilità di ''vedere'' i processi superficiali attivi nel nucleo, punto di partenza di tutta la struttura cometaria nel suo insieme.
Le missioni spaziali del 1986 e i più recenti risultati. - Una chiara visione dei processi relativi al nucleo e all'interazione della c. con il vento solare si è avuta soltanto durante il 1986, quando una serie di navicelle spaziali sono state inviate da varie nazioni verso la più celebre tra le c., ossia quella di Halley. Le sonde (6 in tutto) sono passate a distanze diverse dal nucleo cometario e hanno risolto tra l'altro molti dei problemi connessi alle perturbazioni indotte nel campo magnetico interplanetario dalle c. e ai processi determinati dalla collisione del plasma solare con quello cometario.
In particolare le sonde sovietiche Vega-1 e Vega-2, la giapponese Suisei e l'europea Giotto sono transitate davanti alla parte illuminata del nucleo a distanze comprese tra i 600 e i 150.000 km, penetrando all'interno del fronte d'urto tra vento solare e plasma cometario. Le altre due navicelle (l'americana Ice e la giapponese Sakigake) hanno invece raccolto dati sul vento solare prima che questo raggiungesse il fronte, a distanze dell'ordine di circa 10 milioni di km dal nucleo. Come si vede, una campagna osservativa a grande raggio, in grado di esaminare i vari aspetti della struttura cometaria nella sua totalità. Tra le missioni, comunque, quella senz'altro più eclatante − oltre che rischiosa − è stata l'europea Giotto. Essa ha sfiorato letteralmente il nucleo, giungendo a soli 600 km da esso, anche se le apparecchiature ottiche hanno subito gravi danni a causa della polvere emessa dall'oggetto celeste. La telecamera montata sulla sonda, prima di essere danneggiata, ha comunque fornito immagini eccezionali e di grande nitidezza, entrate ormai a buon diritto nella storia dell'astronomia spaziale. La navicella Giotto conteneva un gran numero di strumenti puntati verso obiettivi ben precisi. I più importanti erano la già citata camera fotografica a colori per le immagini dirette, gli spettrometri di massa per la rilevazione dei gas neutri, della materia ionizzata e delle particelle di polvere, gli analizzatori di plasma per determinare la composizione degli ioni raccolti, il magnetometro per lo studio del campo magnetico, nonché un misuratore atto a stabilire la variazione della densità dei gas e della polvere lungo tutta la traiettoria percorsa dal veicolo spaziale.
Tra i tanti risultati, la Giotto e le altre navicelle hanno rivelato che il nucleo emette circa 20 tonnellate di gas al secondo; esso è composto per l'80% di acqua e per il 10% di monossido di carbonio. Il rimanente 10% va diviso tra anidride carbonica, metano, ammoniaca, ecc. Studi particolareggiati sono stati anche svolti sulle particelle solide di polvere espulse insieme ai gas. Quelle più pesanti (con dimensioni superiori al micron) si oppongono all'effetto trascinante del vento solare e rimangono in prossimità dell'orbita cometaria, formando i ben noti sciami meteorici. Quelle più leggere vengono invece facilmente spinte dal vento solare in direzione opposta al Sole e formano la coda di polvere − spesso ben visibile in molte c. − che risulta più incurvata di quella dovuta ai soli gas. La polvere è generalmente composta da grani in cui si mescolano elementi leggeri quali l'azoto, l'idrogeno, il carbonio e l'ossigeno a elementi più pesanti quali il magnesio, il silicio, il ferro, ecc. In qualche modo inaspettati, rispetto al modello cometario classico, sono risultati sia l'apparenza esterna del nucleo, sia i meccanismi di esplusione dei gas. Il nucleo della c. di Halley, le cui dimensioni sono all'incirca di 16x8x8 km, ha una forma irregolare e una densità relativa molto minore di 1 (circa 0,1÷0,2). La superficie è poi sorprendentemente scura, riflettendo infatti soltanto il 4% della luce solare incidente (ancora più scura del comune carbone). Ciò implica che il ghiaccio interno è circondato da uno strato relativamente spesso, sulla cui natura chimica non si possono ancora trarre conclusioni definitive. Ma la sorpresa maggiore riguarda l'emissione dei gas. Essa avviene attraverso getti localizzati in particolari zone, che coprono soltanto il 10% dell'intera superficie (in particolare nell'emisfero rivolto verso il Sole).
Come conclusione generale si è potuto accertare che, a parte un debole impoverimento degli elementi più volatili (idrogeno e azoto), la composizione chimica delle c. dovrebbe rispecchiare quasi perfettamente quella esistente nella nube protoplanetaria originale. Addirittura s'ipotizza che molte delle molecole contenute nelle c. siano del tutto simili a quelle che erano contenute nella nube oscura antecedente la formazione del Sole. Sembra così possibile leggere attraverso le c. quei processi chimici che sono attivi continuamente negli spazi interstellari e che sembrano portare alla formazione di molecole molto complesse. Future missioni spaziali sono già pianificate per prelevare e portare a terra campioni di materiale cometario: questo sarà un passo enorme verso la comprensione dell'origine ed evoluzione dei composti organici.
Come finiscono le comete. - A ogni passaggio vicino al Sole, una c. periodica libera nello spazio circostante una parte non trascurabile del materiale che la costituisce. Ogni c. è quindi destinata in tempi più o meno lunghi − a seconda delle dimensioni o dell'orbita − a ridurre sempre più la propria attività, perdendo i suoi elementi volatili, e a degenerare verso strutture inerti. Questo processo può essere più o meno violento, causando o vere e proprie spaccature del nucleo o un suo sgretolamento graduale. La polvere che così viene a prodursi contribuisce a formare i già citati sciami meteorici e più in generale la cosiddetta polvere zodiacale. Se gli sciami di polvere rimangono localizzati su orbite che incrociano quelle della Terra, si ha − con cadenza annuale − il ben noto fenomeno delle stelle cadenti o meteore. Tuttavia, si pensa che in numerosi casi il nucleo inerte di una vecchia c. possa mantenere una massa non del tutto trascurabile, prevalentemente composta da materiali relativamente pesanti. In questo caso è oltremodo difficile riconoscere, a causa delle caratteristiche superficiali simili, un nucleo cometario spento da un asteroide che si trovi su un'orbita molto ellittica, di tipo cometario. Non è improbabile che un numero relativamente grande di asteroidi del tipo Apollo-Amor (oggetti con orbite allungate e incrocianti quelle dei pianeti più interni) sia composto da tali nuclei. Forse solo missioni spaziali specifiche potranno risolvere il problema, in quanto i vari tipi di osservazioni terrestri non sembrano essere in grado di evidenziare − almeno per ora − le differenze chimico-fisiche che potrebbero caratterizzare i due gruppi di corpi celesti. Vedi tav. f.t.
Bibl.: F. Foresta Martin, Le comete, Milano 1982; P. Maffei, La cometa di Halley, ivi 1984; AA. VV., Per seguire la cometa di Halley, Ancona 1985; N. Calder, Arriva la cometa!, Bologna 1985; M. De Meis, La cometa di Halley, Milano 1985; M. Rigutti, Comete, ivi 1985; D. Sardini, Le comete e la Halley nella storia, Brescia 1986.