COLLEZIONISMO
. Questa parola indica la tendenza a ricercare, raccogliere, ordinare e catalogare gli oggetti più disparati del passato e del presente. A tale tendenza la civiltà va debitrice delle cose che le sono pervenute attraverso i secoli e che le offrono oggi elementi di studio e d'indagine scientifica.
Col Rinascimento s'inizia il collezionismo nel senso odierno, e le ricerche dei raccoglitori si diressero alle cose storiche e artistiche, ai ricordi dei sommi che nelle varie discipline ebbero fama, e quindi alle pergamene, ai preziosi manoscritti, agl'incunaboli, ecc.
Il collezionismo moderno, per le mutate condizioni sociali ed economiche, ha assunto caratteri nuovi, e per le opere di valore artistico e commerciale immenso è esercitato soltanto dagli enti pubblici (stati, ma anche municipî, università, ecc.), e da privati forniti di larghissimo censo. La maggior parte dei privati, non potendo però più competere per il possesso di oggetti rari maggiormente valutati, ha ristretto il campo delle sue ricerche alle cose modeste, alle minuterie, agli oggetti trascurati dai più, i quali, riuniti, possono dare, pur nella loro umiltà, buoni elementi d'indagine e di studio nel campo della storia, dell'arte e delle scienze, e compensano largamente lo studioso del tempo e del danaro spesi per la loro riunione in raccolte organiche. Tale collezionismo - che va sempre tenuto distinto dalla "mania" delle collezioni, per cui si ammassano le cose più futili e disparate, che nulla hanno di comune con la storia o con l'arte - forma oggetto della trattazione seguente: per le collezioni naturalistiche, v. erbario; museo: Musei di storia naturale; per le collezioni di quadri, statue ecc., v. galleria; museo; per quelle di libri antichi e-moderni, v. Bibliofilia; biblioteca; per quelle di autografi, v. autografo.
Bastoni, Mazze. - Divenuti oggetti di lusso e d'arte, da poveri che erano in origine, i bastoni furono raccolti in modo particolare per gli ornamenti del pomo, nel quale spesso s'incastonarono pietre preziose (v. bastone). Le mazze di personaggi celebri furono vendute per somme favolose, e perciò in tutti i tempi furono falsificate; cosi si trovano a migliaia bastoni di Voltaire, di Rousseau, di Federico di Prussia. Franklin per testamento lasciò la sua mazza di melo selvatico, ornata di un pomo in oro foggiato a berretto frigio, al suo amico Washington e, sebbene fosse unica, ogni museo americano la possiede. Nelle reliquie della basilica di S. Pietro, a Roma, si conserva un frammento del bastone di viaggio di S. Paolo (lo si espone il 25 gennaio); presso la famiglia Guidicini di Bologna si trovava il bastone, preziosissimo, di Urbano VIII: fu acquistato dal cardinale Alessandro Albani, che ne fece omaggio a Benedetto XIV. Il lavoro ammirevole si attribuisce ai fratelli Sadeler. Famosa, tra le altre, la collezione di Heinrich Beer, fratello dell'illustre Meyerbeer, che andò dispersa dopo la morte del proprietario.
Bottoni. - Allorché Giuseppe II, nel 1777, andò a visitare la Francia sotto il nome di conte di Falkenstein, i Parigini lo salutarono con questo complimento: "Il popolo che paga i vostri bottoni, signor conte, deve esssere molto felice". La semplicità degli abiti, ostentata in quella circostanza da Giuseppe II, rimase proverbiale, e il saluto dei Parigini alludeva ai bottoni del re di Francia, che venivano a costare annualmente decine di milioni, poiché nel sec. XVIII i bottoni rappresentarono tutto quanto gli artefici e i signori potevano immaginare di straordinario in lusso e capriccio. Dopo la Rivoluzione i bottoni preziosi furono raccolti e chiusi in musei grandi e piccoli, pubblici o privati. Dei primi collezionisti di bottoni e delle loro raccolte ci sono pervenute notizie sufficienti. Il Clapisson ne aveva una di 7750 esemplari diversi, ceduta a un gioielliere di Francoforte per il valore di oltre un milione delle nostre lire; a Gand nel 1845 un collezionista ne espose una di 32.000 esemplari, ma di valore relativamente modesto. Le collezioni di bottoni del Settecento hanno un pregio storico e artistico particolare, perché alla loro decorazione si dedicarono non solo gli orefici di gran nome, ma anche i pittori e gli scultori più rinomati dell'epoca. Il Klingstet disegnò e fece eseguire per il suo protettore, il reggente Filippo d'Orléans, un finimento di bottoni "a molla", toccando la quale si scoprivano figurazioni della più "naturale immoralità"; Carlo X aveva fatto eseguire bottoni-orologio, ma i bottoni preferiti di questo re furono quelli miniati finemente con scene amorose, di caccia o militari. I collezionisti di bottoni ricercano poi particolarmente quelli del 1786, anno in cui se ne fecero di grandi come uno scudo, con i soggetti più svariati, tolti da quadri celebri, o riproducenti personaggi storici, o illustranti opere famose. I bottoni di agata e di altre pietre dure erano importati dall'Italia, e così quelli con musaici, cammei etruschi, ecc. La Rivoluzione diede poi vita ai bottoni patriottici: nuovo incentivo ai collezionisti.
Oggi i raccoglitori veri di bottoni sono rari. Di solito i bottoni moderni non hanno attrattive artistiche, e quei pochi antichi che vengono sul mercato sono accaparrati dai musei a prezzi elevatissimi.
In una raccolta i bottoni si classificano di solito per epoca, e ciascuna epoca per materia e stile, in ordine cronologico.
Coltellerie. - Nel Medioevo e nel Rinascimento i coltelli furono spesso artisticamente lavorati: ebbero manichi variamente ornati di sculture, ageminature, incrostazioni, ecc. Le collezioni di coltelli antichi sono ristrette di numero per la difficoltà di rintracciare coltelli autentici del passato. Comunque, nei nostri musei se ne vedono d'interessanti, benché composte di un limitato numero di pezzi. Tra le private va ricordata quella dell'armeria di Carlo Bazzaro Mattei di Milano.
Fibbie. - L'uso delle fibbie alle scarpe rimonta al sec. XVII. D'argento, d'oro, di smalto, d'acciaio, adorne di pietre preziose, oppure lavorate finemente al bulino o al cesello durante la Reggenza, di dimensioni enormi sotto Luigi XVI, le fibbie da scarpe forniscono un ampio materiale ai collezionisti, e così pure le fibbie da cintura, che furono in voga durante tutto il sec. XVIII, prima quasi sempre ornate di falsi brillanti, poi d'acciaio brunito, a punta di diamante, in smalto di Sassonia, ecc.; e così quelle per i cappelli e per i manicotti, le quali, per essere state quasi sempre ornate di preziosi, difficilmente sono giunte a noi. Le fibbie si classificano per secolo e per genere; da taluni anche per epoche.
Guanti. - Preziose sono le collezioni di guanti antichi, perché ricamatori e orefici vi profusero spesso tutte le risorse della loro industria. Nelle raccolte i guanti sono classificati cronologicamente per ciascuna serie, secondo la classe dei personaggi cui appartennero, o del loro modello. Nel 1842, alla vendita Strawberry Hill di Londra, un paio di guanti, finemente ricamati, appartenuti a Giacomo I, provenienti dalla famosa raccolta Walpole, furono pagati 80 lire oro, e un anno dopo 400 lire; un altro paio, pure ricamato, della moglie del celebre John Hampden, raggiunse le 100 lire; ma alla vendita Leloir (Parigi) del 1884 un paio di guanti scamosciati con disegni stampati e leggende patriottiche toccò le 120 lire oro. Taluni guanti italiani di Roma toccarono anche le 500 lire. Raccolte, sempre limitate nel numero, si trovano nei tesori delle principali cattedrali italiane, nei nostri musei e presso famiglie patrizie. I pochi che di tanto in tanto vengono sul mercato sono disputati a prezzi altissimi (v. guanti).
Lumi a mano. - I lumi a mano offrono elementi di studio non spregevoli nei rapporti dell'arte, del costume e della storia.
La loro forma varia a seconda delle regioni, del capriccio e dell'abilità dell'artefice. In generale sono fatti con lamina di ferro o di ottone, più raramente di metalli fusi o battuti, e quasi tutti ebbero da due a quattro stoppini. Ricercati quelli d'ottone, perché quasi sempre portano nell'asta configurazioni di santi e di madonne, trattate con senso d'arte. Da notare la raccolta di lumi di ferro battuto, valtellinesi, dei nobili Bagatti-Valsecchi di Milano, e quella del Landesmuseum di Zurigo.
Medaglie. - Chi raccoglie medaglie deve possedere cognizioni numismatiche e storiche e aver presenti le abbreviature con le quali le medaglie vengono descritte. Deve saper precisare la specie o serie di medaglie che intende riunire e procedere ordinatamente allo sviluppo razionale della serie prescelta (v. medaglia; numismatica).
Una collezione di medaglie italiane si può dividere, ad es., in: 1. medaglie di principi e di sovrani dei varî stati italiani: 2. medaglie del Risorgimento; 3. medaglie di uomini illustri (medici, naturalisti, fisici, chimici, numismatici, matematici); 4. di artisti (pittori, scultori, architetti, lirici, comici); 5. letterati e poeti; 6. uomini politici e di stato; 7. medaglie di premio, di esposizioni, ecc.; 8. placchette. Tutto deve esser diviso per regione e cronologicamente. Ciascuna medaglia, infine, dev'essere accompagnata da un cartellino con la descrizione e una sommaria fotografia dei personaggi illustrati o un cenno dei fatti che dalla medaglia sono ricordati, con l'indicazione dell'anno e del nome dell'artefice.
In Italia e fuori abbondano cospicue collezioni di medaglie, appartenenti a musei o a privati.
Morsi. - I pezzi articolati dei morsi e dei freni furono sempre lisci, mentre le aste, le guardie, le borchie vennero spesso ornate a cesello o a sbalzo e in ageminatura, e durante il Rinascimento si pretese che armonizzassero con l'armatura da pompa del cavaliere. Nelle collezioni di armi e armature antiche i morsi non vengono, perciò, separati dall'armatura di cui fanno parte; ma quelli che di questa non fanno parte, nelle collezioni vengono tenuti separati e classificati per nazionalità dell'artefice ed epoca. Meravigliosi i morsi raccolti nell'Armeria reale di Madrid, interessanti quelli dell'Armeria reale di Torino.
Orologi. - Nell'ordinamento di una collezione gli orologi si dividono di solito per epoche, a seconda delle quali variano grandemente i tipi (v. orologio). Le più famose collezioni di orologi sono quelle del British Museum di Londra e del Metropolitan Museum di New York; interessante anche quella del Museo Poldi-Pezzoli di Milano.
Pettini. - I pettini più ricercati dai collezionisti sono, oltre agli antichi, quelli eseguiti dopo il V secolo a Costantinopoli, da artefici greci; dopo le Crociate, i pettini italiani egregiamente ornati; quelli offerti a sacerdoti e vescovi, a partire dal sec. XV, in occasione di nozze (molte chiese ne hanno raccolte copiose). Pure assai apprezzati sono i pettini che recano incisi motti o simboli, in uso dalla seconda metà del secolo XVI. I pettini allungatissimi in voga sotto Carlo X, detti "pettini per giraffa", sono ricercati anche per il loro valore materiale, assai alto anche al loro tempo. Si ricordano poi i pettini napoletani, d'avorio o di tartaruga, lavorati finemente al bulino.
Alla vendita Fau del 1884 un pettine d'avorio lavorato a giorno raggiunse la cifra di 225 franchi; uno di bosso scolpito dalla fabbrica di Jubinal, col motto A me amie - Je le donne, fu aggiudicato per 400 franchi e altri consimili del Seicento toccarono somme varianti da 200 a 250 franchi (v. anche pettine).
Piccola stampa. - Con questa espressione s'indicano gli almanacchi, le stampe popolari, i fogli volanti illustrati, i segni di bottega, nonché le tessere in generale, e cioè: i biglietti di visita, d'invito a balli e concerti, le partecipazioni di nascita, di matrimonio e di morte, gli ex-libris, e simili.
Queste stampe sono le più ricercate, sia perché non sono ingombranti e non costano prezzi proibitivi per le borse modeste, sia perché offrono sempre un elemento particolare di studio e di diletto. L'uso di queste piccole stampe derivò e si propagò con lo sviluppo dell'arte grafica e con l'ingentilirsi dei costumi. La semplicità loro fu abbandonata per rivestirle con forme ragguardevoli di emblemi ed armi gentilizie, ornati di figure e di arabeschi, eseguiti al bulino da artefici insigni. Poco dopo, l'uso della piccola stampa si generalizzò e assunse forme inattese o ritenute sino allora impossibili. La piccola stampa fu allora chiamata a mettere in valore e a far prevalere le risorse delle industrie e dei commerci e a consacrare in un'espressione d'arte le manifestazioni più importanti dell'umana civiltà. L'uso della piccola stampa, perciò, finì per far sorgere una pleiade di eccellenti incisioni di vignette, che ci hanno tramandato la vita vissuta dal Seicento a quasi tutto l'Ottocento.
Con la Restaurazione la vignetta decadde. I capilettera della Rivoluzione e dell'Impero sparirono; i biglietti di visita e le insegne dei commerci e delle botteghe non furono più artisticamente ornati, o lo furono di rado e il disegno allegorico fu sostituito dai caratteri tipografici, talvolta bizzarri, ma quasi sempre insignificanti.
Sotto la denominazione generica di tessere i raccoglitori hanno registrato i segni di bottega, gli ex-libris, i biglietti di visita, ogni sorta di partecipazioni, biglietti d'ingresso e d'invito, i capilettera dei documenti pubblici e privati, i cartelloni piccoli e grandi, i cartoncini Liebig, i tabellionati, gli ordini del pranzo, ecc.
Di tutte queste piccole stampe sono state fatte raccolte cospicue, tra le quali quella di A. Bertarelli di Milano, che alla fine del 1904 contava oltre 53.000 pezzi; quella cospicua di Giovanni Piccinini; e molte altre presso privati e presso i nostri musei e biblioteche.
Almanacchi. - Gli almanacchi offrono agli studiosi un'infinità di notizie su uomini e su cose trascurati dalle cronache o non apprezzati dalle storie locali. Una raccolta di almanacchi comprende tanto i cartoni e i fogli volanti quanto i libri destinati al popolo e da esso usati per la misura del tempo. Molti almanacchi (fogli volanti) sono raccolti nella nota collezione di A. Bertarelli di Milano (v. almanacco).
Biglietti d'invito o d'ingresso. - I biglietti d'invito o d'ingresso a manifestazioni d'arte, ad accademie, a spettacoli, a balli sullo scorcio del Settecento raggiunsero la massima espressione artistica per opera del Bartolozzi, del Cipriani, dello Schiavonetti e di altri nostri valenti maestri. E perché il Bartolozzi in quel tempo lavorò molto in Inghilterra, si può affermare che la costumanza dei benefit tickets fu esclusivamente britannica. Questi benefit tickets erano i biglietti d'ingresso ai teatri e agli halls londinesi in occasione degli spettacoli dati per la beneficiata d'un noto artista, oppure in occasione di feste, di trattenimenti, di concerti, di recite a scopo benefico. Raramente questi biglietti venivano retribuiti al loro autore, il quale con l'opera sua concorreva all'altrui beneficio. Peraltro il lavoro non andava perduto, perché la sua diffusione assicurava all'artefice notorietà e clienti che pagavano lautamente. Tali biglietti oggi sono pagati somme relativamente favolose, specie quelli incisi dal Bartolozzi per balli celebri o per famosi concerti.
La collezione più numerosa di questi particolari biglietti è quella del Gabinetto delle stampe di Roma, in cui i Bartolozzi, i Cipriani, gli Schiavonetti abbondano. A tali biglietti applicò la sua arte meravigliosa anche il Tresham. Nota e apprezzata è anche la collezione di Giovanni Piccinini di Roma, e quella del Museo civico di Venezia.
Capilettera (intestazioni di lettere). - La Rivoluzione aveva abbattuto ogni sorta di emblemi sulle porte e scalpellato ovunque le armi dei principi, dei nobili, dei borghesi; aveva fatto sparire dai documenti dello stato ogni simbolo regio o di privilegio. La semplicità dei documenti della nuova costituzione statale, privi di qualsiasi ornamentazione, parve mettere il nuovo stato in evidente inferiorità di fronte al vecchio regime. Il gusto naturale dei Francesi prima, la necessità poi di colpire l'immaginazione delle masse con simboli nuovi di libertà e d'eguaglianza, costrinse i dirigenti a far ricorso ai capilettera, detti francesemente entêtes, altrimenti chiamati intestazioni. Dapprima questi emblemi disegnati furono semplici, quasi rozzi, ma con l'attenuarsi dello spirito giacobino assunsero forme più rispettose per il sentimento artistico francese e finirono col diventare d'uso generale quando si presentarono con forme artistiche di grande bellezza. Così anche i privati pretesero adornare la carta della loro corrispondenza con vignette particolari, le quali rispecchiassero il carattere dello scrivente o ne interpretassero un qualche concetto personale. La moda dei capilettera divenne presto una necessità di galateo, onde persino il riscotitore delle imposte e l'ufficiale giudiziario cercarono di rendere meno dure le loro ingiunzioni mediante allegorie stampate sui documenti e incise da mani maestre come quelle di Prud'hon, Morghen, Gatteaux, Duplessis, Bertaux, Appiani, Gay, Cagnoni, Stagnon e alltri celebrati maestri del disegno e del bulino.
La passione di raccogliere queste piccole stampe seguì quella che aveva dato efficace incremento alla grande stampa, che nel Settecento ebbe il suo secolo d'oro. Ma la ricerca della piccola stampa si verificò verso il 1790 e decadde verso il 1825, perché, specie presso gl'Italiani, ci si dedicò di nuovo alla grande stampa per lo sviluppo raggiunto dalla calcografia durante il periodo napoleonico. La ricerca, però, aveva a guida esclusiva il senso d'arte che animava la stampa o il suo valore storico. Tutto ciò che era minuto, anche se eseguito dai migliori maestri del bulino, veniva trascurato. E sebbene le opere celebranti l'epopea napoleonica si moltiplicassero, pochissimi si dedicarono alla collezione o alla illustrazione delle vignette o capilettera di codesta epoca.
I capilettera sono ora ricercati dagli studiosi e dai raccoglitori, sia perché spesso rappresentano veri piccoli capolavori, sia perché tali raccolte oggi hanno assunto importanza per lo studio degli avvenimenti e delle persone che vi dominarono, dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione. È però difficile trovare in commercio tali vignette, e quelle che dagli archivî privati vengono sul mercato raggiungono prezzi elevati. Tuttavia si conoscono raccolte di una certa importanza, come quella della Biblioteca Ambrosiana, la quale diede motivo all'attuale pontefice, Pio XI, di pubblicare un interessante articolo; o come quella di C. Clerici, ceduta parecchi anni or sono a Jacopo Gelli, la quale conta quasi seicento pezzi diversi della Repubblica Cisalpina.
Biglietti o carte di visita. - Con la caduta dell'Impero napoleonico le carte di visita abbandonarono le configurazioni e gli ornamenti che le avevano rese gradite e ricercate, specie quando esse portavano la firma di artisti come il Rosaspina, il Morghen, il Bartolozzi, il Cagnoni, lo Zatta, ecc., per presentarsi sotto l'aspetto più semplice e forse più severo, sebbene meno attraente, di quelle che in precedenza avevano allettato il gusto artistico dei collezionisti e degli stessi titolari delle carte di visita. Il cartoncino levigato, bianco, rosso, azzurro, verde, rosa portò allora il solo nome con modesti attributi, o semplicemente il nome con l'indicazione delle cariche del titolare (v. biglietto di visita).
Se le prime carte di visita ebbero prevalentemente configurazioni araldiche, nei secoli XVII e XVIII furono invece ornate di allegorie disegnate e incise maestrevolmente da valenti artisti, che seppero conferire al biglietto di visita i pregi d'un quadro minuscolo, nel quale il nome del titolare campeggia. Di qui il suo interesse collezionistico, che naturalmente s'estende in grado assai minore alle carte di visita con le iniziali stampate o rilevate, del Rinascimento, e per nulla ai biglietti senza ornamento alcuno, che apparvero verso la metà dell'Ottocento.
Tra le molte collezioni italiane di biglietti di visita meritano particolare menzione quelle Bertarelli e Prior di Milano, e l'altra di G. Piccinini di Roma, la quale passa per una delle più importanti per numero e qualità. Da ricordarsi, infine, sono quelle della Galleria d'arte antica e del Gabinetto delle stampe di Roma; quella della Laurenziana di Firenze e quella del Museo civico di Venezia.
Cartelloni e cartellini. - L'arte del cartellone è nuova, e appartiene all'ultimo quarto dell'Ottocento. I cartellini lo riproducono in forme assai ridotte. Anche di cartelloni si fanno e si sono fatte collezioni; peraltro, essendo ingombranti, i raccoglitori sono pochi, e i più preferiscono ricercare i cartellini.
Cartoline Liebig. - Tra le collezioni curiose primeggia quella delle cartoline o figurine Liebig, diffuse dalla società omonima per convincere dell'eccellenza dei suoi prodotti. Esse poi sono state usate anche da altre ditte. Generalmente queste cartoline sono a serie di sei, di dieci e anche di dodici, e ciascuna serie svolge, mediante raffigurazioni cromolitografiche, composte da artisti di nome, un determinato soggetto. Le serie antiche, difficili a trovarsi, hanno raggiunto prezzi altissimi. Nelle collezioni le serie vengono divise per periodi sino al 1885 (quattro gruppi, contraddistinti dall'indicazione, a tergo, di 7, 8, 9 o 10 medaglie d'oro). Il quinto gruppo comprende le serie pubblicate tra il 1886 a tutto il 1888. Dal 1889 in poi le serie si classificano per anno. Sospese durante la guerra, sono poi state riprese, un po' diverse, All'estero si è fatto e si fa intenso commercio di questi cartoncini, dei quali si pubblicano cataloghi e giornali per alimentare la passione dei collezionisti. In Italia l'attività commerciale di queste cartoline è più ristretta.
Ditinte di pranzi. - Hanno questo nome i cartoncini sui quali è stampato o manoscritto l'ordine delle vivande servite in un banchetto pubblico o privato (menus). Molti di questi cartoncini sono piccoli documenti storici, perché spesso si riferiscono a riunioni dirette a celebrare avvenimenti importanti per l'arte, per le scienze o per la politica d'una nazione. Molti sono i collezionisti di tali distinte, poiché esse erano generalmente ornate con somma dignità da valenti artisti. L'uso apparve verso il 1770. Prima esse rappresentavano un privilegio delle corti; ma quando lo spirito innovatore comincib a demolire le abitudini patriarcali dell'antica borghesia, le "distinte" apparvero nelle bacheche degl'incisori più in voga per invogliare gli arricchiti ad imitare le abitudini della nobiltà. Per raggiungere tale intento le distinte furono ornate con forme nuove e personali al committente, o con vignette sino allora inusitate. Col propagarsi dell'usanza, la parte artistica scomparve; le vignette allegoriche e gli emblemi furono poco alla volta dimenticati e la distinta apparve sotto la veste d'una semplice composizione tipografica, come anche oggi generalmente s'usa. La litografia ne rialzò momentaneamente le sorti, ma non poté rivaleggiare con l'incisione in rame o con la silografia. Tra le raccolte di distinte era famosa quella Devey, l'ammiraglio vincitore degli Spagnoli a Santiago nel 1898, al quale tutti gli stati confederati dell'America del Nord, a turno, offrirono banchetti d'onore, per ciascuno dei quali furono fatte eseguire distinte dai più celebrati intagliatori degli Stati Uniti.
Una raccolta di distinte si divide per nazionalità e soggetto, in ordine cronologico. Tranne quelle incise, segnate a prezzi favolosi nei cataloghi di stampe, le altre distinte in tipografia o in litografia sono generalmente trascurate dai collezionisti. La collezione di A. Bertarelli (Milano) è tra le più cospicue, e conta parecchie migliaia di pezzi.
Ex-libris. - Rinviando alla voce speciale per una trattazione sistematica degli ex-libris, ci limiteremo qui a ricordare che i più ricercati dai collezionisti sono: quelli manoscritti primitivi (specie se di persone celebri); quelli con motti, sentenze, avvertimenti curiosi, emblemi, del Cinquecento, epoca in cui l'ex-libris fu trattato con specialissimo senso d'arte dai maestri del bulino (Gambaro, Billi, Contarini); quelli della prima metà del Settecento. I raccoglitori di ex-libris sono numerosi in Italia, e si conoscono collezioni cospicue, di parecchie migliaia di esemplari. Così quelle di A. Bertarelli (Milano), del gen. G. Bitossi (Livorno), di J. Gelli (Livorno), di U. Giusti (Livorno), ecc.
Partecipazioni. - L'uso di comunicar altrui notizia della morte, della nascita, del matrimonio, della comunione, della vestizione monacale di parenti, o di far conoscere agli amici l'indirizzo della propria nuova abitazione, sino dal Settecento diede origine alla "partecipazione". Dapprima semplice composizione tipografica, si arricchì poi di fregi, pure tipografici, e solo verso l'Ottocento si presentò ornata di simboli e attributi. Nelle partecipazioni di morte le liste nere apparvero verso il 1830, ma esse erano semplici liste, e solo verso il 1880 occuparono tre quarti della pagina. Talvolta vi furono aggiunti emblemi: il carro funebre, la disposizione dei parati esterni della chiesa e talvolta anche l'ornamentazione del catafalco. Ciò nonostante raramente le partecipazioni mortuarie presentano un interesse particolare per il collezionista, ad eccezione delle primitive. Non così le partecipazioni di nascita e quelle di matrimonio. Le antiche si trovano spesso ornate con emblemi e attributi di circostanza, incisi da mani maestre. In Italia dominò la culla più o meno ornata e con putti svolazzanti o sostenenti l'arma nobiliare o un monogramma; e solo sullo scorcio del secolo passato assunse le forme che perdurano ancora, dalle quali in generale è assente qualsiasi senso d'arte e spesso di buon gusto. Invece le partecipazioni semplici della seconda metà dell'Ottocento da qualche tempo cedono il posto a minuscole composizioni ornamentali, talvolta figurate con squisito gusto artistico.
Segni di bottega. - Si chiamano "segni di bottega" le piccole composizioni grafiche alle quali per primi ricorsero i cartai e i cartolai, i quali applicavano sui pacchi di carta da essi fabbricata o ponevano al centro della copertina dei quaderni da essi costruiti il segno della propria fabbrica o della bottega, riprodotto senza alcuna particolare pretesa d'arte, nell'intento di mettere in valore i loro prodotti e diffondere il segno ad essi particolare, onde accreditarlo. In tale costumanza furono presto seguiti dai tavernieri e dai locandieri, i quali, peraltro, fecero stampare il loro segno sulle carte da giuoco, mentre i cerretani, i cavadenti, i flebotomi, i giocolieri e i tenitori di posta si servirono di foglietti volanti, adorni di figure simboliche accompagnate da parole adatte a raccomandare il segno che, per legge, ogni azienda o bottega doveva avere e per il quale pagava apposita tassa di privilegio. Questi mezzi di richiamo furono da prima semplici, ma sullo scorcio del Cinquecento assunsero particolare dignità per opera degli stampatori, i quali riprodussero nel frontispizio, o alla fine dei volumi da essi stampati, il segno particolare alla loro officina. Tali segni assursero talvolta all'importanza d'un'impresa, perché il segno allegorico fu accompagnato da un motto o divisa, detta anima. Per tale consuetudine i segni di bottega e ogni sorta di segni e di marche si arricchirono di ornati, di emblemi, di simboli e di svolazzi onde talune di quelle piccole stampe apparvero dignitose manifestazioni artistiche. concepite ed eseguite in silografia o su rame da provetti artisti.
Nelle raccolte questi segni vengono divisi per regione, per materia e in ordine cronologico per ciascuna materia.
Tabellionati. - Una raccolta di tabellionati è rara per la difficoltà di rintracciarli e di venirne in possesso, perché essi sono sempre uniti a documenti fuori commercio. Il nome di tabellione viene dai copisti dei notari romani dell'antichità (tabelliones). Più tardi la parola tabellionati precisò i segni o sigle particolari di ciascun notaro che venivano disegnati o incollati presso la firma di esso. Tanto il segno a penna quanto la vignetta silografata o incisa, sul nascere dell'Ottocento furono sostituiti da un bollo ad umido con qualche allegoria o con lo stemma dello stato. I tabellionati a stampa e quelli ad umido furono anche usati come ex-libris, con i quali si confusero sino dal loro apparire. Una collezione di tabellionati, specie di quelli antichi, serve agli studiosi per determinare date di documenti mutili o deperiti dal tempo o dall'umidità. I tabellionati non si staccano e non si tagliano dai documenti; si conservano con quelli, e quando non è possibile averli in proprietà, se ne decalca accuratamente il disegno e si classifica per regione, in ordine di tempo e di nome con la data del documento dal quale fu rilevato. I tabellionati a stampa originali hanno pure un valore commerciale e nei cataloghi precedenti la grande guerra si trovarono segnati coi prezzi di 5 a 50 lire ciascuno. Se ne conoscono raccolte che sommano a qualche migliaio di esemplari, per oltre una metà riprodotti da antichi documenti dei secoli XV-XVIII. Tra le raccolte è nota quella di J. Gelli, di oltre 300 tabellionati.
Pipe. - La collezione di pipe di maggior importanza per numero e specie è quella donata nel 1904 da William Brugge di Birmingham allo Institute Museum della sua città. Di questa collezione, che eomprende alcune migliaia di esemplari, esiste un catalogo a stampa (v. Pipa).
Serrature e chiavi. - La costruzione delle serrature e delle chiavi appartiene all'arte fabbrile, la quale toccò l'apogeo tra il secolo XIII e il XVI. I collezionisti privati, al fine di sottrarsi all'ingombro delle cancellate, dei leggii, delle bandelle, dei chiavistelli, dei battenti, hanno sempre dato la preferenza alle serrature e soprattutto alle chiavi. Infatti, tranne che nei musei pubblici, non si conosce, p. es., altra raccolta di battenti oltre quella veramente cospicua dei signori Mylius di Milano.
Le chiavi preferite dai collezionisti sono quelle di tipo "chimere addossate", le quali oggi sono rare e quindi assai costose (quella famosa con l'arma gentilizia degli Strozzi fu pagata 35 mila lire oro da un collezionista francese). Oggi i collezionisti si accontentano delle chiavi dette "a pettine", perché alla portata di tutte le borse, sebbene valgano esse pure somme di un certo rilievo. Interessanti le chiavi raccolte nel Bargello di Firenze, nel Castello Sforzesco di Milano, sebbene il piccolo numero di oggetti in essi raccolto sia superato dalle collezioni di serrature e di chiavi del Museo del Ferro a Francoforte sul Meno.
Tabacchiere. - Dalla tabacchiera d'oro, tempestata di brillanti, ornata di miniature finissime, a quella di stagno, si sono fatte ed esistono collezioni preziose. Famosissime furono le tabacchiere del Fagnani, avventuriero intelligente della fine del sec. XVII, che vi dipinse gli scandali del giorno e le avventure della corte. Il Fagnani fu imitato dal già menzionato Klingstet che ebbe il nomignolo di "Raffaello della Tabacchiera".
Sino a quasi tutto il sec. XIX la tabacchiera fu il dono di distinzione alle persone di qualità e agli artisti lirici famosi. La raccolta delle tabacchiere ricevute in dono da regnanti e da ammiratori dal faentino Antonio Tamburini (1800-1876), celebre baritono, ammontava a più di 200 esemplari, ricchi di pietre e di miniature; famosa la raccolta del cardinale Consalvi, nella quale figurava la "Tabacchiera del Concordato", venduta per 30 mila franchi. Celebre pure la raccolta Hawkins e quella, valutata 25 milioni di franchi, del duca Martina. Quest'ultima andò distrutta in un incendio del 1903. Nelle collezioni le tabacchiere (v.) si classificano per lo più per soggetti, tempo e nazionalità.
Oltre agli oggetti indicati, molti altri possono interessare il collezionista; menzioneremo soltanto i francobolli, che costituiscono ormai una vera e propria attività commerciale internazionale e per cui si rinvia a filatelia.
Bibl.: Sotto le singole voci a cui si rinvia nel testo dell'articolo si troveranno le bibliografie speciali. Sul collezionismo in genere v. J. Gelli, Il raccoglitore di oggetti minuti e curiosi, Milano 1904.
Forzando alquanto il significato proprio della parola, gli alienisti riuniscono sotto il titolo di collezionismo manifestazioni di valore e significato profondamente diverso. C'è un collezionismo demenziale, che s'osserva nella paralisi progressiva e nella demenza senile, e consiste nel raccogliere quasi automaticamente oggetti privi d'ogni utilità o valore simbolico, come ciottoli, cenci, pezzi di carta, di metallo o di vetro. Anche i dementi paranoidi inveterati raccolgono a volte con cura bottoni metallici, coperchi di scatole, ecc., e se ne fregiano come di tante decorazioni. Più propriamente si può parlare di collezionismo a proposito di quei mattoidi, eccentrici, deficienti, che si dedicano a raccogliere con passione oggetti d'una medesima categoria, ma senz'alcun criterio estetico o scientifico, con un'aspirazione ossessiva a un'irraggiungibile completezza. Uno spunto ossessivo c'è anche nella forma più elevata dei collezionisti che s'ispirano a intendimenti superiori e utili, ma sono portati dalla loro passione a sacrifizî pecuniarî impari alle loro risorse e giungono persino a rubare o far rubare da altri l'oggetto che non è in vendita o che non possono acquistare.