COLLEGIALITÀ
. È il principio caratteristico e originale della magistratura romana nel periodo repubblicano, secondo il quale ciascuno dei magistrati costituenti il collegium è investito della somma dei poteri spettanti alla magistratura (imperium e auspicium nel caso del consolato), e ciascuno può dare istruzioni, emanare ordini, compiere atti inerenti all'ufficio senza chiedere il parere del collega. Ma, ove il collega intervenga e si opponga all'ordine o all'atto, prevale la volontà di colui che nega. Tale opposizione, intercessio (v. intercessione), è il tratto più saliente della collegialità e rivela come il collegium non sia un corpo nel quale si decida a maggioranza, ma un regime in cui cìascuno dei colleghi può esercitare integralmente la sovranità finché non intervenga l'opposizione di un solo che prevale allora su tutti.
Osserva il Bonfante come la prova decisiva che l'intercessio sia un elemento organico dell'istituzione si ricava dal fatto che essa ritorna nelle istituzioni corrispondenti del diritto privato cioè in quelle figure nelle quali il diritto è attribuito a più persone, come la comproprietà e la contutela. La naturale espressione di questo aspetto caratteristico della magistratura romana è non già il numero dispari richiesto quando si vogliano rendere possibili deliberazioni a maggioranza, ma il numero pari, e il numero di due è appunto quello che s'incontra nel consolato, come del resto negli antichi duoviri perduellionis, negli edili curuli, nel censori. Nel consolato la collegialità serve a evitare gli abusi del potere sovrano e i pericoli della tirannide, contro i quali l'intercessio del collega rappresentò sempre lo strumento più efficace.
Per il funzionamento dell'amministrazione ordinaria era tuttavia necessario ricorrere a dei temperamenti, adottati o in seguito ad accordo fra i colleghi o in seguito all'intervento del senato. Il sistema più antico è in città quello del turno mensile, a cominciare dal più anziano; fuori città, al campo, il turno giornaliero. Per gli affari singoli di maggiore importanza si ricorre di nuovo all'accordo o alla sorte. Più tardi, quando i compiti crescono di numero e d'importanza, e le guerre richiedono diversi eserciti spesso su varie fronti, si usa dividere le competenze: da un lato l'amministrazione e la giurisdizione cittadina, dall'altro la campagna militare; oppure due corpi d'esercito in due diversi campi d'operazione. È questo anzi il caso più comune: tali campi d'operazione o sfere di competenza costituiscono la provincia, nome che passò a designare il territorio del governo mìlitare.
Bibl.: Th. Mommsen, Röm. Staatsrecht, I, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 27 segg.; P. Bonfante, Storia del diritto romano, I, 3ª ed., Milano 1923, p. 87 segg.; P. De Francisci, Storia del diritto romano, I, Roma 1926, p. 156.