Claudio Leonardi
Claudio Leonardi ha segnato il panorama della storiografia del nostro tempo per l’energia delle iniziative intraprese, che hanno guadagnato agli studi sul Medioevo latino uno spazio rilevante, e per la problematica che ha guidato la sua produzione storiografica, nella quale ha cercato di assumere le consapevolezze della crisi della cultura moderna, le sue ripercussioni sul lavoro dello storico e, in generale, sulla funzione intellettuale. Prendendo atto dell’esaurirsi del ruolo della figura intellettuale così come l’abbiamo ereditata, egli ha cercato di indicare per il futuro una prospettiva diversa.
Claudio Leonardi nacque a Sacco di Rovereto (Trento) il 17 aprile 1926; si formò al Liceo Antonio Rosmini di Rovereto, per poi effettuare gli studi nell’Università Cattolica di Milano e in quella di Fribourg (Svizzera), dove incontrò Gianfranco Contini ed Ezio Franceschini, con cui si laureò nel 1950 discutendo una tesi sulla fortuna medievale del De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella (I codici di Marziano Capella, «Aevum», 1959, 33, pp. 443-89; «Aevum», 1960, 34, pp. 1-99, 411-524). I primi anni dopo la laurea furono difficili, ma già dal 1953 venne coinvolto da Raffaello Morghen nelle attività dell’Istituto storico italiano per il Medioevo. Ciò lo tenne in rapporto con il mondo degli studi, in un ambiente di grande vivacità intellettuale; qui assumerà la cura del primo volume (Series collectionum) del Repertorium fontium historiae Medii Aevi (1962). Solo nel 1960 divenne scriptor per i codici latini della Biblioteca Apostolica Vaticana, occupandosi anche dell’edizione degli atti dei concili ecumenici medievali (1962). Nel 1968 diventò ordinario di letteratura latina medievale nell’Università di Lecce, dove restò fino al 1971, per trasferirsi prima all’Università di Perugia (1971-74), poi in quelle di Siena (sede di Arezzo, 1974-76), e di Firenze (1976-2001).
La fine degli anni Sessanta fu segnata da notevoli cambiamenti ai quali Leonardi si mostrò sensibile. La vita dell’università era messa in questione dalla contestazione; la Chiesa cattolica era attraversata dal Concilio Vaticano II. L’incontro con Gustavo Vinay, che esprimeva il superamento dell’idealismo storiografico, e il rapporto con Giovanni Battista Baget Bozzo (1925-2009), erede intellettuale della cultura della crisi nella tradizione di Felice Balbo, sollecitarono in Leonardi la ricerca di nuovi strumenti storiografici. Sono gli anni della collaborazione a «Renovatio» (diretta da Baget Bozzo dal 1966 al 1978) che, sul piano della scrittura storica, giunsero a una fase di particolare lucidità con la monografia sull’origine della cristianità medievale (1977). Dal 1970 successe a Vinay alla direzione di «Studi medievali», che poi terrà per oltre trent’anni e che rappresentò una prima importante occasione per applicare le sue capacità di progettazione e di sostegno a grandi imprese di ricerca. Da «Studi medievali» nacque nel 1978 l’idea di «Medioevo latino (sec. VI-XV)», un grande repertorio annuale di informazione sugli autori, i testi e i manoscritti che iniziò a essere pubblicato nel 1980 e che divenne subito uno strumento di riferimento nella mediolatinistica.
Per poter continuare quest’opera, nel 1984 Leonardi fondò, con altri colleghi italiani, la Società internazionale per lo studio del Medioevo latino (SISMEL). Quasi contemporaneamente nacque, nel 1987, la Fondazione Ezio Franceschini (di cui, fino al 1992, fu presidente Oscar Luigi Scalfaro). Le due istituzioni trovarono nel 1987 una sede a Firenze, nella Certosa del Galluzzo, e sotto la direzione di Leonardi divennero un luogo decisivo di discussione e di ricerca per la biblioteca specialistica che si veniva formando intorno a quella di Franceschini, per i premi ai giovani studiosi, per le infrastrutture elettroniche realizzate (dal 1992), per l’attività editoriale (dal 1996 in proprio), per il corso di perfezionamento in filologia e letteratura latina medievale (dal 2001).
Alla morte di Leonardi, avvenuta a Firenze il 21 maggio 2010, la SISMEL pubblicò una quarantina di collane e otto riviste, oltre a «Medioevo latino» e all’archivio digitale della cultura medievale Mirabile. La Fondazione Franceschini preciserà il suo impegno anche custodendo i fondi archivistici e librari di alcuni studiosi: oltre a quelli di Franceschini e di Contini, quelli di Vittore Branca, Carmelo Cappuccio, Lorenzo Minio Paluello, Bruno Nardi, Vittorio Ragazzini, Aldo Rossi e José Ruysschaert.
L’elemento di base della ricerca di Leonardi, originario nella sua formazione e sempre vivo nell’esperienza del suo lavoro, è costituito dalla filologia, intesa come scienza storica, nella tradizione della grande filologia tedesca, proposta nel Novecento dal ripensamento italiano di Giorgio Pasquali (1885-1952) e di Gianfranco Contini (1912-1990). Costante sarà infatti per lui l’impegno nella ricostruzione dei testi e della loro tradizione, a cominciare dai primi importanti lavori, con l’indagine sulla tradizione dei Gesta octavae […] synodi quae Constantinopoli congregata est Anastasio Bibliothecario interprete (1967, che costituisce la documentazione più completa della condanna della dottrina del patriarca Fozio), fino ad arrivare all’edizione del De veritate prophetica di Girolamo Savonarola (1997) e agli interventi sul testo degli Opuscula di Francesco d’Assisi (2004), passando per l’edizione delle Glossae a Marziano Capella autografe di Raterio da Verona (1984) e della redazione latina dell’Ascensio Isaiae (1995).
Nel complesso della sua produzione (1077 titoli) questa parte potrà sembrare quantitativamente esigua, ma essa corrisponde a una consapevolezza storiografica e a un’assidua fatica. La filologia dava gli strumenti per risalire all’originale di un testo, alla modalità di esecuzione della lingua così come un autore l’aveva sperimentata, ed essa (attraverso lo studio della tradizione manoscritta) consentiva anche di comprendere le modalità nelle quali ogni opera era stata compresa dai suoi diversi pubblici. L’eredità pasqualiana serviva a diminuire gli elementi meccanici nella ricostruzione del testo, in riferimento a una coscienza storica della lingua, senza perdere di vista l’importanza di impiegare i mezzi ecdotici disponibili per risalire agli originali. A questi presupposti Leonardi fu sempre fedele, come mostra anche il sodalizio intellettuale stabilito con Giovanni Orlandi che affiancò negli scontri contro mode editoriali semplicistiche, il cui imporsi rischiava di far perdere la coscienza di che cosa significasse lavorare sui testi con un metodo scientifico.
La filologia è posta alla base del lavoro storico perché la storia ha nella parola umana il suo specchio sincero, il suo documento sicuro; la parola rappresenta il modo nel quale le cose sono state vissute, nella concretezza di una persona, che subisce condizionamenti storici e pure esprime la sua singolarità e la sua utopia; comprendere la parola degli autori è accedere all’alterità di un altro tempo, realizzando il compito dello storico. In questo interesse per la lingua degli autori, emergeva il riferimento a un altro magistero, quello di Contini, che pure fu decisivo nella definizione della posizione di Leonardi, nella quale inoltre sarà presente la coscienza che, proprio per l’ambizione del suo risultato (la comprensione di un mondo trascorso, attraverso la lingua), l’esito della ricostruzione di un testo deve presentarsi sempre come ipotesi conoscitiva, per quanto carica di informazioni e di consapevolezze e per quanto fondamento di una vera conoscenza. La fiducia nella filologia corrisponde a una scelta decisiva, ma si articola in direzione della storia della cultura. Attraverso i testi ben compresi si scoprono le figure poetiche e spirituali che la persona ha elaborato e che costituiscono la storia; su di essa pesano i condizionamenti,
ma la reazione ad essi ho voluto considerarla come autonoma, originale, come una struttura: la dottrina e la sua immagine (la figura religiosa e la figura poetica), come sufficiente documento di conoscenza della storia, anzi come un documento che più di altri permette di valutare i dati di una certa epoca entro un’ipotesi di storia universale (Alle origini della cristianità medievale, 1977, pp. 493-94).
In questo approccio, la persona – la sua possibile creatività – è la struttura; le condizioni del suo operare vengono assunte alla stregua di una sovrastruttura, rovesciando uno degli schemi dominanti nella cultura storiografica europea di quegli anni.
La filologia era lo strumento mediante il quale ci si poteva confrontare con il panorama difficile della fine del 20° secolo. Essa poteva dichiarare le sue regole rigorose, schivare ogni improvvisazione e ogni estetismo, e poteva assumere un compito intellettuale, ossia restituire la lingua degli autori per ridare spazio alla persona, lasciando alla storia il compito di pensare la possibilità della differenza. Questo compito era posto in relazione agli interrogativi del presente.
Il secolo si era aperto con la piena consapevolezza della crisi della cultura moderna, consapevolezza che Leonardi vedeva compiutamente espressa in Friedrich Wilhelm Nietzsche. Questa crisi aveva poi condotto a emergenze storiche grandissime, sempre più tragiche e travolgenti; eppure, ogni volta che queste emergenze sembravano essere state superate, si ritornava alle antiche consuetudini di pensiero, applicando la «pseudo-categoria storiografica della parentesi» (L’esperienza intellettuale di Claudio Leonardi, 2011), senza sospettare che fosse necessario pensare una profonda novità, credendo che la storia potesse riprendere come prima dell’inizio di ogni emergenza. Intanto, poteri diversi da quelli che erano in grado di avere rapporto con la razionalità conquistavano sempre maggiore spazio e tutto ciò conduceva inevitabilmente a nuove e più gravi crisi.
Alla fine del secolo, nell’ambito delle nuove tecnologie, dove sono «ormai egemoni i mostri anonimi della finanza mondiale» (L’intellettuale nell’Altomedioevo, in Il comportamento dell’intellettuale nella società antica, 1980, p. 138), il ruolo della ragione come principio regolatore della vita personale e sociale appariva esaurito. Si trattava, in effetti, di trovare un’alternativa, perché dopo quelli che Leonardi chiamava «i moti rivoluzionari del 1968», «la civiltà moderna – legata al mondo borghese e alla sua contrapposizione socialista – era avvertita come una condizione storica insopportabile» (p. 121), a fronte di un «desiderio di perfezione» che si manifestava nella persona e che nessun potere poteva soddisfare.
Secondo Leonardi, gli intellettuali non si mostravano all’altezza delle nuove esigenze e la cosa non dipendeva da ragioni personali o di congiuntura. In linea con le conclusioni di Karl Löwith (1949), così come erano state infine comprese e sviluppate da Baget Bozzo (1978), lo storicismo riformato come antropologia del futuro (soprattutto nella fattispecie marxista) sembrava aver costituito la più efficace risposta al razionalismo idealista, ma, incapace di giustificare teoreticamente il suo fondamento, si era poi ridotto a mero schema politico e si mostrava in oramai evidente difficoltà. Questa difficoltà aveva reso possibile la «restaurazione metafisica» di Martin Heidegger: in Heidegger l’essere tornava alla sua eleatica inattingibilità, nella quale la storia perdeva ogni possibilità di significato e ogni unità, per risultare mero decadimento. Quale funzione poteva esserci per l’intellettuale una volta che «la norma e chi la gestisce non sono più comprensibili e storicamente producenti» (L’intellettuale nell’Altomedioevo, cit.)? Era evidentemente venuta meno la condizione moderna della vita intellettuale, che di fatto vedeva l’intellettuale in competizione e insieme in complicità con il potere politico e ancora non si intravedeva una diversa figura. Che la funzione moderna dell’intellettuale fosse in crisi lo si verificava anche nella crisi dell’università, ma se era facile constatarlo, difficile era comprendere quale altra università ci sarebbe stata dopo il crollo di quella che la tradizione ottocentesca aveva consegnato all’Europa.
Che ci fosse «bisogno di teoria della storia» era evidente e, in una serie di studi degli anni Settanta, Leonardi cercherà di affrontare questo problema, riferendosi, in particolare, all’esperienza di Nietzsche e di Jacob Burckhardt. Si trattava soprattutto di studi volti a definire i termini della crisi, nella convinzione che non ci si poteva limitare a dichiarare la fine della cultura moderna e del suo necessario esito ideologico, si doveva anche cogliere le possibilità del futuro. Per fare questo era necessario comprendere come la crisi della ragione fosse conseguenza del modo in cui essa era stata concepita, per lo meno dal 12° sec., dal tempo di Pietro Abelardo; una ragione intesa come «possesso intellettuale autonomo», amministrato da un ceto di professionisti e dotato di una funzione sociale, esercitata attraverso la scuola. Una ragione così intesa non poteva non trovare nel suo orizzonte il potere politico, con cui di continuo confrontarsi fino ad assumere la figura dell’ideologia. Ma qualificandosi come capacità di dominare gli avvenimenti, essa si sottoponeva agli eventi stessi, ne diveniva funzione. Se vero e fatto sono l’uno in funzione dell’altro, che il vero venga mortificato dal fatto non lo si verifica solo storicamente, ma è implicito nello schema; con ciò la ragione accetta un campo di gioco in cui è già determinata la sua sconfitta.
La storiografia agiva nelle condizioni della crisi, dichiarandosi incapace di ricostruire un senso del passato di fronte a un presente caotico e a un futuro che non mostrava luci: «se ogni problema appare insolubile – scriveva Leonardi nel 1986 –, ogni comprensione storica risulta indeterminabile […] non poter dominare con la ragione il presente e non poter progettare il futuro è solidale con l’impossibilità di interpretare il passato» (Il problema storiografico dell’agiografia, 1986, poi in Agiografie medievali, 2011, p. 4).
Cercando di garantirsi la sopravvivenza, la comunità degli storici sembrava capace solo di ricorrere alla soluzione positivista, cercando il suo compito nel lavoro erudito. Ma anche il tempo dell’erudizione era passato, nel momento in cui trovava le sue maggiori opportunità grazie alle nuove tecnologie. Convinto che l’erudizione fosse necessaria alla storia, ma che in essa non poteva trovare il suo senso, Leonardi si è molto impegnato nella realizzazione di infrastrutture della ricerca di base, comprese come spazio dell’erudizione nella forma attuale. Le nuove tecnologie trasformavano la ricerca erudita e ne facevano l’esito di un lavoro collettivo e in continuo aggiornamento con l’acquisizione di nuovi dati; essa richiedeva lo sviluppo di nuove competenze, che coinvolgevano la logica e l’informatica, ma non rappresentava una soluzione storiografica, bensì la precondizione di un lavoro che doveva trovare altrove motivazioni e criteri. La soluzione positivista in storiografia era ancora dentro la crisi, non potendosi trovare motivazioni nel semplice censimento del chaos.
La filologia non era solo erudizione, come trivialmente si poteva credere; era il tentativo di comprendere e ristabilire l’alterità che il testo esprime quando è ricondotto nella sua dimensione originaria, alla sua prima esecuzione (Contini). Ora, la prima ragione per cui si studia la storia è che essa è una palestra per pensare la differenza, verificando che l’uomo può comprenderla. Considerare la parola come struttura significava aprire la storia alla moltitudine delle diversità, riconoscere le varietà dei modi in cui ogni fatto vive, non per negare un senso alla storia, ma per acquisire una nozione di senso storico nuova. Qui il Medioevo poteva divenire uno spazio di ricerca centrale; dal punto di vista della modernità costituiva la terra senza nome, la terra del non senso, nella quale però si incontravano le differenze, si incontravano forme di vita intellettuale, di coscienza della verità delle cose e della storia, alternative a quelle che la cultura moderna aveva sperimentato. Far parlare il Medioevo era restituire la parola a ciò che segnava un’alternativa alla cultura moderna e in ciò la filologia scopriva il suo compito insolito. Lo studio della mediolatinità era del resto il frutto della crisi del canone europeo e questa crisi poteva essere vista nel senso della crescita: non bastava più l’autorità di qualche centinaio di autori per leggere l’uomo e la storia, si dovevano aprire altri universi letterari per udire parecchie migliaia di voci (e molte spezzate) e tutte avevano diritto alla filologia. E il mediolatino era solo l’inizio.
Sull’immensa mole di testi medievali si potevano svolgere abbondanti sperimentazioni mai tentate, interrogandosi su quale fosse il denominatore comune di questa moltitudine di alternative, forme di rapporto diverse tra la persona, la sua anima e la storia. Con questa domanda Leonardi giungeva alla coscienza che soprattutto il Medioevo rappresentava il tempo in cui «la ragione non è tutto». L’idea non era ispirata a qualche forma di irrazionalismo spiritualistico. La ragione doveva essere portata anzi al suo frutto maggiore, doveva essere coltivata come condizione di benessere e di sicurezza e scuola dei fatti, ma ciò avveniva ormai nella consapevolezza che la ragione non esauriva il bisogno di senso dell’uomo, non bastava a sé stessa. La ragione aveva le sue certezze sull’uomo, ma non si poteva prescindere dal fatto che quelle certezze non sembravano dare senso alla vita. La ragione raccontava una verità, ma essa non era sufficiente e questa esigenza di un racconto veritiero che non fosse affidato solo alla ragione, secondo Leonardi, era testimoniata nella singolarità del Medioevo e dava a questo tempo il ruolo di tempo di riferimento per il futuro.
L’elezione per il Medioevo non costituiva una sorta di neoguelfismo storiografico, non introduceva la fede cristiana come necessaria soluzione dei problemi storici (solo la modernità aveva identificato il Medioevo con il Medioevo cristiano, mentre esso era stato anche arabo, ebraico, germanico e romanzo: cfr. Franceschini 1938-1939). Tuttavia solo una motivazione ideologica poteva negare che nel cristianesimo medievale si era afffermata la necessità di fondare la persona e la storia su qualcosa che trova la sua verità indipendentemente dalla ragione, anche se non contro di essa. Questo qualcosa aveva una verifica nei fatti, nel riconoscimento che motore storico decisivo era l’apertura a qualcosa di non predeterminabile, che Leonardi chiamava gratuito: l’idea piena di fatti; non il punto di spartizione delle risorse, ma il punto della loro generazione. Il gratuito era il fondamento della storia, la scelta fondata non sull’interesse, ma sulla fiducia nella creatività dell’uomo, che poteva arrivare fino alla negazione di sé, nella coscienza che l’uomo non si riduce alla dimensione di ciò che ha già sperimentato. Il Medioevo aveva messo il gratuito in rapporto con la fede in Cristo, ma quello che interessava alla nostra epoca e che poneva il Medioevo al centro dell’interesse, è il fatto di aver formulato e posto una domanda essenziale che l’intellettualità moderna non riusciva a porre. Il gratuito spingeva l’intellettuale a volgere la sua sensibilità, quindi anche la sua ragione, a immaginare una possibilità che non è data dalle condizioni storiche, ma restituisce la realtà del futuro.
Leonardi giunse a chiamare questa storiografia che andava a caccia del gratuito come base della storia, «storiografia del piacere» (Per una storiografia del piacere, in I discorsi dei corpi. Discourses of the body, 1993). Ci si può chiedere oggi se la storiografia del piacere sia fuori dalla crisi moderna. Per rispondere possiamo intanto osservare che egli ritenne decisiva la connessione di questa esperienza allo studio della mistica. Si comprende bene la sua resistenza a ogni riduzione filosofica della mistica medievale, rifiutando di farne cioè una forma primitiva di idealismo (con il pensiero – in fondo banale – che l’autocoscienza divina della persona crea il mondo e la sua comprensione, in uno stesso atto); egli si rifiutava di porre la mistica nella logica della cultura moderna (dove potere e sapere si saldano), per farne piuttosto la testimonianza della persona che percepisce l’energia della propria singolarità, che genera un linguaggio. Il piacere ha rapporto con la libertà, cioè con la possibilità di porre le condizioni della propria esistenza. Ma solo Dio è causa sui: il mistico, sentendosi partecipe della natura divina e trasformato in Dio, è colui che vive nella coscienza della propria libertà e sperimenta il piacere nella storia, muovendola al suo senso. Nella ricerca di uno spazio in cui la ragione non è tutto e la norma non è lo scopo della vita intellettuale, si scopre un compito nell’indicare la possibilità del piacere. La molteplice differenza che costituisce il Medioevo aveva un’espressione decisiva nella storia della mistica che alla fine aveva fabbricato per il mondo quest’idea: la persona può essere fatta Dio, ovvero la persona può essere libera.
La bibliografia pressoché completa di Claudio Leonardi è stata raccolta da Enrico Menestò in L’esperienza intellettuale di Claudio Leonardi, Firenze 2011. La Fondazione Ezio Franceschini e la Società internazionale per lo studio del Medioevo latino (SISMEL) hanno manifestato l’intenzione di procedere all’edizione dell’Opera completa.
Per la sua riflessione storiografica si veda:
Ricordi e incontri con medievisti, a cura di G. Cremascoli, I Deug-Su, O. Limone, E. Menestò, Spoleto 1996 (in partic. La generazione antifascista, già apparsa in «Renovatio», 1969, 4, pp. 669-72 e Altomedioevo e letteratura, già apparso in «Studi medievali», 1978, 19, pp. 427-41).
E inoltre:
Vita del Cristo, vita del mondo, «Renovatio», 1971, 6, pp. 465-84.
La crisi della filosofia della storia: Burckhardt e Nietzsche, «Renovatio», 1975, 10, pp. 437-50.
Cristianesimo e Islàm nella civiltà post-moderna, «Renovatio», 1976, 11, pp. 53-72 (poi in Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, pp. 751-72).
Chi è storico del Medioevo? Avvio dei lavori, in Il mestiere di storico del Medioevo, Atti del Convegno di studio, Lugano 1990, a cura di F. Lepori, F. Santi, Spoleto 1994, pp. 1-3.
Per una storiografia del piacere, in I discorsi dei corpi. Discourses of the body, a cura di A. Paravicini Bagliani, «Micrologus», 1993, 1, pp. 7-18 (poi in Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, pp. 773-84).
La filologia mediolatina, in La critica del testo mediolatino. Atti del Convegno, Firenze 1990, a cura di C. Leonardi, Spoleto 1994, pp. 11-27 (poi in Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, pp. 845-60).
La tradizione mediolatina in Italia, «Mittelateinisches Jahrbuch», 2001, 36, pp. 305-08.
Per l’esperienza spirituale si veda il dialogo con G. Baget Bozzo, Homo Dei. Resoconto di un’esperienza mistica, Firenze 2001.
Per il lavoro filologico e di editore critico, si vedano:
I codici di Marziano Capella, «Aevum», 1959, 33, pp. 443-89 [prima parte], e «Aevum», 1960, 34, pp. 1-99, 411-524 [seconda e terza parte].
Le edizioni dei Concilia Lateranensia I-IV, Lugdunensia I-II, Viennense, in Conciliorum oecumenicorum decreta, edidit J. Alberigo, P.-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, Basileae 1962, pp. 163-377.
Codices Vaticani Latini. Codices 2060-2117, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1987, pp. VIII-329.
Le edizioni dell’Ascensio Isaiae, di Raterio da Verona e di Girolamo Savonarola, Verità della profezia. De veritate prophetica dyalogus con la traduzione italiana di O. Bucci, Firenze 1997.
Anastasio Bibliotecario, Gesta octavae […] synodi quae Constantinopoli congregata est, edidit C. Leonardi et A. Placanica, Firenze 2012.
Tra le antologie curate da Leonardi e nate intorno a grandi problemi storiografici, si vedano:
Scrittrici mistiche italiane, Genova 1988 (con testi e traduzioni dal Medioevo all’età contemporanea, parte moderna e contemporanea curata da Giovanni Pozzi).
Il Cristo, 3° vol., Testi teologici e spirituali in lingua latina da Agostino ad Anselmo di Canterbury; 4° vol., Testi teologici e spirituali in lingua latina da Abelardo a San Bernardo; 5° vol., Testi teologici e spirituali da Riccardo di San Vittore a Caterina da Siena, Milano 1989, 1991, 1992.
La letteratura francescana, 1° vol., Francesco e Chiara d’Assisi; 2° vol., Le vite antiche di San Francesco; 3° vol., Bonaventura: la perfezione cristiana, a cura di C. Leonardi, commento di D. Solvi, Milano 2005-2012.
Tra le monografie:
Anastasio Bibliotecario e l’ottavo concilio ecumenico, «Studi medievali», 1967, 8, pp. 59-192.
Spiritualità di Ambrogio Autperto,«Studi medievali», 1968, 9, pp. 1-131.
Alle origini della cristianità medievale: Giovanni Cassiano e Salviano di Marsiglia, «Studi medievali», 1977, 18, pp. 491-608.
Per un esame della ricchissima produzione saggistica di Leonardi (in tutto oltre un migliaio di titoli) si vedano le raccolte Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, con 47 articoli ristampati con piccole revisioni dell’autore e Agiografie medievali, a cura di A. Degl’Innocenti, F. Santi, Firenze 2011 che raccoglie altri 47 studi in ristampa anastatica dedicati a testi agiografici medievali, ma anche con casi della tarda antichità e delle età moderna e contemporanea.
Per l’orizzonte intellettuale in cui Leonardi si muove, si vedano:
K. Löwith, Meaning in history, Chicago 1949.
F. Balbo, Opere 1945-1964, Torino 1966 (in partic. Idee per una filosofia dello sviluppo umano, 1962).
G. Baget Bozzo, Chiesa e utopia, Bologna 1978.
G. Baget Bozzo, Profezia. Il cristianesimo non è una religione, Milano 2002.
G. Tassani, Gianni Baget Bozzo. Teologia e politica, mistica e gestualità, «Il Regno», 2009, 12, pp. 422-6 (si veda anche la bibliografia qui indicata).
In riferimento alla disciplina, si veda:
E. Franceschini, Limiti e compiti di una nuova disciplina, «Annuario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore», 1938-1939, pp. 61-81 (ora Limiti e compiti di una nuova disciplina. Profilo letterario del Medioevo, a cura di C. Leonardi, F. Santi, Firenze 1992).
Per presentazioni del suo metodo, si vedano:
C. Alzati, S. Boesch Gajano, G. Orlandi, A. Vauchez, Il Medioevo latino di Claudio Leonardi. Intorno ad una raccolta di saggi, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 2006, 60, pp. 91-112 (raccoglie le conferenze di presentazione del volume Medioevo latino. La cultura dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, tenute nell’Aula Magna dell’Università di Firenze il 18 marzo 2005).
D. Dozzi, L’interpretazione mistica degli Scritti di Francesco e Chiara secondo Claudio Leonardi, «Collectanea Franciscana», 2006, 76, pp. 553-60.
A. Bartolomei Romagnoli, Claudio Leonardi e il «divino Francesco», «Studi francescani», 2010, 107, pp. 603-10.
Tra i necrologi e gli scritti in occasione della morte, si vedano fra gli altri:
T. Gregory, Claudio Leonardi medievista, «Rinascimento», 2010, 50, pp. 1-18.
M. Lapidge, Claudio Leonardi (1926-2010), «Journal of Medieval Latin», 2010, 20, pp. XVIII-XXVII.
E. Menestò, Claudio Leonardi (Sacco di Rovereto, 17 aprile 1926-Firenze, 21 maggio 2010), «Studi medievali», 2010, 51, pp. 555-80 (con una nota autobiografica di Leonardi, pp. 574-80).
F. Santi, Una vita per il Medioevo Latino, «L’Osservatore Romano», 2010, 23 maggio, p. 5.
F. Stella, Claudio Leonardi in memoriam, «Mittellateinisches Jahrbuch», 2010, 45, pp. 469-71.
R. Vinciguerra, Claudio Leonardi, «Accademie e biblioteche d’Italia. Trimestrale di cultura delle biblioteche e delle istituzioni culturali», 2010, 5, 3-4, pp. 142-3.
L’esperienza intellettuale di Claudio Leonardi, Firenze 2011 (con saggi di E. Menestò, A. Paravicini Bagliani e F. Santi, la ristampa della nota autobiografica già apparsa su «Studi medievali», 2010, 51, pp. 574-80 e la bibliografia completa).
Un primo tentativo di riflessione sui risultati metodologici e la prospettiva intellettuale si trova nella raccolta Il senso del Medioevo. In memoria di Claudio Leonardi Giornata di studi promossa dall’Accademia Roveretana degli Agiati, a cura di A. Degl’Innocenti, D. Frioli, P. Gatti, Firenze 2012, e nell’intervento di A. Vauchez, Claudio Leonardi et l’hagiographie medievale, «Studi medievali», 2012, 53, pp. 303-12.