classe sociale
Classe e stratificazione sociale
Classe è nozione aggregativa che si riferisce essenzialmente alla stratificazione sociale propria dell’Età moderna, anche se il termine ha origini storicamente remote. Questo tipo di aggregazione sociale che si forma nei tempi moderni ha una base di natura prettamente economica e deriva dall’azione principale del mercato che assume nella società una funzione regolatrice dominante, non solo per quanto riguarda la distribuzione dei beni materiali, ma anche per ciò che concerne i rapporti di lavoro. Di questa natura prevalentemente economica della stratificazione sociale nell’Età moderna, si accorsero per primi gli economisti fisiocratici francesi del Settecento (F. Quesnay, R.J. Turgot). I fisiocratici ritenevano che la ricchezza materiale derivasse esclusivamente dalla terra e dal prodotto di questa e che quindi fossero «classi» produttive soltanto quelle che ne curavano, appunto, la funzione produttiva: i proprietari e i lavoratori della terra; e attribuivano, invece, funzioni derivate o addirittura «sterili», a quei gruppi sociali che, in parte pur lavorando, ma in altri settori, comunque si mantenevano fisicamente sul prodotto della terra. Ma quella fisiocratica era una visione agli albori dell’economia prettamente moderna che sarebbe stata dominata invece, non più dall’agricoltura, ma dall’industria. È, infatti, con la Rivoluzione industriale e la conseguente diffusione dell’industrializzazione che nasce l’economia moderna: fenomeno, questo, che si manifestò inizialmente nell’Inghilterra del sec. 18° per poi diffondersi nell’Europa continentale e negli Stati Uniti d’America nel corso del sec. 19°. Successivamente, l’economia industriale si diffuse via via, anche in altre parti del mondo fino allo stadio raggiunto nei nostri giorni, comunemente chiamato «globalizzazione»: una condizione ormai quasi universale, sia pur ancora molto «ineguale» e che nella maggior parte della geografia mondiale si manifesta più nella forma d’indirette conseguenze di mercato, che per la presenza diretta, ovunque, di un tessuto industriale vero e proprio. Tratto peculiare di questa progressiva formazione di un mercato mondiale sono i grandi movimenti migratori, i quali assumono sia la forma di colonizzazione di aree arretrate e poco popolate (come nel caso delle due Americhe e dell’Australia) sia quella inversa, di spostamenti massicci da aree povere e sovrappopolate o politicamente turbolente, verso i Paesi più ricchi e progrediti. Queste migrazioni comportano spesso forti sconvolgimenti nella stratificazione sociale dei Paesi che ne sono investiti, con complicazioni che riguardano, per periodi più o meno lunghi, non solo la stessa stratificazione sociale di natura prevalentemente economica, ma anche nuove differenziazioni giuridiche e culturali. Con la Rivoluzione industriale nacque dunque il sistema economico basato sull’impresa moderna, di grandi e medie dimensioni, diffusa non solo nell’industria, ma anche nella stessa agricoltura, nel commercio e nei servizi. Da questo processo di trasformazione economica deriva una struttura sociale formata da un lato da una ristretta classe borghese capitalistica che controlla i mezzi di produzione e di scambio e accumula profitti, dall’altro, da una molto estesa classe di lavoratori salariati manuali e, in una misura più limitata, da impiegati stipendiati. Va però subito osservato che, a fianco di tale struttura polarizzata, nel quadro di un’ampia articolazione del processo di divisione del lavoro, si sviluppa, progressivamente, la vasta area del cd. «ceto medio»: area che si articola in attività indipendenti artigianali e commerciali, nonché in attività intellettuali di tipo piccolo imprenditoriale o professionistico. Area, questa, più o meno largamente estesa, a seconda del livello di sviluppo economico del Paese o della regione cui ci si riferisce. In tale fascia sociale intermedia vanno incluse anche le burocrazie che si sviluppano, da una parte per effetto dell’espansione delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, dall’altra, per l’espansione delle burocrazie amministrative che si moltiplicano pure all’interno del settore dell’impresa economica privata. Va inoltre rilevato che anche all’interno della grande massa del lavoro salariato tendono a formarsi differenziazioni spesso rilevanti. In altre parole, la polarizzazione principale fra proprietari di mezzi di produzione e lavoratori salariati che a questi mezzi si applicano col proprio lavoro manuale, non dà luogo a una semplificazione radicale della struttura sociale. Altra importante peculiarità di questa società dominata dal capitalismo moderno è una potenziale mobilità sociale che la rende diversa dalle tipologie di aggregazioni storicamente precedenti nelle quali il ruolo sociale dei singoli individui era sostanzialmente predeterminato fin dalla nascita da ordinamenti che non consentivano, se non in casi eccezionali («liberazione» di schiavi, investiture, concessioni di titoli o di patenti ecc.), il mutamento della propria posizione sociale. Ovviamente, anche nella società capitalistica moderna, il ruolo sociale dell’individuo è soggetto a forti vincoli che però dipendono essenzialmente dallo spessore della condizione economica di ciascuno, suscettibile di mobilità in relazione alle dimensioni e alla rapidità dello sviluppo economico generale. In sostanza nel moderno capitalismo, il vincolo sociale e le disuguaglianze che lo accompagnano non sono più determinati da rigidi modelli di ceto, di ordine, di stato o di casta. L’analisi moderna della stratificazione sociale imperniata sulla nozione di classe si deve principalmente a K. Marx (1818-1883) e alla scuola marxista che dopo di lui ebbe grande diffusione fino ai nostri giorni. Nella visione marxista la struttura fondamentalmente bipolare delle classi tende a prendere, come per intrinseca necessità, una forte forma conflittuale, che è relativa alla spartizione del reddito prodotto fra profitti capitalistici e salari operai. In tale contesto assumono particolare rilievo le formule ideologiche e politiche di «lotta di classe» e «coscienza di classe», nelle quali la visione dicotomica della società capitalistica viene assunta come programma di azione politica e si contrappone chiaramente a tutte le forme di visione solidaristica o corporativa propugnanti, all’opposto, la collaborazione fra le classi. Nella genuina concezione marxista il conflitto fra salariati e capitalisti dovrebbe avere, pressoché inesorabilmente, una soluzione rivoluzionaria, e comportare di conseguenza, con l’eliminazione della classe dei capitalisti e del loro profitto, la formazione di una società composta esclusivamente da liberi percettori di un reddito da lavoro equivalente, a questo punto, al valore dell’intero prodotto: la cd. «società socialista», nella quale la stessa differenziazione di classe dovrebbe, quindi, scomparire. Ma le applicazioni effettive della teoria di Marx da parte dei movimenti politici che a lui si ispiravano, si sono caratterizzate, di fatto, per configurazioni sociali ben altre da quelle profetizzate e tra loro sostanzialmente differenti. Per un verso, la gran parte dei movimenti socialisti presenti nelle società capitalistiche più evolute, hanno prodotto una conflittualità non rivoluzionaria, capace di convivere fruttuosamente con il capitalismo: in grado cioè, sia per l’azione del movimento sindacale sia per la legislazione ottenuta con la lotta politica, di conseguire progressivi miglioramenti nelle condizioni economiche retributive e in quelle sociali. Ovviamente tali miglioramenti sono stati sempre soggetti, però, alle possibilità offerte dal grado di sviluppo delle diverse aree geografiche e dalla variabilità ciclica dell’evoluzione capitalistica. Laddove, invece, nei casi in cui l’azione del movimento operaio e socialista sboccò effettivamente in una vicenda rivoluzionaria – come sostanzialmente prefigurato da Marx – i modelli di società che da questa vicenda derivarono, hanno dato generalmente luogo a regimi politici di tipo autoritario e a sistemi sociali che ancora hanno riprodotto, in nuova forma, una forte polarizzazione fra dirigenze burocratiche e tecnocratiche, e la massa di lavoratori salariati o stipendiati: qui la stratificazione sociale tende ad assumere la forma piramidale di un’organizzazione universalmente gerarchica.
Se si tiene conto della più complessa stratificazione della società capitalistica che, nella sua effettiva realtà la distingue dalla semplificazione bipolare della teoria di Marx – configurandola più vicina alla visualizzazione grafica di una «pera», anziché di quella di una «piramide» – si può ben comprendere come la nozione di classe sia stata utilizzata, con modalità assai più flessibili, dalla teoria sociologica contemporanea. Mentre i grandi comportamenti collettivi sono spesso ridotti dai sociologi a un «puro agire di massa» (M. Weber), la nozione di classe è stata via via applicata ad aggregazioni sociali più particolari e più ridotte, come professioni, mestieri o qualifiche. Questa analisi più frammentata della stratificazione sociale è interessata a individuare la diversità dei ruoli e degli strati sociali e le differenze nei livelli di reddito, nelle posizioni di prestigio e nelle situazioni di potere. L’attenzione della ricerca sociologica si orienta a esplorare i fattori – come capacità particolari, livello di esperienza e grado d’istruzione – che determinano o influenzano, in una società fluida e mobile, le ragioni del maggiore o minore apprezzamento delle qualità che inducono, appunto, reddito, prestigio o potere, e determinano anche la formazione di comunanze d’interessi. Attraverso questi percorsi analitici si giunge anche alla definizione dei differenti sistemi di valori presenti in una data società o in segmenti di questa. Appare evidente che, in tali casi, l’uso della nozione di classe ha carattere approssimativo e semanticamente poco significativo. Questo tipo di analisi sociologica risulta generalmente alquanto geo-condizionato, e con una forte prevalenza di studi relativi alla società nordamericana. Un’analoga differenziazione di valore semantico della nozione di classe, la assumono le formule, pure sociologicamente rilevanti, di «classe politica» o «classe dirigente». Nel primo caso s’intende il gruppo funzionale, ovviamente articolato dal punto di vista gerarchico e territoriale, di coloro che rivestono ruoli nella vita politica e, nel secondo caso, tutta l’area di coloro che esercitano, in una data società, funzioni direttive o autorevoli nei settori più decisivi della vita sociale: dalla politica ai vertici dell’economia, dall’amministrazione all’informazione, dall’istruzione alla scienza, fino alle professioni di prestigio. In questi casi, e in altri consimili, la nozione di classe non viene più utilizzata in relazione alla stratificazione sociale, ma semplicemente per indicare macro-funzioni nella società.