Law, Clara (propr. Law Cheuck Yiu, pinyin Luo Zhuoyao)
Regista cinematografica, naturalizzata australiana, nata a Macao nel 1954. Ha incarnato lo spirito apolide dei registi della seconda New wave del cinema di Hong Kong. I suoi film, incentrati sul tema del viaggio o dell'immigrazione, raccontano le inquietudini di una generazione che ha vissuto il ritorno della colonia alla Repubblica popolare cinese, cercando di farne un tema di riflessione artistica. Sia con Ai zai bie xiang de jijie (1990, ingl. Farewell China), definito "forse il miglior film girato da un regista honkonghese negli USA" (Pezzotta 1999, p. 326), sia con Qiu yue (1992, ingl. Autumn Moon), il tema dello spaesamento si è rivelato il nucleo della sua ispirazione artistica. In bilico tra cinema d'autore e di genere, la L. è autrice di una produzione piuttosto coerente, sebbene alterna nei risultati. Il trasferimento in Australia non sembra aver apportato sostanziali modifiche al suo cinema, salvo forse il fatto di aver trovato con The goddess of '67 (2000; La dea del 1967) un giusto equilibrio tra il suo stile visivo, carico nelle scelte cromatiche, e il particolare paesaggio del Nuovo continente. Con Qiu yue ha vinto nel 1992 il Pardo d'oro al Festival di Locarno, mentre nel 1996 con Floating life si è aggiudicata il Pardo d'argento.Dopo la laurea in letteratura inglese a Hong Kong, la L. ha fatto varie esperienze in campo cinematografico e televisivo a Londra, dove ha realizzato nel 1985 il suo lungometraggio d'esordio (They say the moon is fuller here). Tornata in patria, ha sposato lo sceneggiatore e regista Eddie Fong, con il quale ha avviato un lungo sodalizio artistico. Il primo risultato di questo incontro è stato Wo ai taikong ren (1988, ingl. The other half and the other half), una commedia sugli effetti dell'immigrazione in Canada. Un anno dopo, Pan Jinlian zhi qianshi jinsheng (ingl. The reincarnation of Golden Lotus) ha rappresentato un notevole cambiamento di registro: in questo film infatti ha raccontato la reincarnazione di una lussuriosa concubina dell'antica Cina nella Hong Kong odierna grazie a un melodramma in cui convivono spinte erotiche e invettive anticomuniste. Il vero successo di critica è arrivato però con Ai zai bie xiang de jijie, dove la descrizione della diaspora cinese viene dipinta come una discesa dantesca nell'inferno americano; il film, un melodramma realistico ambientato negli Stati Uniti, narra di un orientale che, partito alla ricerca della propria moglie emigrata, finisce per ritrovarla trasfigurata nel corpo e nello spirito. A questo film ha fatto seguito un altro ritratto dello sradicamento dell'uomo contemporaneo in Qiu yue, dove la regista ha raccontato i profondi squilibri di una Hong Kong proiettata verso un futuro ignoto, vista attraverso gli occhi di un turista giapponese fornito di videocamera.
Dopo questo dittico la L. ha cambiato di nuovo registro, con un kolossal in costume (You seng, 1993, Le tentazioni di un monaco) girato in Cina con capitali hongkonghesi; il risultato, però, è stato un puro esercizio calligrafico, in cui ha trovato posto ogni sorta di ispirazione: dai riferimenti alla letteratura cinese all'epica delle saghe di samurai, fino a preziose allusioni al cinema occidentale (una parte della critica, in particolare S. Teo, 1997, ha rintracciato affinità con i film in costume di Federico Fellini). La stessa tendenza al virtuosismo, oltre al gusto per il tema del sesso (che appartiene probabilmente più a Fong che alla regista), ha caratterizzato il breve episodio Wanton soup (1994), segmento del film collettivo femminile Erotique. Questo episodio, in cui si narra di un ritorno alle origini attraverso la storia di un emigrato cinese che tenta di imparare il Kamasutra della tradizione orientale, ha rovesciato nel paradosso il tema abituale della regista, e cioè lo spaesamento causato dal ritorno alle radici.
Lo spostamento in Australia ha segnato (con Floating life) il recupero delle storie di emigrati in cerca di una terra cui ancorarsi. Questa galleria di eterni nomadi è stata arricchita dal successivo The goddess of '67, storia dell'incontro tra una giovane australiana cieca e un collezionista giapponese di auto, che attraversano il deserto australiano alla conquista di una Citroën Ds del 1967, oggetto dei loro desideri, per scoprire infine l'uno nell'altra il punto d'approdo delle loro ricerche. Questo film ha evidenziato pregi e difetti del cinema della L., ossia l'attenzione per un impianto visivo di grande fascino, ma anche una certa tendenza a schematizzare la narrazione. Tra racconto a tema e lampi di poesia (la scena del ballo tra i due giovani protagonisti resta uno dei momenti migliori di tutta la produzione della L.), il film ha riassunto il percorso di una regista che ha saputo dare alla ricerca della propria identità artistica una dimensione decisamente originale.
S. Teo, Hong Kong cinema: the extra dimensions, London 1997, passim; A. Pezzotta, Tutto il cinema di Hong Kong, Milano 1999, passim.