CIVILTÀ (dal lat. civilis "ciò che concerne il cittadino, il civis"; fr. civilisation; sp. civilisación; ted. Kultur; ingl. civilisation)
Nel linguaggio corrente, la parola civiltà, applicata agl'individui, significa una condizione elevata di vita, quale soprattutto si manifesta nella convivenza sociale; applicata ai popoli, significa il possesso di un patrimonio di beni materiali e l'esplicazione di attività spirituali che determinano una condizione elevata di vita collettiva, in contrapposto a quella dei popoli chiamati barbari o selvaggi. Ma nel linguaggio scientifico, quale è usato per es. dagli storici o dagli etnologi, il concetto di civiltà è molto più esteso e significa l'insieme delle manifestazioni della vita materiale e spirituale di un popolo o di un'età, qualunque sia il grado e la ricchezza di essa.
La causa di questa estensione della parola civiltà è nella difficoltà di porre una netta separazione fra ciò che può giudicarsi civile in confronto a barbaro o selvaggio. Queste stesse parole sono oggi poco usate, se non nel linguaggio popolare, e hanno un senso dispregiativo che lo storico non può accogliere. Barbari (v.) erano, nel mondo greco-romano, gli stranieri, e tranne che in qualche periodo e in misura limitata, nessun senso d'inferiorità era connesso con l'appellativo: il linguaggio popolare moderno ne ha fatto invece un sinonimo d'inumano e crudele. Selvaggi (da silva "foresta") furono detti, quando le grandi scoperte oltremarine del sec. XVI portarono per la prima volta gli Europeì a contatto con gl'indigeni dell'America e dell'Africa, quei popoli che alla mente poco critica e poco colta dei primi osservatori parvero vivere nei boschi, senza leggi umane o divine, in uno stato di poco dissimile da quello dei bruti. I maggiori contatti e la migliore conoscenza di tali popoli mostrarono poi facilmente come nessuno di essi fosse invece privo di alcuni elementi fondamentali d'umanità e di civiltà, e il termine di selvaggi è stato anch'esso, fuor che nel linguaggio popolare, a poco per volta abbandonato. Già il Vico (Pr. Sc. Nuova, I, 6), constatando che la ricerca non può risalire alle origini dell'umanità assolutamente selvaggia, affermava che l'esperienza storica non aveva mostrato in alcun luogo o in alcun tempo popoli sprovvisti di taluni principî fondamentali di vita civile: la credenza in una provvidenza divina, la famiglia, il culto dei morti. Né possiamo oggi modificare in modo sostanziale l'opinione del Vico. Dovunque i rappresentanti delle culture più basse han presentato un minimo di capacità e di attività civili: la costruzione di un riparo per l'abitazione, la produzione del fuoco per la cottura degli alimenti, la fabbricazione di armi e di utensili, il possesso di almeno un animale domestico (il cane), e passando alle manifestazioni sociali e spirituali, un ordinamento della famiglia e del gruppo sociale secondo determinate categoriche consuetudini, la presenza di idee etiche e religiose. Per ciò, in tempi recenti, si è ricorso, per designare i rappresentanti delle culture inferiori, all'espressione di popoli "naturali", viventi cioè allo "stato di natura" (riflesso dell'indirizzo giusnaturalistico nella filosofia giuridica), in contrapposto a quella di "civili", e ancor più si è ricorso a quella di "primitivi", che è ora la più usata. Anche questo termine, però, non ha più il senso etimologico perché le più basse culture superstiti sono giudicate lontane dalla primitività, e perché nella designazione s'includono spesso anche i portatori di culture relativamente elevate.
D'altra parte, la conoscenza gradualmente acquistata della civiltà, così varia nelle forme e nello sviluppo, dei varî popoli della terra, la storia stessa dei popoli civili, e la scienza derivata dalla ricerca e dallo studio delle tracce abbandonate nel suolo dai popoli e dalle culture scomparse, cioè la preistoria, hanno portato a riconoscere che la civiltà umana si è sviluppata a poco a poco, evolvendo dalle forme più semplici alle più complesse. Il concetto di un'evoluzione nella storia della civiltà umana è anzi molto più antico dell'affermarsi della moderna teoria dell'evoluzione degli organismi. T. Lucrezio Caro poteva già dare al suo poema latino una visione dello sviluppo progressivo della civiltà (De rer. nat., IV) derivandola quasi unicamente dall'intuizione e dal ragionamento. Quando invece l'allargamento delle conoscenze geografiche ebbe raccolto un sufficiente materiale di fatti, l'idea di un graduale incivilimento dell'umanità poté cominciare ad affermarsi sopra una base d'osservazioni. Nella seconda metà del sec. XVIII sono soprattutto i filosofi che s'impadroniscono di questo materiale, che tentano una definizione delle fasi attraversate successivamente dall'umanità e spiegano la presenza delle forme inferiori e incomplete di cultura come un arresto di alcuni popoli nella via dell'incivilimento. In questo senso si svolgono le osservazioni di Voltaire nell'Essai sur l'histoire générale et sur les moeurs et l'esprit des nations (1756), e quelle di Condorcet nell'Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain (1794), che dà effettivamente la prima ricostruzione ipotetica delle grandi fasi dell'incivilimento. Il clima, l'ambiente esterno, gli stimoli dell'utilità sono, in queste concezioni dei razionalisti francesi, la causa del maggiore o minor progresso umano. Ma anche nella filosofia idealistica il concetto della graduale acquisizione della civiltà diviene un elemento fondamentale del pensiero storico. Il Vico, pur valendosi dei suoi materiali storici, nel 1725 dettava i principî di una scienza nuova "che fosse insieme istoria e filosofia dell'umanità", ed era, in sostanza, la storia dell'incivilimento (Pr. Sc. Nuova, I, 6), e, in contrasto con le tendenze già palesi al suo tempo, affermava più tardi che tale storia non si svolge su una linea ininterrottamente progressiva, ma presenta cadute e rinnovamenti, corsi e ricorsi. E con Herder, Schlegel, Hegel l'indagine sui modi di sviluppo dello spirito umano e delle umane convivenze forma una "filosofia della storia" che ha, del resto, carattere puramente speculativo.
Nel sec. XIX la storia delle indagini sullo sviluppo della civiltà ricevette un nuovo impulso dalle scoperte preistoriche degli archeologi danesi e francesi. Queste, ponendo lo studioso di fronte alle vestigia materiali di culture antichissime e, in apparenza almeno, estremamente primitive, parvero fornire finalmente gli elementi positivi per segnare le tappe progressive della civiltà. Secondo le rivelazioni della preistoria queste si potevano disporre in quattro "età" successive: della pietra scheggiata o antica età della pietra (paleolitica), della pietra levigata o nuova età della pietra (neolitica), del bronzo e del ferro. In ciascun paese d'Europa nel quale le ricerche preistoriche si diffondevano, tale successione nei materiali usati dall'uomo per le sue armi e per i suoi utensili appariva confermata, e ne venne la conclusione che la successione stessa, con tutti quegli altri indizî di progressivo sviluppo della civiltà che accompagnavano i manufatti conservati nel suolo, dovesse valere per l'umanità intera. La presenza dei popoli attuali, "attardati" all'età della pietra o del bronzo, confermava l'induzione. Ma in seguito è stato anzitutto constatato che un'età del rame ha preceduto, in molti paesi, quella del bronzo. Inoltre, se è rimasta confermata l'universale seriorità delle culture metalliche rispetto a quelle litiche, molti fatti sono apparsi nella successione delle forme particolari dei relitti delle età litiche, che tendono a dimostrare come già in quelle fasi remote della civiltà umana lo sviluppo della cultura non avvenisse in modo uniforme dovunque, ma esistessero invece tipi particolari di cultura con caratteri proprî e diffusione limitata o almeno non universale. La documentazione raccolta dalla preistoria mostra infatti che le civiltà si sono succedute, nel territorio europeo, sviluppando forme sempre più complesse ed elevate, ma non nel senso che gli elementi culturali siano di regola sorti per un graduale perfezionamento sul posto. Le culture preistoriche si succedono, sostituendosi, portando elementi tecnici essenzialmente diversi: si presentano cioè veramente come culture diverse. Il fenomeno generale dell'evoluzione tecnica, scomposto nei suoi elementi reali, ci presenta una successione di civiltà diverse, dove ogni cultura ha una sua storia spaziale, una particolare distribuzione geografica, un suo genio di lotta e di vita. Inoltre, fra le culture preistoriche e quelle dei primitivi attuali le corrispondenze sono meno chiare e meno semplici che non apparissero dapprima. La tecnica litica degli orizzonti preistorici più antichi non trova alcun riscontro nell'umanità attuale: l'amigdala chélleana e acheuleana non è stata trovata in possesso di alcun popolo attuale. Dobbiamo dedurne che essa rappresenta una cultura anteriore a tutte quelle superstiti, oppure che essa è il prodotto di una civiltà primitiva localizzata in un'area particolare.
Siamo indotti pertanto a ritenere che le più antiche culture preistoriche non abbiano lasciato alcun residuo attuale, e che, per conseguenza, le culture superstiti più primitive ci portino a un'antichità meno proionda di quella che ci è rivelata dalle indagini preistoriche. Sono per contro notevoli le concordanze fra il contenuto delle culture neolitiche iella preistoria europea e le culture neolitiche di quello che si può designare come l'emisfero orientale della terra. Le civiltà superiori dell'America, dal Messico al Perù, sapevano fondere, lavorare e amalgamare alcuni metalli: l'oro, l'argento, il rame; ma in piccole quantità e non per uso comune, e ignoravano il ferro. Il limite orientale della conoscenza del ferro si arrestava di qua dal dominio dei popoli paleoasiatici, comprendendo il Giappone e l'Insulindia, ed escludendo la Nuova Guinea, l'Australia e tutte le minori isole oceaniche, che, come gran parte degl'indigeni americani, ignoravano del tutto la metallurgia.
A queste osservazioni sulle fasi attraversate dall'industria umana, l'indagine preistorica ed etnologica ha permesso di aggiungere altre constatazioni importanti, relative alle fasi successive dello sviluppo economico. Una concezione molto diffusa e ancora generalmente ammessa dai profani, ha ritenuto a questo riguardo che l'umanità sia passata per tre stadî successivi: quello della caccia, quello della pastorizia e quello dell'agricoltura, essendo stati il secondo e il terzo raggiunti soltanto da una parte di essa. Si deve oggi riconoscere che, se vi è stata una successione più probabile, essa è un'altra, e la teoria economica che ha raccolto maggior favore, sebbene non esente in questi ultimi tempi da contrasti e riserve, è quella di E. Hahn. Per la prima fase della civiltà essa rimane in accordo con l'antica concezione: è la caccia e la pesca, o meglio, la raccolta, la caccia e la pesca, essendo la raccolta dei prodotti vegetali e di piccoli animali (vermi, insetti, crostacei) il sistema piti semplice di caccia, che presenta tutte le transizioni fino alla vera caccia (v.). Ma, mentre l'agricoltura superiore e la pastorizia si basano sull'allevamento degli animali domestici, vaste regioni sono valorizzate da un sistema di agricoltura primitiva, che non dispone di animali domestici e che si serve come strumento di lavoro della zappa, da cui il nome di coltivazione alla zappa. E questa forma economica che dev'essere considerata come la più antica dopo la prima. Essa è ancor oggi la forma più diffusa di lavorazione del terreno nell'Africa negra, nell'Indocina, nell'Insulindia, nella Melanesia, nell'America Centrale e Meridionale. In quanto alla terza fase, essa assume, a seconda delle regioni, forme diverse, sorte non simultaneamente. In taluni casi si è avuto, p. es., un semplice sviluppo della coltura a zappa, con uso della concimazione e dell'irrigazione, avendosene una produzione maggiore che in ogni altro sistema: il giardinaggio. Ma nella terza fase si sviluppa soprattutto l'agricoltura in senso proprio, caratterizzata dall'aratro, dall'uso del bue e dell'avere come oggetto principale i cereali; la coltivazione del miglio rappresenterebbe una forma di transizione fra la coltura a zappa e la cerealicoltura. Finalmente, alla terza fase risale anche la pastorizia (v. domesticazione).
La considerazione di questi elementi più semplici della cultura materiale permette di tracciare, dunque, sia pure a grandi tratti e con alcune incertezze, quale sia stato lo sviluppo dell'incivilimento in una fase assai remota (ma già probabilmente lontana dalle sue prime origini) sino all'inizio dell'epoca storica in senso stretto. E permette anche di distribuire le culture attuali in alcune prime classificazioni, nelle quali esse vengono a disporsi in categorie aventi valore gerarchico diverso, e che possono servire di prima guida all'indagine diretta allo studio dei rapporti genetici fra le culture attuali o estinte, e dello sviluppo di ciascun elemento della cultura. Ma tali elementi ci dànno necessariamente un quadro in completo della civiltà, sia per gli stessi aspetti materiali, sia, e soprattutto, per le manifestazioni sociali e spirituali di essa. In quest'ultimo campo si è svolta l'attività della sociologia (v.), una disciplina che traendo i materiali di osservazione dalla storia e dall'etnologia, ha inteso rivolgere le sue fatiche alla ricostruzione dello sviluppo sociale e spirituale dell'uomo. A quasi un secolo di distanza dai suoi primi saggi (A. Comte, 1832-42) è permesso dichiarare che lo sforzo ha raccolto ben scarsi frutti: e ben poco interesse presentano ormai le numerose e diverse concezioni e classificazioni presentate dai sociologi intorno allo sviluppo della civiltà (Spencer, Morgan, Durckheim, Wundt). La causa dell'insuccesso è da ricercare, per un lato, nel rapido prevalere, entro a tali indagini, di teorie evoluzionistiche ad oltranza, per cui s'immaginava che, in ogni luogo, l'umanità fosse passata per fasi identiche di sviluppo; per un altro lato, alla tendenza a scoprire le ipotetiche leggi dell'evoluzione sociale anziché ricercare, nei fatti, la reale o probabile catena genetica di fenomeni. Ragione non ultima, sebbene non imputabile a tutti in egual misura, l'utilizzazione imperfetta dei materiali offerti dall'esplorazione etnologica.
Alle premature generalizzazioni della sociologia e della psicologia sociale, le indagini moderne stanno ora opponendo una revisione critica dei materiali di osservazione e nuove più accurate indagini. La storia dell'incivilimento è divenuta parte essenziale degli studi storici e ogni scienza vi reca i suoi contributi. L'etnologia, senza abbandonare il concetto di una generale evoluzione nello sviluppo della civiltà, ha volto i suoi sforzi all'analisi obiettiva degli aggregati umani primitivi e alla scomposizione delle culture inferiori nei loro elementi costitutivi, con l'intento di riuscire poi alla ricostruzione delle culture semplici o primarie, nella loro eventuale successione e nei loro rapporti genetici. Una scuola etnologica ha fatto anzi suo compito fondamentale la ricostruzione dei cicli culturali (Foy, Graebner, Schmidt, Montandon), e sebbene le sue conclusioni siano ancora soggette a riserve, specie in alcuni loro più recenti sviluppi, molti dei risultati costituiscono una buona promessa per lo sviluppo futuro delle ricerche.
Per la bibliografia e per chiarimenti storici e metodici sulle discipline che trattano della storia della civiltà v. alle voci cultura; culturali, cicli; etnologia; preistoria; sociologia; storia.