CRETESE-MICENEA, CIVILTÀ (XI, p. 864; App. II, 1, p. 724)
Scrittura e lingua. - La decifrazione, avvenuta nel 1953, della scrittura lineare B, nota dalle epigrafi di Cnosso, Pilo in Messenia, Micene, Tirinto, Eleusi, Tebe, Orcomeno in Beozia, ha segnato l'inizio di una nuova fase degli studî sulla civiltà micenea ed anche sulla minoica. Nelle due scritture affini A (rappresentata solo a Creta) e B (a Cnosso e nella penisola greca) era stato riconosciuto da tempo, accanto ad una serie di ideogrammi, un sistema sillabico analogo a quello cipriota, in cui ogni segno indica una vocale isolata o un suono consonantico seguito da una vocale (sillaba aperta); ma la scrittura B era generalmente considerata una variante cnossia, diffusasi poi nella penisola, della scrittura A, e si riteneva che i testi cretesi e quelli continentali fossero redatti nella medesima lingua, la "minoica" imposta al mondo egeo dall'egemonia culturale di Creta. Tuttavia le ricerche di Alice Kober e di E. L. Bennett avevano messo in luce differenze non puramente grafiche tra la lineare B e la A; e gli archeologi A. Wace e C. W. Blegen avevano reagito all'autorità di A. Evans, sostenendo che l'ultima fase del Palazzo di Cnosso attestava un'intensa influenza del continente "miceneo", e dunque della cultura achea, su Creta, anziché l'inverso. Con la pubblicazione delle epigrafi, ancora per la massima parte inedite, di Pilo e di Cnosso (rispett. 1951 e 1952), si offrì una più ricca materia d'esperimento ai decifratori; e l'architetto inglese Michael Ventris, dopo varî infruttuosi tentativi pervenne nel 1952 - e ne espose le ragioni, insieme con i principî della decifrazione, in una memoria scritta in collaborazione con John Chadwick, nel Journal of Hellenic Studies del 1953 - alla conclusione che le iscrizioni in lineare B erano redatte in greco: conclusione inattesa, che a lui stesso parve poco valida, ma che è stata confermata dagli ulteriori studî e ha presto ottenuto il quasi universale consenso dei dotti.
La lineare B si è dimostrata un adattamento della lineare A cretese alla lingua degli Achei (e ciò spiega alcune divergenze dei due sistemi); ma, formata com'è di segni indicanti solo sillabe aperte, non si presta bene a rendere le combinazioni di suoni della lingua greca: sicché nei testi micenei riesce talvolta difficile e controversa l'identificazione di termini greci, alcuni dei quali sono caduti in desuetudine o non sono rappresentati nel lessico a noi noto. Di pochi segni non è ancora definito il valore. La posizione del "miceneo" tra i dialetti greci è tuttora oggetto di discussione: esso appare specialmente affine all'arcado-cipriota ed al gruppo dei dialetti eolici.
Molta luce su aspetti politici e culturali del mondo miceneo viene dai testi ora leggibili; ma indirettamente, nei più dei casi, perché le tabelle di Cnosso e Pilo son documenti della ragioneria dei palazzi (inventarî di persone e di oggetti, registrazioni di "introiti" ed "esiti") e quelle di Micene appartengono all'amministrazione di privati.
In una sommaria classificazione i testi comprendono: registrazioni di persone addette ai servizî del palazzo o tenute a prestar lavori, raggruppate per categorie professionali e per località d'origine o di residenza; liste di armati e marinai; censimenti di animali, con l'indicazione dei luoghi e dei proprietarî (o, per gli allevamenti di proprietà regia, dei pastori); inventarî di prodotti dell'agricoltura, di quantità di cereali consegnate come tributo al palazzo o assegnate da questo a dipendenti, di spezie destinate specialmente alla preparazione di olio aromatico per riti sacri; registrazioni di assegnazioni di terre soggette al controllo del palazzo; registrazioni di tributi di vario genere versati dai damoi; elenchi di offerte a santuarî; inventarî di tessuti, mobili, vasi, carri ed armi; registri di bronzieri del regno.
L'incendio dei palazzi micenei, che ha cotto le tabelle di argilla, ha distrutto i documenti della vita politica e delle relazioni internazionali, verosimilmente scritti su papiro o membrane. Per il loro carattere di notazioni provvisorie, i testi delle tabelle risalgono a data di poco anteriore a quella della distruzione dei rispettivi palazzi. I testi di Cnosso vanno dunque assegnati alla fine del sec. 15° a. C. (se la distruzione del palazzo è veramente avvenuta intorno al 1400, datazione su cui sono stati recentemente elevati dubbî), quelli di Pilo e Micene alla fine del sec. 13°. Pur nei limiti segnati dal loro carattere e dalle loro date, i testi micenei forniscono dati preziosi per la ricerca storica, che doveva finora valersi di dati unicamente monumentali, oltre che di rari ed imprecisi accenni di fonti orientali coeve e di discutibili reminiscenze micenee nell'epos greco.
Le tabelle di Cnosso dimostrano che nel periodo corrispondente all'ultima fase del palazzo s'era costituito in Creta un regno acheo; che la conquista achea sia avvenuta verso la metà del sec. 15° è indicato dai ritocchi apportati in quel tempo alle raffigurazioni di "tributarî" del Faraone in una tomba tebana, dove i costumi minoici dei Keftiu (Egei) sono stati sostituiti con costumi micenei.
Le tabelle di Pilo, che documentano l'esistenza di un regno di incerta estensione nel Peloponneso occidentale, escludono per ciò stesso che nel sec. 13° vi sia stato - come da alcuni studiosi s'era pensato - un vasto impero panacheo dipendente da Micene. L'organizzazione politica micenea risulta assai diversa da quella che veniva delineata in base ai poemi omerici. Al vertice dello stato era non già un basiléus, ma un wanax; accanto a lui un lawagétas, capo della nobiltà guerriera. Il territorio era diviso in damoi, ad ognuno dei quali era preposto un governatore militare (koiretér). Al ceto dei "possessori di terre", ktoinoóchoi, appartenevano i telestái, che sembrano tenuti a contribuire alle spese per il culto. Nelle tabelle pilie son ricordate assegnazioni di terre (któinai) a persone addette, con varie funzioni, al culto; i fondi assegnati appartengono a terre sottoposte al controllo del palazzo e in parte amministrate dal damos. Numerose sono le menzioni di attività artigiane, alcune esercitate anche da donne, e rurali; una posizione di rilievo sembrano aver avuto i bronzieri, la cui attività era anche essenziale per la difesa. Alcuni documenti sembrano riferirsi appunto all'organizzazione della difesa del regno contro un attacco che si attendeva dal mare (un episodio della invasione dorica ?).
Cospicua e importante, anche se limitata nei più dei casi ai soli nomi di dèi e di feste, è la documentazione dei culti. Dato il carattere dei testi, essa è costituita principalmente da registrazioni di offerte ordinarie e straordinarie di prodotti dell'agricoltura (olio, miele, cereali, latticinî) e di vittime animali; in una tabella pilia sembra ricordato un eccezionale sacrificio di vittime umane, forse alla vigilia di un decisivo scontro con gli invasori. A Creta si incontrano, accanto a divinità del pantheon acheo, divinità indigene in parte assimilate a quelle: Zeus Diktaios, Athana Potnia, Poseidon ed Enesidaon, Erinys, Enyalios, Paiaon, gli Anemoi (Vènti), Eleuthia ad Amniso (cfr. Odissea, XIX 188-190); inoltre è ricordato un Daidaleion. A Pilo i principali dèi sono Poseidon e la Potnia, che va probabilmente identificata con Athana, protettrice della sede regia così in Creta minoica come nella Grecia micenea; una triade di divinità infere, tra cui Iphimedeia, la Diwia e forse Persa; Zeus e Hera, forse con Dioniso; inoltre una Posidaéia, Artemis, Hermes e divinità minori; sono ancora incerti gli indizî di un culto di dèi affini ai Dioscuri (Wanakes); sono indirettamente attestati Themis e Ares. L'assenza di Apollo e Afrodite convalida la tesi di una loro introduzione dall'Anatolia in età postmicenea. La copia di documenti relativi al culto negli archivî palatini sottolinea l'importanza delle funzioni religiose nell'attività del monarca miceneo, la cui autorità procedeva probabilmente da una consacrazione sacerdotale. Ciò spiega anche come l'elemento sacerdotale abbia una parte così rilevante nei documenti micenei: sacerdoti e sacerdotesse, klawiphòroi, "servi" di divinità o di sacerdoti. Le più alte dignità sacerdotali erano probabilmente appannaggio dei "grandi". Tra i santuarî del regno pilio appare specialmente importante quello della Potnia nel damos di Paki-anes, nel quale v'è ragione di riconoscere il santuario della dea protettrice della dinastia.
In più tabelle micenee si incontra menzione di basilêwes, coadiuvati da geronsíai (consigli di anziani): ma essi sembrano estranei all'organizzazione politica, e la loro sfera di attività appare limitata a comunità di carattere gentilizio, nelle quali è verosimile ch'essi abbiano esercitato funzioni direttive in veste di sacerdoti del culto avito, nucleo di ogni gruppo gentilizio.
La decifrazione della lineare B ha contribuito anche ad avviare a soluzione il problema della lingua "minoica". I testi minoici (provenienti i più dalla villa di Haghìa Triada, in territorio festio) sono pochi, rispetto ai micenei, ma più varî: oltre infatti alle tabelle, documenti di amministrazione, includono epigrafi su oggetti destinati al culto (tavole di libazione, arule, ex-voto). Riconosciuti i valori fonetici dei segni del sillabario AB, sì sono identificati antroponimi ed anche alcuni toponimi - tra cui paito Phaistós - e nomi di derrate. Su una arula di Palecastro si è letto il nome del monte sacro a Zeus, Dikta; l'epiclesi di una dea, ricorrente in tre dediche, è stata accostata all'epiclesi luvia della grande dea della natura ("la Signora"); su bipenni votive trovate nella sacra grotta di Arkalochori è stata letta la dedica "all'Ida Madre", la montagna divinizzata, poi divenuta la "Madre Idea". I più recenti studî sulla lingua, resi ardui dall'esiguo numero dei testi superstiti, orientano verso il riconoscimento del carattere indoeuropeo della lingua minoica; tentativi di riconoscere in questa una lingua semitica, o addirittura l'accadico, non hanno avuto successo.
La ricerca archeologica. - Negli ultimi anni anche lo studio dei monumenti della civiltà minoico-micenea ha compiuto grandi progressi, sia per cospicue scoperte in Creta e nel Peloponneso, sia per la revisione di tradizionali interpretazioni dei dati monumentali, sollecitata dai risultati dell'esplorazione archeologica nelle sedi delle coeve civiltà mediterranee, dall'esigenza di nuovi accertamenti stratigrafici e cronologici, e più recentemente dallo sviluppo della ricerca filologica e storica sui documenti scritti.
A Creta sono stati particolarmente fruttuosi gli scavi (tuttora in corso) eseguiti a Festo dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene e diretti da Doro Levi. Sotto quello ch'era ritenuto il primo palazzo sono stati riconosciuti i resti di due precedenti palazzi, probabilmente distrutti da terremoti. Le rovine del più antico vennero ricoperte da una gettata di calcestruzzo e su questo venne impostato un nuovo palazzo con la facciata assai arretrata rispetto a quella del primo. Il secondo palazzo e il terzo (noto finora come il "primo") ripetono approssimativamente la pianta e la tecnica struttiva del primo: un piazzale lastricato, la facciata su una linea di ortostati con rientranze e sporgenze, ingresso cerimoniale a gradinata, corridoi, quartieri residenziali e di servizio, magazzini; i muri sono costruiti con piccole pietre e con impasto di terra e paglia e intelaiati da travi e paletti, in evidente funzione antisismica; un grosso strato di intonaco rivestiva le pareti; e gli ambienti coperti più importanti erano adornati con uno zoccolo di lastre alabastrine variamente screziate e pavimentati col medesimo delicato materiale.
I resti dei due primi palazzi hanno dato una copiosa messe di ceramiche e di oggetti di pietra e di alabastro. I vasi fittili, che sono dello stile detto "di Kamares", si distinguono per la varietà e novità delle forme e delle decorazioni, in pittura e in rilievo: accanto a finissime ceramiche - tazze, "teiere" e rhytà - a "guscio d'uovo" sono venuti alla luce esemplari di una nuova classe, dalla superficie ricoperta di una lucida vernice bianco-crema, che ricorda certa porcellana cinese; e ha fatto la sua prima comparsa, nella decorazione dei vasi, la figura umana, dal disegno primitivo ma animato. Le ceramiche rinvenute nei due primi palazzi appartengono al periodo che nella classificazione dell'Evans è designato "Medio Minoico" (Middle Minoan) I-II. Una indicazione cronologica è fornita da migliaia di cretule rinvenute insieme con alcuni sigilli sotto lo strato di calcestruzzo che coprì il primo palazzo e con ogni verosimiglianza coeve ad affini esemplari egizî della XII dinastia: la fondazione del primo palazzo di Festo andrebbe quindi collocata agli inizî del II millennio a. C., e coinciderebbe con l'inizio del "Medio Minoico". Il risultato più sorprendente e rivoluzionario è però la constatazione che il primo palazzo sorse in ambiente subneolitico: con ciò viene rimessa in discussione l'esistenza di quella lunga fase intermedia tra periodo neolitico e periodo "dei primi palazzi" che nello schema evansiano è indicata come "Minoico Antico" (Early Minoan). Ed anche a Cnosso recenti ricerche hanno confermato le indicazioni degli scavi festii.
A Festo e a Mallia è stata iniziata l'esplorazione sistematica delle città che, come a Cnosso e negli altri centri "minoici", vivevano intorno ai palazzi dei principi; e nei più di questi si son riconosciute strutture protettive che invalidano un diffuso luogo comune circa l'assenza di fortificazioni in Creta minoica e lo stato di sicurezza che ne sarebbe attestato.
Queste scoperte e ricerche cretesi sono soltanto le più significative in una ricca serie di scavi, ricognizioni e trovamenti - a Kephala (importante insediamento del Minoico Recente III), nei dintorni di Cnosso (case M. R., tombe M. M. e M. R.), a Gortina, a Lebena (tholoi M. M.), per ricordare i siti più famosi. Non meno importanti, nella penisola greca, le scoperte avvenute nel Peloponneso, soprattutto a Pilo e a Micene. Nel "Palazzo di Nestore" gli scavi diretti da C. W. Blegen (v. pilo, in questa App.) hanno messo in luce una nuova ala, a nord-est del quartiere con la sala del trono e hanno fornito numerosi frammenti di tabelle iscritte e cretule; a sud del Palazzo è stata scavata una tomba a tholos del Tardo Elladico con inumazione in giare e cospicua suppellettile. Altre ricche tholoi nella regione di Pilo sono state scavate da S. Marinatos, a Myrsinochorion e a Kukunara.
A Micene la scoperta più notevole s'è avuta nel 1952 fuori della cinta murale dell'acropoli, presso la tholos detta "Tomba di Clitennestra"; durante i lavori di restauro di questa gli archeologi greci hanno trovato un nuovo circolo tombale, analogo a quello scavato da H. Schliemann presso la "Porta dei Leoni"; anche il diametro è lo stesso (c. 29 m). Entro il muro di cinta, in parte conservato, sono state scavate dal 1952, sotto la direzione di J. Papadimitríu, venticinque tombe, di date diverse: le più antiche risalgono alla fine del sec. 17° e sono più povere, in parte prive di corredo; le profonde tombe a fossa sono molto simili a quelle - datate dal sec. 16° al 14° - del recinto presso la Porta dei Leoni, e come quelle erano sormontate da stele sepolcrali con scene di caccia a belve. In ciascuna son disposti più cadaveri. Il corredo è proprio di tombe dinastiche e comprende diademi d'oro, una spada di bronzo da cerimonia con impugnatura ricoperta di lamina d'oro, spade e pugnali, una maschera d'oro, vasi e rivestimenti bronzei di tavole per offerte. Una tomba si distingue perché consta di un dromos, una porta con i pilastri stuccati in rosso e una camera sepolcrale a sezione quasi triangolare, come nelle tombe micenee di Ugarit e Minet el-Beida; tre anfore nello "stile del Palazzo" la datano al sec. 15°.
Scavi sulla strada che conduce all'acropoli hanno messo in luce una casa prossima a quella "del mercante d'olio", incendiata anch'essa verso la fine dell'Elladico Recente III B.
Bibl.: Per gli studî sulla scrittura e la lingua: M. Ventris e J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, Cambridge 1956, ov'è anche indicata la bibliografia anteriore; una cronaca bibliografica delle ricerche sui testi in lineare A e in lineare B viene pubblicata nei fascicoli di Minos, Revista de Filologia Egea (edita a Salamanca), dal 1954. Contributi all'esegesi dei testi micenei compaiono più frequentemente, oltre che in Minos, in La Parola del Passato (Napoli) dal 1954 e nel Bulletin of the Institute of Classical Studies of the University of London (dal 1954); l'Istituto londinese pubblica anche dal 1956 un utilissimo repertorio annuale, Studies in Mycenaen inscriptions and dialect. Circa la lingua minoica si veda ora E. Peruzzi, Le iscrizioni minoiche, in Atti dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria", XXIV (1959-60), pp. 29-128, con copione indicazioni bibliografiche.
Per la ricerca archeologica si vedano le relazioni degli scavi e delle scoperte pubblicate annualmente nei Πρακτικά della Società Archeologica Greca e l'annua rassegna curata da A. K. Orlandos (Τὸ ερῆον της Αρχαιολογικῆς 'Εταιρείαω κατὰ τὸ ἔτος...), dal 1954 al 1959; inoltre la Chronique des fouilles et découvertes archéologiques en Grèce che appare in ogni volume del Bulletin de Correspondance Hellénique (dal 1958 a cura di G. Daux). Sugli scavi in zona festia v. D. Levi, Gli scavi italiani a Creta, in Nuova Antologia, n. 1866, giugno 1956, e le relazioni dello stesso in Bollettino d'Arte dal 1951 e in Annuario della Scuola Archeologica di Atene dal vol. XXX-XXXII (1952-54). Per Pilo: le relazioni di C. W. Blegen, in American Journal of Archaeology, dal 1951. Per Micene: G. Mylonas, Ancient Mycenae, The capital city of Agamennon, Princeton 1957.